Nelle settimane scorse in Piemonte si è aperto un dibattito pubblico sulla questione dei braccianti stranieri stagionali in cerca di lavoro per la raccolta della frutta. Ecco la versione integrale della lettera aperta del nostro Presidente Ramonda, pubblicata in parte su La Stampa di domenica 2 Agosto.
Gentile Direttore,
in questi giorni è tornata alla ribalta delle cronache il tema dei migranti stagionali in cerca di un lavoro per la raccolta nei campi, in particolare nel saluzzese per la raccolta della frutta.
La stagione della frutta - pesche, mele, Kiwi - dura da maggio fino a metà novembre. Il fenomeno si è intensificato negli ultimi dieci anni, all'indomani della crisi economica, quando molti migranti dell'Africa sub-Sahariana si riversarono, in particolare nel saluzzese, in cerca di un lavoro stagionale nella raccolta della frutta. Oggi, questa situazione, già difficile da gestire, unitamente all'emergenza del Covid, sta facendo deflagrare una questione mai risolta definitivamente.
Chi lavora e chi viene in cerca di lavoro deve avere una sistemazione dignitosa. Accampamenti nei parchi cittadini, come quelli verificatisi nelle scorse settimane, non rispettano né la dignità dei migranti né il diritto delle famiglie di poter beneficiare degli spazi pubblici.
Molti di loro sono assunti con un contratto a chiamata: formalmente dura tre-quattro mesi, ma di fatto i migranti lavorano solo pochi giorni. La ragione è la seguente: quando è il momento giusto per la raccolta della frutta è necessaria molta forza lavoro - tanti braccianti - in pochi giorni. Quando è pronta, la frutta va raccolta in fretta. Per lavoratori stranieri in cerca di fortuna, pochi giorni di lavoro è meglio di niente.
Come Comunità Papa Giovanni, insieme alla Caritas locale, gestiamo dal 2006 a Saluzzo una casa di accoglienza per queste persone in cerca di lavoro. Abbiamo ospitato fino a 100 persone, divenendo un punto di riferimento per questi migranti, specie per i più vulnerabili, seguendo il carisma che ci ha lasciato il nostro fondatore, don Oreste Benzi, di essere al fianco degli ultimi tra gli ultimi. Tutto senza alcun contributo pubblico. Non è stato semplice.
Ci sono stati diversi episodi difficili. Ne cito uno di alcuni anni fa. Una sera arrivarono presso la casa un gruppo di migranti che erano rimasti esclusi dalla mensa, in quanto non c'era posto per tutti. Volevano rubare il pentolone della pasta. Chiamammo le forze dell'ordine per sedare gli animi, ma capivamo le ragioni di chi aveva fame. Vengono in mente le parole di Primo Levi: “Considerate se questo è un uomo che lotta per mezzo pane”. Ogni anno i posti che riuscivamo ad offrire non bastavano mai: ne servivano almeno il doppio. In mezzo a tante parole c'è chi si sporca le mani, anche col rischio di rimanere contagiati.
Quest'anno sono molto meno rispetto al passato si pensava che a causa del Covid non si ripetesse il fenomeno. Invece sono arrivati.
Sono molto meno rispetto al passato, ma non sono stati predisposti interventi per le note ragioni di sicurezza sanitaria.
In tutti questi anni non c'è mai stata una soluzione definitiva del problema.
Quali soluzioni possibili?
Si potrebbe realizzare un campo di prima accoglienza dove avere un primo contatto con i migranti che arrivano in zona. Quest'anno, a causa dell'emergenza sanitaria, dovrebbe esser gestito dalla Protezione Civile. Inoltre ci vorrebbero tanti mini-campi nei pressi dei luoghi in cui si raccoglie la frutta, gestiti dagli agricoltori. Quest'ultimi potrebbero usare a questo scopo una parte della paga dei braccianti. E' quella che si chiama “accoglienza diffusa”, un'esperienza che sta funzionando. Si evitano grandi assembramenti, difficili da gestire e che presentano problemi di sicurezza e di igiene, creando fondati timori nella popolazione residente. In un campo piccolo, invece, si seguono meglio gli ospiti e c'è meno timore da parte della popolazione. La gestione dovrebbe essere realizzata da Tavoli concordati che coinvolgano tutti gli attori: Prefetture, Questure, Asl, Enti locali, Privato Sociale e cittadini.
Chi cerca lavoro, cerca dignità.
Cordialmente,
Giovanni Paolo Ramonda
Presidente Comunità papa Giovanni XXIII