Don Oreste Benzi, fondatore dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, nel 1983 ha incontrato il vescovo di Ndola (Zambia) lo ha invitato ad andare in una delle nostre case famiglia. Il vescovo ha accettato questo invito. Mentre il vescovo stava visitando una casa famiglia, una ragazza accolta, gravemente disabile, gli si è seduta sulle ginocchia e lo ha abbracciato come un papà: lui si è profondamente commosso e ha detto “voglio che anche nella mia diocesi ci siano le case famiglia!” Così ha invitato don Oreste ad andare a Ndola e a trovare qualcuno che andasse laggiù a condividere la propria vita con i bambini disabili africani. Nel 1985 si aprì la prima missione in Zambia.
Da allora la Comunità ha aperto case famiglia e strutture in più di 30 Paesi dei cinque continenti, ed ha dato vita ad una ONG, “Condivisione fra i popoli”, che dal 1989 promuove e sostiene progetti in molte delle nazioni raggiunte.
Ti invitiamo a visitare le pagine dei paesi in cui è presente la Comunità Papa Giovanni XXIII per conoscere i particolari dei progetti realizzati, in cui attualmente continuano ad operare i nostri missionari e i volontari.
«Il nostro DNA è sempre lo stesso: dare una famiglia a chi non ce l’ha. Un papà e una mamma, ma anche una famiglia più ampia attraverso le cooperative, le comunità terapeutiche, il sentirsi parte di un’unica grande famiglia. Nonostante la morte di don Oreste non solo si sono mantenute le opere già attive ma sta aumentando la nostra presenza nel mondo. Il carisma rimane uguale ma si esprime in forme diverse.
Il DNA si deve inculturare nelle diverse situazioni. Solo dopo anni si entra nella cultura di un popolo. La cosa però che viene riconosciuta subito è il fatto che mettiamo la nostra vita con i poveri, i disabili. In Asia siamo in un mondo prevalentemente musulmano e induista. Certo ci sono anche momenti in cui veniamo perseguitati, minacciati. Nel mondo africano si incontrano altre situazioni: lì si muore per fame, per malattia. Condividere la vita allora vuol dire anzitutto salvare dalla morte. In Europa l’eclissi della famiglia sta diventando un dramma sociale, c’è l’esaltazione della solitudine, dell’individualismo. Attraverso l’accoglienza dei poveri noi facciamo splendere la funzione della famiglia, perché questo è un linguaggio che comprendono tutti.
L’elemento comune è accogliere i poveri muovendoci come unica famiglia spirituale. Dovremo poi essere sempre presenti nelle periferie esistenziali, come sottolinea papa Francesco. Qualcuno dice: "Perché continuiamo ad aprire nuove realtà di condivisione anziché consolidare quelle esistenti?". Perché dobbiamo essere contemporanei alla storia: lo Spirito Santo ci chiama, e chissà cosa ci aspetta in questi nuovi incontri. Dobbiamo essere dove ci sono le coincidenze con il Signore, come diceva don Oreste. Non ci dobbiamo rinchiudere in quello che già c’è. Il Signore vuole da noi molto di più».
Giovanni Ramonda