Il 1 dicembre è la giornata mondiale contro l’AIDS. Per noi celebrare il primo dicembre sembra essere diventato un momento per gioire di tutti i passi in avanti che la ricerca medica ha fatto nell’ambito della cura dell’AIDS.
Come se ormai questa terribile malattia fosse solo un fantasma del passato. Ci sono le medicine, quindi tutti quelle persone che hanno contratto il virus e magari lo contrarranno possono curarsi ed avere una prospettiva di vita più lunga. Ma è proprio così? O meglio è così in tutto il mondo?
La risposta è semplice ma purtroppo drammatica. NO. Non è vero che tutti possono avere accesso ai farmaci non solo perché le medicine possono non essere accessibili (in tanti paesi vengono date gratuitamente), ma perché accesso ai farmaci vuole dire anche avere i soldi per pagare il trasporto verso l’ospedale e il cibo necessario per assumere dei farmaci così importanti. E questo per molte persone che vivono con meno di 1 euro al giorno, è un’utopia! Per contrastare davvero questa epidemia quasi dimenticata, bisogna quindi spezzare con decisione il circolo vizioso povertà/AIDS dove una alimenta l’altra.
Gli operatori del Progetto Rainbow della Comunità Papa Giovanni XXIII, nato nel 1998 in Zambia per dare una risposta agli orfani dell’AIDS, ci dicono che sono ancora tantissime le persone affette dal virus.
La metà delle mamme che seguiamo nei centri nutrizionali è sieropositiva ed oltre il 20% dei loro bambini ha contratto il virus. Sono purtroppo poche quelle di loro che si possono permettere di accedere i farmaci necessari. Certo non è più quella malattia che a metà degli anni ’90 ha cancellato un’intera generazione, ma è ancora una delle principali cause di mortalità.
Il primo dicembre è quindi ancora la giornata mondiale per la lotta all’AIDS e lo sarà fino a che ci sarà anche solo una persona del pianeta che non potrà avere accesso alle cure necessarie.
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