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Paolo Ramonda abbraccia una ragazza disabile, foto di Caterina Balocco

Ramonda: «Abbiamo una rete sociale che è la migliore al mondo»

Il Presidente Ramonda: «Il vero problema è la vigilanza: non tutto nell'affido minorile è sbagliato, ed estremizzare non aiuta. Occorre sostenere la famiglia naturale ma anche i servizi: senza, il Paese crolla».

Allontanamenti zero? Oltre che l'obiettivo indicato dalle Carte internazionali di tutta del minore, sarebbe l'indice di una società perfetta. «Ovvio che sarebbe il massimo: le case famiglia non avrebbero ragione di esistere, se tutti i bimbi potessero vivere nelle loro famiglie naturali, o in caso di difficoltà essere accolti in famiglie affidatarie con l'obiettivo di tornare al più presto alla famiglia d'origine. Ma la realtà non è questa e con la realtà bisogna fare i conti, per il bene dei bambini». Lo sa bene Paolo Ramonda, successore di don Oreste Benzi alla guida della comunità "Papa Giovanni XXIII", l'associazione che con oltre 500 case di accoglienza di diverse tipologie in 45 Paesi (la maggior parte in Italia) dà una famiglia veramente a tutti, soprattutto a chi altrove faticherebbe a ricevere accoglienza (disabilità gravissime, zero risorse economiche...). Accolgono migliaia di "pietre scartate" e per almeno la metà di loro non percepiscono retta.

Anche voi avete firmato il documento che critica il progetto di legge del Piemonte intitolato "Allontanamentizero". Ma che arrivino più aiuti alle famiglie in difficoltà non è positivo?

Non tutto nella proposta di legge è sbagliato, ma le estremizzazioni non vanno mai bene, perché non si tiene conto della vita vera e delle enormi difficoltà che comporta occuparsi delle famiglie fragili. Da una parte occorre fare un lavoro sul territorio, ovvero che lo Stato dia più sostegni economici, educativi, sportivi, ricreativi e quant'altro alla famiglia d'origine, che quando è in difficoltà va potenziata: così si fa prevenzione. Ma poi esistono casi in cui la capacità genitoriale è nulla, i piccoli sono maltrattati, picchiati, sfruttati... In Italia per fortuna esiste un sistema sociale che è il migliore al mondo, capace di dare le risposte per questi casi: nelle case famiglia i bimbi trovano protezione e l'amore di una madre e un padre, possono studiare e crescere senza avere paura. In Africa, Asia e America Latina c'è l'abbandono totale. Ieri ero in Thailandia nella nostra casa famiglia di Bangkok dove abbiamo accettato 5 bambini disabili gravissimi, in quella cultura considerati una maledizione e lasciati morire per strada.

L'affido sarebbe temporaneo, un affiancamento alla famiglia in difficoltà avendo come obiettivo ove possibile il rientro a casa. Cosa diversa è la casa famiglia: chi vi viene accolto?

Coloro che una volta finivano nei grandi istituti, che per fortuna non esistono più: chi non è adottabile, ad esempio perché i genitori ci sono ma non riescono a gestire le gravi disabilità o i disturbi comportamentali del figlio... Non è che la mamma e il papà non gli vogliano bene, ma esistono situazioni davvero troppo pesanti. Allora la casa famiglia dà le giuste risposte grazie alla competenza del personale e, quando è possibile, valorizzando la famiglia d'origine. Quando parlo di "personale" intendo le due vere figure genitoriali che nelle nostre case famiglia sono presenti 24 ore al giorno. Naturalmente però hanno il titolo di educatori riconosciuto dallo Stato: le nostre sono tutte strutture soggette a vigilanza.

Perché dà fastidio il titolo "Allontanamenti zero"?

È pericoloso se diventa un assoluto, magari dettato da posizioni ideologiche, molto lontane dalla realtà quotidiana. E rischia di fare di tutta l'erba un fascio: l'affido ad esempio non è un "allontanamento", è un meraviglioso sostegno temporaneo al bambino e alla famiglia d'origine, perché alla fine lui possa rientrare.

Non sempre finisce così, però.

Il rischio di insuccesso c'è, purtroppo. Il vero problema è la vigilanza: i servizi sociali e i giudici del Tribunale dei minori dovrebbero verificare assiduamente se esistano ancora i presupposti per l'affidamento o se è arrivato il momento in cui il bimbo può rientrare in famiglia. Perché non si fa abbastanza? Per mancanza di risorse e di personale: lo Stato deve potenziare anche i servizi sociali sul territorio e i Tribunali. La rete di per sé è ottima, ma se non ci sono le persone il sistema ha gravi falle.

Possibile che basti la relazione di un assistente sociale per l'allontanamento di un figlio? I fatti di Bibbiano parlano chiaro...

L'assistenza sociale deve lavorare per la famiglia, non contro, utilizzare le risorse sociali del territorio, ascoltare le famiglie vicine, le insegnanti, il popolo che conosce quei genitori! E prima di arrivare all'allontanamento deve risolvere le carenze dando sostegni. Vivono in roulotte? Non gli tolgo i figli, gli do una casa popolare. Nel proposito di dare più risorse alla famiglia naturale, il progetto di legge piemontese è positivo, ma senza togliere forze al sistema sociale: non sono una contro l'altro, sono un'alleanza. Distrutta la rete sociale, per il Paese sarebbe il tracollo. Nelle nostre case famiglia vivono gratuitamente - nessuno paga la retta per loro - migliaia tra barboni, anziani soli, adulti disabili, ex prostitute, ex drogati, vittime dell'azzardo, interi nuclei familiari in povertà. E i ragazzi che lo Stato ha tutelato da minorenni, compiuti i 18 anni dove vanno? Per strada? Da noi possono restare liberamente, come figli. Se tutto questo crolla, cosa succede al Paese?

 

 



Lucia Bellaspiga - Avvenire, 18 Gennaio 2020 - foto di Caterina Balocco
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