«L’indennità di accompagnamento e tutte le forme risarcitorie servono non a remunerare alcunché, né certo all’accumulo del patrimonio personale - si legge nella sentenza del Consiglio di Stato del 29 febbraio scorso - bensì a compensare un’oggettiva ed ontologica (cioè indipendente da ogni eventuale o ulteriore prestazione assistenziale attiva) situazione d’inabilità che provoca in sé e per sé disagi e diminuzione di capacità reddituale. Tali indennità o il risarcimento sono accordati a chi si trova già così com’è in uno svantaggio, al ne di pervenire in una posizione uguale rispetto a chi non soffre di quest’ultimo ed a ristabilire una parità morale e competitiva. Essi non determinano infatti una 'migliore' situazione economica del disabile rispetto al non disabile, al più mirando a colmare tal situazione di svantaggio subita da chi richiede la prestazione assistenziale, prima o anche in assenza di essa». Si chiude così una faticosa battaglia tra le famiglie dei disabili ed il Governo, dopo che quest’ultimo aveva preteso, nella compilazione dell’ISEE, di comprendere tra i redditi della famiglia l’Indennità di accompagnamento. Una palese ingiustizia secondo le famiglie, che ora è stata nalmente chiarita.