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La Consulta dà il via libera all'adozione aperta. Don Benzi lo propose 28 anni fa

Ieri la Corte Costituzionale ha dato il via libera all'adozione aperta: il giudice potrà preservare il mantenimento di alcune relazioni affettive con componenti della famiglia d'origine.

L’Alta Corte ha stabilito che “l'attuale disciplina dell’adozione piena non impedisce al giudice di
prevedere, nel preminente interesse del minore, che vengano mantenute talune relazioni socio-affettive con componenti della famiglia d’origine”. Con la sentenza n. 183 del 28 settembre 2023, redattrice la giudice Emanuela Navarretta, la Corte costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di legittimità costituzionale che erano state sollevate sull’articolo 27, terzo comma, della legge n. 184 del 1983, e ha precisato i termini della sua interpretazione conforme a Costituzione.
La Corte ha chiarito che il riferimento nella disposizione alla cessazione dei rapporti con i componenti della famiglia d’origine riguarda sempre i legami giuridico-formali di parentela. Diversamente, per le relazioni di natura socio-affettiva non si può ritenere, in termini assoluti, che la loro cessazione realizzi in ogni caso l’interesse del minore.

La Consulta ha dunque distinto i legami giuridici da quelli affettivi. Emblematico è il caso della relazione tra fratelli e sorelle non adottati dalla stessa coppia. Come ha spiegato la giudice Navarretta, “l’esigenza di allontanare il bambino da un passato per lo più doloroso e quella di assicurare la massima autonomia educativa ai genitori adottivi non deve però sottendere un divieto per il giudice di ravvisare in concreto un interesse dell’adottando a mantenere positive relazioni socio-affettive”.

Don Oreste Benzi lo propose 28 anni fa, da solo, prima di tutti, ricevendo numerose critiche, in un'editoriale pubblicato su Avvenire del 16 Luglio 1995.

Riportiamo qui di seguito l'articolo del 1995:

Conoscere la madre vera? L'adozione non spenga il desiderio di ogni figlio
Oreste Benzi

La provocazione arriva dalla Germania: il bambino adottivo può rimanere in contatto con la madre naturale. Si chiamano «adozioni aperte» e sono nate per permettere ai minori di scoprire le proprie origini e di crescere senza la convinzione di essere figli di serie «b» perché abbandonati. In Italia però questo istituto non piace: Marco Griffini dell'Aibi parla di un modo per «tenere il piede in due scarpe» e di «una soluzione su misura degli adulti che crea solo una confusione emotiva nei piccoli». Una voce fuori dal coro, invece, e quella di don Oreste Benzi che interviene nel dibattito in difesa della sperimentazione tedesca.

Dobbiamo difendere il diritto dei minori nei confronti degli adulti e non i «diritti» degli adulti sui minori. Ogni figlio ha diritto di restare con la mamma e il papà che l'hanno generato. Il bisogno di rimanere con i genitori biologici è inscritto negli ordini in codice dei cromosomi. Il figlio vorrà sempre conoscere chi è suo padre e sua madre e incontrarli: la documentazione che attesta tale bisogno è così abbondante che nessuno può negarlo. Bisogna fare il possibile perché ogni figlio, che ha genitori inidonei, possa sapere dove sono e avere relazioni con loro, anche se minime. Impedire a un minore di venire a contatto con i suoi genitori è una violenza inaudita. L'affidamento familiare è la via splendida che salva questo essenziale diritto alla madre e al padre. L'adozione come è attuata ora in Italia va modificata. A meno che i genitori siano morti, si deve rispettare il diritto del bambino a partecipare alla scelta dei genitori adottivi; finché i genitori biologici sono vivi bisogna procrastinare l'atto giuridico dell'adozione all'età in cui il minore è capace di scegliere consapevolmente. L'atto adottivo giuridico è una garanzia per gli adottanti, non per il minore; questi infatti non vorrà mai sentirsi bloccato dalla condizione di «adottato».
Si rimane stupiti di fronte alla difesa così tenace che anche presidenti di Associazioni degne di stima esercitano a favore del «diritto» dei genitori adottanti sui figli adottati. Sono gli adulti che discriminano; i bambini hanno tanto amore da darne a tutti, ai genitori affidatari e adottivi. Per quanto riguarda il rapporto tra genitore adottante e affidatario e bambino adottato o affidato, si tenga conto che il bambino si relaziona ai genitori affidatari nel medesimo modo con cui si relaziona a quelli adottivi: i bambini sentono l'amore che viene dato a loro. È l'atteggiamento dei genitori affidatari che è diverso da quello dei genitori adottivi. L'affetto dei genitori affidatari verso il bambino affidato è pieno e gratuito e garantisce al bambino la speranza del ritorno ai genitori naturali. Comunque non esclude di per sé tale possibilità: il bambino rimane libero. L'amore dei genitori adottivi invece, per quanto possa essere pieno, esclude per sempre la possibilità del ritorno ai genitori biologici; lentamente ma decisamente si crea una ferita profonda, che disturba la maturazione della personalità del figlio adottato. L'alta percentuale dei fallimenti delle adozioni, specialmente internazionali, lo dimostra. Io ho sempre sostenuto e sostengo tuttora fermamente che la generazione biologica non fa di per sé diventare padre e madre, ma è la rigenerazione nell'amore che fa essere papà e mamma. Per questo motivo ogni minore può avere un papà e una mamma che lo rigenera nell'amore. Tuttavia i migliori papà e mamme, affidatari o adottivi, non cancellano nel figlio, adottato o affidato, il bisogno invincibile di incontrare chi lo ha generato. La legislazione che impedisce di soddisfare questo bisogno costituisce violenza contro il minore. Dire che in Italia un minore può recarsi da un Magistrato a chiedere informazioni sulle proprie origini, e ritenere che questo sia sufficiente per placare il suo bisogno di incontro, è irrisione e crudeltà.
Io però credo alla grandezza del cuore di chi adotta e credo che i veri genitori adottivi saranno i primi a chiedere la modifica della legge sull'adozione, per quello che riguarda il rapporto del figlio adottato con i genitori d'origine. Auspico che anche in Italia si arrivi alla pratica dell'adozione semiaperta e aperta. Credo che questa sia una cosa profonda e saggia e soprattutto cristiana: chi ama veramente in Cristo è capace di morire per chi ama. Tanto più è capace di garantire la risposta ai bisogni essenziali del bambino.

(Avvenire, “Società”, Domenica 16 luglio 1995)

 

 



 

 

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