Ore 12.33, la penisola iberica si spegne. Martedì 28 aprile un gigantesco blackout si è verificato in Portogallo, Spagna e parte del sud della Francia. La penisola iberica è rimasta interamente senza energia elettrica fino a notte fonda, poi pian piano la luce è tornata nelle varie città ed ora l'energia elettrica è tornata in tutto il Portogallo e nel 99,5% della Spagna.
Il blackout ha letteralmente fermato i due paesi: semafori spenti e traffico in tilt nelle grandi città, chiusi aeroporti, ferme le metropolitane, chiusi i distributori di benzina, nessun collegamento internet, nessun pagamento elettronico funzionante, chiusi i bancomat.
In Spagna, a Guadalajara, una città di quasi 90mila abitanti a 70 chilometri da Madrid, è presente una casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII.
«Ieri sera abbiamo acceso la griglia e abbiamo cucinato piadine e arrostito un po' di carne. Grazie al Cielo non faceva freddo». A parlare è Arturo Mottola, 63 anni, originario di Napoli ma una vita in giro per il mondo, responsabile della casa famiglia insieme alla moglie Vicki, boliviana.
«Non funzionava nulla, – spiega Mottola – nei primi minuti del blackout ho fatto in tempo a mandare un messaggio a mia sorella in Italia per capire se anche lì c'erano problemi, poi ho sentito mio figlio che vive a Madrid, e poi è saltata anche la connessione della rete mobile. Non andava la televisione, il wi-fi, il telefono. Mi sono ricordato di una mia vecchia radio a onde corte e così abbiamo ascoltato le poche notizie e capito quello che stava succedendo».
Adesso è ancora tutto abbastanza silenzioso. Le scuole sono chiuse e anche le fabbriche. La luce è tornata all'una di notte. Mio figlio è uscita dalla metro di Madrid e poi è tornato a casa a piedi. Qui a Guadalajara c'è l'area industriale del Corredor del Henares e molti lavoratori ieri pomeriggio sono tornati a casa a piedi facendo decine di chilometri a piedi.
Siamo qui da cinque anni, siamo in otto, con noi c'è anche una ragazza con una grave disabilità, e poi c'è una gran via vai in casa. Viviamo in una struttura della Diocesi di Guadalajara, tanto che ieri le suore che vivono di fianco a noi hanno dovuto usare i nostri passaggi perché il loro portone era bloccato.
Io lavoro in Caritas dove sono responsabile dell'area famiglia e della pastorale Rom. Ora stiamo per aprire un nuovo centro, ci mancano le ultime firme per procedere.
Io sono partito da Napoli giovanissimo, ho fatto il servizio civile in una comunità a Milano per poi entrare nell'Ordine dei frati francescani e poi sono partito in missione prima in Africa e poi in Bolivia. Qui ho capito che la vita religiosa non faceva per me ma ho continuato a lavorare per sette anni in un centro per ragazzi disabili che avevo fondato. Qui ho poi conosciuto Vicki con cui mi sono sposato. Come coppia abbiamo vissuto in Brasile, qui ho conosciuto Paolo Tonelotto – storico missionario con sua moglie Anna – che ci ha parlato della vocazione intuita da don Oreste Benzi e così siamo entrati nella Papa Giovani.
Abbiamo vissuto sei anni in Cile, poi siamo tornati in Bolivia, tre anni nella capitale La Paz e sei anni a Yacuiba nel sud del paese. Poi abbiamo vissuto sette anni in Argentina, nella città di Salta. Infine siamo tornati in Italia, vivendo per due anni a Lamezia Terme, in Calabria. Ed ora dal 2020 siamo qui in Spagna.
Devo dire che, per quel che ho visto io, la gente è stata bravissima, tutti disciplinati, senza scene di panico pur nel grave disagio, dato che molti si sono fatti decine di chilometri a piedi per tornare a casa. Ognuno ha fatto la sua parte.