Uno sforzo senza precedenti è richiesto alla Comunità Papa Giovanni XXIII in Italia e nel mondo.
210 profughi sono accolti in convenzione coi prefetti; 600 stranieri vivono nelle accoglienze per adulti, nelle famiglie e nelle case famiglia, nelle parrocchie, nelle Capanne di Betlemme dei senza fissa dimora, sono dislocati nelle comunità terapeutiche, nelle foresterie. O sono affiancati dai volontari nelle accoglienze di secondo livello per il reinserimento in società.
Dal fronte: in Zona Sud la casa di accoglienza per minori stranieri non accompagnati di Reggio Calabria (i genitori di questi bimbi talvolta son morti in mare) in questi giorni è allietata dalla presenza di un bebè: è nato il figlio di due minorenni nigeriani, richiedenti asilo e sbarcati qui da poco più di un mese. Lei, la mamma, era stata rapita in Libia e il marito aveva lavorato per pagarle il riscatto prima di abbracciarla salendo sul barcone. E’ una storia di speranza fra le circa 50.000 (ma il blog di Gabriele Del Grande che conta le morti in mare è fermo ormai da un anno) che non lo sono più.
Sul fronte interno la morte può arrivare per asfissia in un container. Alcuni volontari di Operazione Colomba, corpo di pace della Papa Giovanni, sono in viaggio in Serbia e in Macedonia, sulla via dei profughi. A Llojane, ultimo villaggio macedone prima della Serbia, hanno trovato una frontiera chiusa e presidiata da poliziotti ben armati; riescono a ricostruire il tragitto dei migranti attraverso un varco a Tabanovoce, con una staffetta che porta al campo profughi di Prescevo. Chi scappa ha nel cuore l'Ungheria, e poi l'Europa. I volontari scoprono treni della speranza, tassisti improvvisati. Una mamma è in fuga sulla sedia a rotelle per le ferite del viaggio, accompagnata dal marito e dalla sua bimba. Ecco il bel reportage.
Più a Est, una delegazione della Comunità è arrivata nei giorni scorsi ai confini con la Siria, da dove molti di queste persone hanno iniziato, o stanno per iniziare, la fuga. In Libano, fra le tende dei profughi, il Responsabile Generale Giovanni Ramonda ha incontrato le famiglie, disposte a tutto pur di cercare sopravvivenza. Un bimbo è diventato disabile per le malattie contratte al campo; in un campo a Tel Abbas Ramonda conta 350 persone da salvare e lancia un appello urgente alle nostre (nostre: mia, tua) coscienze:«Qui ci sono famiglie intere che non hanno via d’uscita: in Siria finirebbero nelle mani dell'Is, in Libano l’esercito li caccia. Saranno costretti ad affidarsi ai trafficanti. Noi faremo tutto il possibile perché possano venire in Europa in maniera legale. Noi come Comunità siamo disponibili ad accoglierle».
Valle di Castelgomberto, Vicenza. Arrivano distorte le urla di dolore dei migranti, strumentalizzate dalla propaganda politica, e la gente ci casca: il parroco aveva deciso di mettere a disposizione della Comunità Papa Giovanni XXIII la vecchia canonica dismessa per 6 accoglienze, e aveva deciso di convocare un'assemblea nella chiesa per parlarne. Risultato: un gruppo su Facebook ha portato oltre 200 persone a contestare il prete, il dibattito è finito presto in pasto alla stampa nazionale. «Siamo preoccupati per cosa succederà dopo - sono le maggiori lamentele della gente -, dove andranno gli immigrati? Cosa faranno se non verranno riconosciuti come rifugiati? E chi interviene se rubano o ammazzano? Noi non ci sentiremo più liberi di lasciar uscire i nostri figli da soli per strada».
Quest'anno in Europa sono arrivate 437 mila richieste di asilo politico; ne erano arrivate 269 mila nel 2014. Ogni richiesta, un richiedente (i numeri sono quelli dal settimanale Vita). In Italia abbiamo 254 richiedenti asilo ogni 100.000 abitanti, contro i 676 della Germania, i 2359 della Svezia (dati forniti dall'Alta commissione per i rifugiati delle Nazioni Unite): i fortunati che riescono a non farsi prendere le impronte digitali da noi si affrettano a scappare verso il Nord.
Siamo un paese di transito; le accoglienze dei richiedenti asilo in Italia sono per lo più temporanee.
Poi ci sono le storie come quella di Ikosas, fuggito dalla Nigeria, arrivato in Italia l'anno scorso e ospitato come richiedente asilo nell'Hotel Royal della Papa Giovanni XXIII a Cattolica: «E’ bravissimo - dice Giorgio Pollastri il gestore dell’albergo -, lo vorremmo tenere qui: lavora da noi come barman con un contratto di lavoro regolare. Ma il 15 dicembre saprà come andrà la sua domanda di asilo, quale sarà il suo futuro, se potrà rifarsi una vita o se dovrà ritornare indietro».
Per contribuire alle accoglienze: link.
(Marco Tassinari)