APG23
11/05/2015
“Me lo ricordo bene: ho rinunciato al dottorato il 14 novembre. Già da un paio di mesi andavo alla Capanna di Betlemme tre volte alla settimana, dopo l’università, come volontario. Ma più passavano i giorni e più diventava forte in me il desiderio di fare qualcosa di più.
Adesso abito qui, e condivido la mia vita con i senza fissa dimora. Alla sera li vado a prendere in stazione con il furgone, mangiamo insieme, dormono alla Capanna e poi alla mattina li riaccompagno in strada. Le persone senza dimora che accogliamo alla Capanna possono restare con noi anche fino a 15 giorni, ma poi chiediamo loro di lasciare il posto ad altri. Così possiamo assicurare un aiuto a più persone” ci spiega Alessandro. “Andiamo a ritirare i prodotti vicini alla scadenza nei supermercati, oppure ci cimentiamo in un laboratorio teatrale. Poi mangiamo tutti insieme; stamattina ho dato una mano a costruire un forno per le pizze, la vita qui è molto varia".
"All’università ero piuttosto bravo, il mio sogno nel cassetto era quello di diventare commissario di polizia o magistrato. Quando ho scelto di lasciare il dottorato per venire a condividere con i poveri i miei genitori, inizialmente, sono rimasti spiazzati, anche se loro hanno sempre avuto una mentalità aperta all’accoglienza. Fin da piccolo ho avuto dei fratelli in affido. Adesso anche loro mi vedono contento, pieno, vivo".
"Nei prossimi giorni inizierò il corso per missionari organizzato da APG23. Certo, vivere con i senza dimora non è semplice, ma almeno qui a Bologna posso vedere la mia famiglia e i miei amici quando voglio. Invece, andare in missione vorrà dire mettere in discussione tutto. Non so se farò l’avvocato nella mia vita, forse fra un anno scoprirò che era proprio quella la mia strada, ma per adesso mi sento all'antipasto del mio percorso e tutto deve ancora succedere".
Sono passati due mesi da questa chiacchierata con Alessandro. Nel frattempo, ha presentato domanda per il servizio civile e a giorni saprà se partirà come casco bianco per un anno in Zambia.
Il bello di un’esperienza di volontariato vissuta intensamente e con passione è proprio questo: non sai mai dove ti porterà!
In bocca al lupo, Alessandro!
Aiutaci a dare un pasto a chi non ce l’ha.
APG23
08/05/2015
Sono "impronte che segnano": violenze, abusi e maltrattamenti; avvengono a danno di bambini ed adolescenti. Quando si riscontrano, sono i primi gravi sintomi di un malessere sociale diffuso. Una serata regionale di approfondimento a Padova si propone di far conoscere ai cittadini gli strumenti concreti per la tutela dei minori, perché tutti sappiano come intervenire correttamente in caso di emergenza.
L'evento si inserisce all'interno delle iniziative per la giornata regionale veneta contro il maltrattamento dell'infanzia e dell'adolescenza del 15 maggio; chiamerà a confronto psicologi, assistenti sociali e famiglie che ospitano i minorenni allontanati dai genitori. Interverranno Alessandra Boscato, responsabile della tutela dei minori del Comune di Padova; la Dottoressa Patrizia Montorfano, psicoterapeuta; Valentina Tommasin, assistente sociale.
La serata è promossa dall'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, fondatrice, insieme ai coordinamenti regionali rappresentativi di centinaia di realtà venete (del sociale, del volontariato, del mondo professionale e della scuola), del tavolo "Un welfare per i minori”.
Il simbolo di un cerotto rosso a forma di cuore contraddistingue tutte le iniziative che avvengono nel Veneto.
«La giornata rilancia la campagna "lascia il segno giusto”, che vuole creare una sensibilità diffusa sull’argomento del maltrattamento dell'infanzia e dell'adolescenza in Veneto, e che punta a produrre una spinta sul legislatore», spiega Giorgio Malaspina, a nome del servizio minori dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII che opera in Veneto. E continua: «Nel frattempo come Comunità Papa Giovanni XXIII promuoviamo iniziative di denuncia là dove sono evidenti le ingiustizie. E' il caso dei continui tagli regionali al comparto, e della mancanza di una progettazione sul lungo periodo, che ci preoccupano enormemente».
Appuntamento venerdì 15 maggio alle 20.30 a Ponte di Brenta (Padova) nell’auditorium di Piazza Barbato 1
sito web e materiale divulgativo: http://www.unwelfareperiminori.org
APG23
16/04/2015
H., ragazzina 12 anni, della Repubblica del Gambia, ha assistito lunedì all'affondamento nelle acque libiche del gommone su cui viaggiavano i genitori e la sorella. L.G., eritrea, invece è neo-mamma, ha partorito nella notte fra lunedì e martedì, sulla nave Orione della Marina Militare, il suo primo figlio, A.G, accompagnata dal marito.
Sono i primi accolti dalla casa di prima emergenza per i minorenni che la Comunità Papa Giovanni XXIII apre a Reggio Calabria, nel bel mezzo di una fase di emergenza, prima ancora dell'inaugurazione ufficiale.
«Siamo di fronte ad una situazione gravissima anche dal punto di vista umanitario, sta per scoppiare qualcosa di mai visto in Italia», avverte Giovanni Fortugno, responsabile della casa di accoglienza e animatore del Servizio Immigrazione della Comunità Papa Giovanni XXIII, fin dall'inizio in prima linea nell'affrontare l'emergenza sbarchi.
«Facciamo tutto il possibile per accogliere queste persone, ma l'Europa faccia la sua parte – commenta Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità. – L'Italia non può farcela da sola. Noi apriamo all'accoglienza le nostre strutture e i nostri alberghi, nonostante la minaccia di occupare gli alberghi destinati ai profughi lanciata qualche giorno fa da Matteo Salvini.
«Le regioni e i parlamentari che vorrebbero chiudere le porte alle accoglienze dovrebbero piuttosto rivolgersi all'Europa chiedendo di modificare gli accordi di Dublino – prosegue Ramonda –. I rifugiati devono poter presentare richiesta di asilo in tutti gli stati europei e non solo dove sbarcano: questa è l'unica soluzione di fronte ad ondate migratorie che non possono essere fermate. Chiediamo di creare un canale umanitario per impedire drammi come quello che sta vivendo questa ragazzina di 12 anni che abbiamo accolto».
APG23
01/04/2015
«Te lo aveva detto una volta mamma Luci, mentre aspettavamo che cominciasse lo spettacolo del circo. Vedendo altri bambini che correvano lungo le corsie tra le panche, avevi chiesto: “Mamma, correrò pure io come loro?”. Recuperando il cuore dall’abisso in cui era sprofondato, mamma Luci ti aveva risposto: “Certo! A modo tuo”».
A causa di un’infezione alla nascita Laura non può camminare. Tuttavia – in questi suoi primi 29 anni – è riuscita ad essere atleta, brillante studentessa, laureata in storia con borsa di studio per il dottorato, e ancora parlamentare, felice sposa. Grazie alla sua vitalità, alla sua tenacia, e alla stimolante vicinanza di coloro che hanno creduto in lei.
Il padre Francesco Coccia ha dato alle stampe il libro A modo mio nel quale, con linguaggio dolce e simpatico, risoluto e appassionato racconta a Laura la sua vita come fosse una “favola”. Ne esce un testo da cui emergono in filigrana una famiglia che sa essere base sicura e trampolino di lancio, genitori accoglienti, una figlia che si butta nella vita con la consapevolezza dei suoi limiti e la competenza per renderli un talento.
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APG23
24/03/2015
«Anziché bombardare i barconi rendiamoli inutili aprendo un canale umanitario. Ci costerà molto meno e salveremo molte più vite umane. Nessuno si affida a dei trafficanti se può avere un regolare permesso e andare nel Paese di asilo in nave o in aereo. Magari anche pagando il biglietto, visto che adesso questi poveri disperati pagano migliaia di euro ai trafficanti che spesso li conducono alla morte».
Così commenta Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, le decisioni prese ieri dal Vertice UE sull'emergenza sbarchi.
«Triplicare le risorse Frontex è già una risposta, ma solo di tipo contenitivo, che non risolve il problema alla radice – prosegue Ramonda –. Le soluzioni ci sono: chi viene da paesi come la Siria e l'Eritrea ha sempre diritto di protezione internazionale: perché l'Europa non stabilisce che possa imbarcarsi su voli di linea e chiedere asilo nell'aeroporto di arrivo? Un'altra possibilità è garantire nei paesi limitrofi a quelli da cui fuggono i profughi un luogo sicuro in cui possano chiedere asilo».
«Nel frattempo però – conclude Ramonda – Europa e le Nazioni Unite devono affrontare con serietà le cause di conflitti, sollevando il velo sul commercio delle armi e sullo sfruttamento economico su cui si basa la nostra economia. Solo così interromperemo l'esodo dei disperati».
APG23
19/03/2015
«Mi ricordo di aver pianto di gioia quando vidi la bimba insieme alla madre, pronte a fuggire via», racconta Luca Fortunato, volontario dell’unità di strada della Comunità Papa Giovanni XXIII che l’aveva incontrata per la prima volta a gennaio 2014. «Era una serata freddissima, confrontandoci fra di noi avevamo deciso di tornare a casa, quella sera. Invece ci fermammo di fronte a quella donna che si prostituiva terrorizzata e che non avevamo mai visto prima», dice.
«Dopo alcuni incontri riuscì a superare la paura, a dirci tutto: poteva vedere la bimba solamente alla domenica, se portava 300 euro a settimana alla coppia di aguzzini (lui torinese, lei nigeriana, ci raccontò poi), che la costringevano in strada. Più volte rimandò, per paura di ritorsioni, la decisione di scappare; poi un giorno durante un incontro con la figlia chiese di potersi allontanare un momento per andare a prendere una cioccolata calda. Le dissi per telefono: "vai, prendi il tram delle 7,20", e ci incontrammo con la bimba in un centro commerciale. Adesso rimaniamo in contatto, sono felice si stia ricostruendo una vita normale; sono miracoli che non vedi mai succedere, invece quella volta nel giro di pochi giorni riuscimmo a cambiare una vita».
Jennifer fu accolta da una casa famiglia del nord Italia, dove rimase in protezione, senza contatti con l’esterno, per circa un anno. A fine febbraio 2015 si ricongiunse con il suo ragazzo, in Germania. Nella denuncia dei suoi aguzzini aveva raccontato tutta la sua storia: nigeriana, scappata prima in Marocco e poi in Libia, aveva attraversato il Mediterraneo su un barcone insieme alla sua bambina ed al suo uomo. Nel Nord Africa racconta di essere stata costretta, come molte altre donne, a violenze ed a ricatti; arrivata nella casa famiglia partorì la sua seconda figlia.
Maurizio è il papà della casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII che l’ha accolta: «In casa ora siamo in 6, ma lei ha lasciato il vuoto. E' una mamma con due bimbe vivaci: sentimentalmente io e mia moglie abbiamo dato il tutto per tutto per lei. Nella nostra casa abbiamo una stanza sempre pronta per accogliere le donne che vogliono lasciare la prostituzione; ci auguriamo abbia la forza di non ritornare sulla strada».
La Comunità nel corso del 2014 ha contattato circa 9500 donne vittime di sfruttamento sessuale e di accattonaggio forzato, con più di 800 primi contatti.
Più di 100 volontari hanno operato nelle 21 Unità di strada in 10 Regioni italiane; 264 case famiglia, 32 famiglie aperte e 5 strutture hanno dato disponibilità all’inserimento di donne che escono dalla strada. Sono state assistite 191 vittime di tratta (con 25 figli), prevalentemente provenienti dalla Nigeria.
Nell’anno si sono conclusi 63 programmi di reinserimento sociale, seguiti 4 rimpatri assistiti e 27 tra interruzioni di programmi di reinserimento e abbandono volontario. A questi si aggiungono le circa 600 donne aiutate nel portare avanti la gravidanza, con almeno un centinaiodi bambini salvati dall’aborto.
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APG23
04/03/2015
"Sono venuto a veder realizzati i diritti dei minori” racconta Vincenzo Spadafora, Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza arrivato a Catania per conoscere una Casa Famiglia di APG23 a Catania e “raccontare quello che ultimamente la cronaca tace, ovvero quanto possa essere positiva una casa famiglia”.
«Ho conosciuto una realtà preziosa che racconteremo in giro per l’Italia – dice Spadafora – perché le case famiglia gestite come questa fanno la differenza nell’educazione e nella crescita di un bambino. Ci piacerebbe che tutte funzionassero come la casa famiglia di Santa Venerina, per noi un modello da applicare dove possibile».
Marco e Laura Lovato, con i loro 16 figli tra naturali e accolti, non sono una casa famiglia: sono una “semplice famiglia dentro una casa”, capace di essere anche una risorsa per una comunità, quella della provincia di Catania, Messina, Palermo, dove si diventa grandi troppo presto e dove la mancanza di opportunità lavorative fanno sì che molti ragazzi minorenni scelgano la strada della delinquenza e finiscano, ancora troppo giovani, in carcere.
Prima di visitare la Casa Famiglia, il Garante ha visitato l’Istituto Penitenziario Minorile di Acireale. Un carcere che vuole rieducare e dare la possibilità di ricostruirsi la propria vita e di ricominciare. «Di solito questi ragazzi finiscono in carcere per rapine e spaccio, raramente per reati più gravi, ma la percentuale di recidive è alta», spiega Marco Lovato.
La sfida più importante è fare in modo che, una volta usciti, non tornino a commettere un reato. Difficile, però, quando la tua famiglia, i tuoi amici, l’unico mondo al quale sei sempre appartenuto è proprio quello che ti ha insegnato a delinquere.
Negli anni, Marco e Laura hanno accolto nella loro casa famiglia più di 10 ragazzi provenienti dal carcere minorile grazie alla “messa alla prova”. «All'inizio i ragazzi approdano alla casa famiglia perché obbligati, - racconta Lovato - poi, però, nascono esperienze molto positive, come quelle dei ragazzi che ora lavorano nella cooperativa "Ro la formichina''». In questa falegnameria e nel centro aggregativo “Geremia”, ragazzi che fuori non troverebbero mai un impiego hanno la possibilità di riscattarsi attraverso il lavoro e di valorizzare le proprie potenzialità e abilità.
E’ quello che è successo a Simone, che ha scoperto il valore di una famiglia sulla quale si può contare e dalla quale ha imparato che “farsi aiutare a portare il proprio peso, permette di rimanere in piedi”. Ed è grazie a questo sostegno che è riuscito a riprendere in mano la sua vita, a diplomarsi e iscriversi all’Università: ora gli mancano solo tre esami alla laurea.
I ragazzi che lavorano alla cooperativa hanno voluto regalare al Garante uno dei crocifissi che hanno costruito, utilizzando il legno dei barconi dei profughi in fuga dai Paesi in guerra. «C’è chi teorizza i diritti e chi li mette in pratica, li fa vivere, come fate voi qui, ogni giorno», sottolinea il Garante. «Compito dello Stato è creare le condizioni per farvi continuare senza troppi sacrifici. Voi mi ringraziate, ma sono io a dover ringraziare voi».
A maggio ci sarà anche APG23 tra le “realtà di vita vissuta” di cui il Garante discuterà in Senato. Perché la condivisione diretta che si vive nelle Case Famiglia è un risposta concreta al bisogno di ognuno di crescere amato e di sentirsi importante.
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APG23
21/02/2015
«Le misure adottate ieri dal Consiglio dei ministri a sostegno della maternità sono importanti ma insufficienti. Siamo di fronte ad una emergenza. Stiamo assistendo ad una epidemia della denatalità, che sembra inarrestabile e mina il futuro della nostra società. Per questo serve una misura forte e precisa».
Lo ha detto Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, nel corso del seminario che si è tenuto a Bologna, Palazzo Malvezzi, sul tema “Senza figli non c'è crescita. Diamo uno stipendio ad ogni mamma”.
«La nostra è una proposta netta – ha proseguito Ramonda –: dare 800 euro al mese alle mamme fino al terzo anno di vita del figlio. Non siamo contro il lavoro o gli asili nido, ma siamo convinti che nei primi 3 anni di vita il bambino abbia bisogno della mamma. Perché non dare la possibilità alle mamme che lo scelgono di stare con i loro bambini?».
«Si parla di crescita, ma come fa a crescere il PIL se non cresce la popolazione? – ha detto l'economista Ettore Gotti Tedeschi – Se la popolazione non cresce, il PIL cresce esclusivamente con l'aumento dei consumi individuali. In questi anni ci siamo mangiati i risparmi delle famiglie, ma così abbiamo sacrificato l'indipendenza e l'autonomia della famiglia. Quella della Papa Giovanni XXIII è una provocazione forte. Serve però un appoggio più ampio, soprattutto a livello ecclesiale, perché lo Stato oggi non ama la famiglia. Occorre un cambiamento culturale, per questo propongo che venga dato alla famiglia il Premio Nobel per l'economia, in quanto è la famiglia il motore dell'economia, non solo italiana ma mondiale».
Sostegno alla proposta arriva dal sociologo Francesco Belletti, presidente del Forum delle famiglie. «Non vogliamo rinchiudere le donne in casa, vogliamo che sia restituita la libertà di scelta. Occorre restituire la libertà a chi vuole mettere al mondo dei figli: oggi questa scelta uno se la deve pagare. Voi avete posto l'attenzione sull'elemento nascita, ma poi occorre anche sostenere la famiglia in tutto l'arco di tempo. Le politiche familiari sono politiche di ordinarietà: non vogliamo dare i soldi allo stato perché poi ci restituisca servizi ma che lo stato lasci i soldi alle famiglie perché siano libere».
«Non dobbiamo porre una donna di fronte alla competizione tra fare la madre e scegliere di lavorare – ha avvertito Giorgio Graziani, segretario regionale Cisl per l'Emilia Romagna –. Tre anni a casa sono troppi: siamo fuori dal mercato del lavoro. Noi proponiamo di incentivare il part-time, che consente di non lasciare ad altri i figli per tutto il giorno e intanto di proseguire il percorso professionale. Condivido lo spirito della proposta ma dobbiamo costruire politiche più ampie di sostegno alla famiglia».
«Questa norma che proponete costa troppo, però possiamo trovare delle mediazioni – ha detto Alessandra Servidori, consigliera nazionale di parità del Mnistero del lavoro –. Ad esempio possiamo intervenire sugli assegni familiari, che dal 1996 sono stati spostati sulle pensioni, mentre è giusto che quello che si versa in busta paga per gli assegni familiari sia poi restituito alla famiglia».
Mario Sberna non ha nascosto la sua delusione nei due anni trascorsi come parlamentare. Chiamato da Mario Monti alla politica attiva, dopo la sua precedente esperienza di Presidente dell'Associazione famiglie numerose, ha detto che «il Parlamento riflette la società e alla società della famiglia non interessa nulla». Per questo occorre «ricominciare, per cambiare anzitutto il clima culturale».
Ramonda ha concluso auspicando che nel Sinodo sulla famiglia previsto quest'anno si ascoltino anche i figli e che emergano proposte operative concrete a sostegno della famiglia. «Come credenti – ha concluso – dovremmo unirci su questioni di vitale importanza. Perché ad esempio non apriamo un corridonio umanitario per far nascere i 100 mila bambini che muoiono ogni anno a causa dell'aborto?»
A sostegno della proposta sullo stipendio alle mamme la Comunità Papa Giovanni XXIII ha lanciato una petizione on line che sta sfiorando le 20.000 firme. Si può aderire attraverso il sito www.apg23.org o direttamente dalla piattaforma citizengo.org.
APG23
20/02/2015
APG23 condanna con fermezza la scelta dell'amministrazione comunale di Roma di istituire zone di tolleranza per la schiavitù della donna. Ribadisce l'urgenza di affrontare il fenomeno della prostituzione come accade in altri paesi europei: contrastando la domanda ed istituendo un sistema dimulte progressive per i clienti.
Lo dichiara Giovanni Ramonda, Responsabile Generale della Comunità: «L'unico modo per aiutare davvero queste donne è quello di debellare il fenomeno inaccettabile della prostituzione: i clienti sono di fatto primi sfruttatori della donna, e in secondo luogo finanziatori del racket. Debellare la prostituzione è possibile, da mesi abbiamo presentato al governo una proposta di legge per adottare in Italia il "modello nordico" che sanziona i clienti. Il mondo cattolico deve fare fronte comune prima che la situazione degeneri».
Ecco quali sono secondo la Comunità Papa Giovanni XXIII le sette ragioni per non regolamentare la prostituzione.
APG23
18/02/2015
C. è un signore senza fissa dimora conosciuto qualche tempo fa' durante le uscite serali a Bologna.
Le prime volte che lo incontravamo C. prendeva il cibo caldo e i vestiti che gli portavamo, ma sembrava non volesse altro.
Poi con il tempo siamo riusciti a parlare con lui fino a creare un rapporto di fiducia e a convincerlo a trascorrere dei brevi periodi alla Capanna di Betlemme per superare il freddo inverno.
Poi alcune sere fa', durante la cena, C. ci ha fatto un regalo unico: una poesia che ci ha scaldato il cuore e ci racconta molto dell'essere senza-dimora.
"Fredda mattina, con poca voglia di andare
Il motore si accende dice l'ultima parola, del pronti via,
si va in città senza un obbiettivo, anche oggi non si sa dove si andrà, forse in cerca di piccole fortune
che ti accontentano almeno le tasche e soprattutto un po di sole che ti riscaldi il corpo, o un po' di amore
che ti riscaldi il cuore...
in ore e ore di passi fino a tornare e ricominciare a vivere tutti insieme come una specie di volersi bene;
una goccia di acqua nell'oceano che qui alla Capanna Giovanni XXIII si vive,
grazie don Benzi per quello che hai fatto per noi e per gli altri."
C.
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con chi non ce l'ha
APG23
13/02/2015
Il tribunale di Bologna ha consentito l'impianto di alcuni embrioni umani congelati in azoto liquido, pur dopo la morte del padre. Dopo 19 anni di abbandono i nascituri potranno finalmente assaporare il calore della mamma.
Giovanni Ramonda, Responsabile Generale della Comunità esprime la propria vicinanza alla madre: «Era ora, per questi embrioni si apre finalmente una speranza di vita. Il giudice ha riconosciuto il diritto di avere una possibilità di nascere, e ancora prima di essere amati. Ci dispiace che dopo tanti anni di congelamento siano poche le probabilità di arrivare a nascere, ma soprattutto ci dispiace che nel frattempo sia morto il padre. Anche la madre non è più così giovane».
Enrico Masini è l'Animatore Generale del Servizio per la Maternità difficile e la Vita della Comunità: «Finalmente il destino di questi bimbi è cambiato; auspichiamo possa cambiare anche per i circa 1000 embrioni umani che sono abbandonati e conservati negli scantinati dell'ospedale S.Orsola di Bologna. Sono stati stoccati perché in soprannumero, come si fa con i prodotti invenduti. Riteniamo che sia una profonda ingiustizia quella di produrre in provetta degli embrioni umani, e peggio ancora quella di congelarli, come fossero oggetti da produrre in serie».
Fin dal 1996 don Oreste Benzi si batteva per il diritto alla vita dei feti. Ancora oggi la Comunità promuove l'adozione degli embrioni umani. Si allunga così la storia dell'accoglienza: recentemente sono nati due bimbi e un altro è ormai a gravidanza avanzata.
APG23
13/02/2015
«Se vedeste un bambino mentre viene pestato a sangue senza poter intervenire, cosa fareste?», queste sono le parole con cui don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, inaugurava a Rimini 16 anni fa un momento di preghiera pubblica di fronte agli ospedali.
L'esperienza continua ininterrottamente ogni martedì, nel giorno in cui si praticano gli aborti, e da allora si è diffusa in diverse città in tutta Italia.
Il momento di preghiera è una richiesta di perdono a Dio per il delitto dell’aborto; vuole risvegliare la società di fronte ad un’ingiustizia nella quale sono due le vittime: il bimbo che muore; la madre ferita per sempre.
Nel 2013 In Italia sono stati uccisi legalmente oltre 100 mila bimbi; 667 negli ospedali di Rimini e Cattolica. Quando le donne o le coppia si ritrovano ad affrontare con difficoltà una gravidanza, spesso vengono lasciate sole; le politiche familiari risultano insufficienti. La società propone loro una soluzione semplice: l’eliminazione del bambino. La Comunità Papa Giovanni XXIII interviene allora incontrando le gestanti in difficoltà e fornendo vicinanza ed aiuto.
Lo spiega Giovanni Ramonda, Responsabile Generale: «Come della Comunità Papa Giovanni XXIII promuoviamo e sosteniamo l'affidamento familiare: è una scelta d'amore gratuito, ed una azione concreta di vicinanza alle mamme e alle famiglie in difficoltà».
Enrico Masini è animatore generale del servizio di aiuto alla maternità difficile della Comunità Papa Giovanni XXIII: «Molto spesso nelle donne che incontriamo la scelta di abortire non è libera, ma è indotta dalle circostanze: dalla solitudine o dalle pressioni psicologiche che ricevono ad esempio da parte dei partner. Nel caso di gestanti minorenni spesso sono i genitori ad istigare all’aborto o a deciderlo; c’è un intero tessuto sociale che giudica incosciente far nascere un bambino in condizioni di difficoltà o con rischi di malattie, anche lievi. Nella nostra esperienza però, quando le donne trovano ascolto e aiuto, vince la vita».
La Comunità propone soluzioni alternative all’aborto attraverso una rete di solidarietà, che a Rimini è costituita insieme con Ausl, Associazioni pro-life ed enti locali; propone di rivedere l’attuale sistema di sostegno alle famiglie: una petizione online chiede al governo uno stipendio per le mamme con reddito basso
Le preghiere per la vita nascente si terranno durante tutto il mese di febbraio su diversi marciapiedi d’Italia; a Rimini l’appuntamento è di fronte all'Ospedale Infermi, martedì 3 febbraio mattina alle ore 7.15.