Il viaggio in Libano di papa Leone XIV fino al 2 dicembre rappresenta un momento importante di questo inizio di pontificato, perché il Libano, con la sua complessa struttura politica e religiosa, costituisce da sempre un punto d’incontro tra Oriente e Occidente, tra cristianesimo e islam, tra memoria e speranza. Infatti da anni la Santa Sede guarda con apprensione al deteriorarsi della situazione economica e alla fuga di tanti giovani, ma anche con ammirazione alla capacità di resistenza di un popolo che continua a credere nel proprio futuro.
Per questo papa Leone XIV ha voluto che la sua visita fosse un gesto di incoraggiamento a chi non si rassegna al declino morale e materiale del Libano: domenica 30 novembre il papa, dopo il saluto alle autorità, parteciperà alla piantumazione simbolica di un ‘cedro dell’amicizia’ nel giardino del palazzo presidenziale, cui prenderanno parte anche il Segretario di Stato vaticano ed il Patriarca di Antiochia dei Maroniti. Il logo del viaggio apostolico è: ‘Beati gli operatori di pace’.
Partendo dal logo abbiamo chiesto ai volontari ed alle volontarie dell’ ‘Operazione Colomba’ che operano al confine tra Libano e Siria, chiediamo se questo logo è un messaggio per una speranza: “Per Operazione Colomba, che opera al fianco delle vittime dei conflitti, l’essere ‘operatori di pace’ è un’azione concreta e nonviolenta di vicinanza, condivisione e costruzione di ponti di dialogo. E dunque certamente un messaggio di speranza, non intesa come l’attesa passiva di qualcosa che avverrà, ma intesa come fiducia che l’impegno quotidiano e concreto possa portare un cambiamento nel mondo”.
Quanto è importante questo viaggio per i credenti?
“Il viaggio di un Pontefice in un Paese come il Libano è percepito come un segnale di vicinanza e sostegno per una nazione che ha sofferto enormemente”.
Come è la situazione in Libano?
“La situazione in Libano è estremamente complessa e precaria. In un Libano già al collasso economico e sociale, dove la società civile funge da ultima rete di sicurezza per cittadini e rifugiati, l’ombra della guerra aggrava drammaticamente ogni aspetto della vita quotidiana. Le continue tensioni con Israele al confine con i raid aerei ed attacchi con droni che colpiscono infrastrutture nel sud del Libano e nella valle della Bekaa, innescano una spirale di paura e precarietà per la popolazione civile. Questo conflitto latente, con i suoi attacchi che devastano il territorio, amplifica l’emergenza umanitaria, rendendo ancora più fragile l’esistenza di chi vive nei campi profughi.
La caduta improvvisa del regime ha generato un’ondata di speranza, portando migliaia di profughi a rientrare in Siria, principalmente dal Libano e dalla Turchia. Le ragioni del rientro sono duplici: l’intenzione di partecipare alla ricostruzione del Paese e le difficilissime condizioni di vita incontrate nei Paesi di accoglienza, tra cui appunto il Libano. La Siria è ora governata da un nuovo esecutivo provvisorio che, pur avendo promesso inclusione e moderazione (come il Presidente ad interim Al Sharaa), solleva ancora molti interrogativi sulla stabilità e sulla reale possibilità di un sistema equo e rappresentativo.
Nonostante tutto, la società civile libanese dimostra una straordinaria resilienza e creatività. Continuano infatti a nascere piccole iniziative di solidarietà, di economia locale e di mutuo aiuto che bypassano le istituzioni statali spesso corrotte. Molte ONG locali, inoltre, lavorano attivamente per la coesione sociale e per costruire ponti tra le diverse comunità religiose e tra libanesi e rifugiati”.
Quanto è importante san Charbel Makhlūf per i libanesi?
San Charbel Makhlūf è venerato dai libanesi, sia cristiani che musulmani. La devozione verso questo monaco ed eremita maronita (primo santo libanese canonizzato nei tempi moderni) è vastissima ed è facile trovare rappresentazioni del Suo volto nelle città”.
Sarà anche un incontro ecumenico: quanto sono importanti le fedi per la pace in Medio Oriente?
“Le fedi religiose sono estremamente importanti per la pace in Medio Oriente perché possono essere allo stesso tempo fonte di divisione o strumento di dialogo e riconciliazione. In un contesto altamente labile, l’incontro ecumenico ed interreligioso è importante per costruire la coesistenza pacifica e superare i conflitti che spesso strumentalizzano la religione. Il Libano è l’unico Paese arabo a non essere a maggioranza schiacciante musulmana ed il suo sistema politico è costruito attorno ad un delicato equilibrio confessionale. Al suo interno coesistono molte religioni e diverse confessioni tra le religioni stesse.
Tra i cristiani, ad esempio, sono presenti comunità Maroniti (il gruppo cristiano più grande), Greco-Ortodossi, Greco-Cattolici Melchiti, Armeno-Ortodossi, Siri, Copti, Protestanti… Tra i mussulmani, in particolare, sono presenti Sunniti, Alawiti e Sciiti ed, oltre a queste, sono presenti altre minoranze religiose come ad esempio i Drusi. In Libano l’equilibrio è così fondamentale che le tre cariche politiche più importanti sono distribuite per legge: il Presidente della Repubblica deve essere Cristiano Maronita, il Primo Ministro Musulmano Sunnita ed il Presidente del Parlamento Musulmano Sciita.
Certamente la guerra in Siria ha acuito in modo significativo la fatica a convivere e le tensioni tra le varie comunità religiose, a causa della polarizzazione geopolitica, della crisi dei rifugiati (per la maggior parte sunniti) e della radicalizzazione confessionale”.
Quale è la presenza di ‘Operazione Colomba’ in Medio Oriente?
“Operazione Colomba è il Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII ed è presente in Medio Oriente in due aree principali: in Libano (Libano-Siria) siamo attivi dal 2013 al fianco dei profughi siriani nel nord del Libano, condividendone la vita nei campi. I volontari e le volontarie sostengono, aiutano e proteggono i profughi, accompagnandoli negli spostamenti e mediando le tensioni con le autorità e la comunità locale.
Dalla caduta del regime di Assad i volontari e le volontarie effettuano viaggi periodici in Siria per approfondire il nuovo contesto, monitorare la situazione, supportare i siriani che decidono di tornare e quelli che non se ne sono mai andati. In una Siria dilaniata da una guerra che ha lasciato strascichi di violenza ed enormi ferite da ricucire, i volontari/e sostengono la lunga via della riconciliazione facendo da ponte tra chi ha il coraggio di rientrare, le comunità locali minacciate e chi rimane in Libano perché ha perso tutto.
Inoltre dal 2002 Operazione Colomba è attiva in Palestina, inizialmente nella Striscia di Gaza e, dal 2004, nel villaggio di At-Tuwani, nel sud della Cisgiordania (Masafer Yatta). Da qui opera in diverse aree rurali dove, assieme ad attiviste/i palestinesi e israeliani, sostiene la resistenza popolare nonviolenta. Le volontarie ed i volontari scortano i palestinesi durante le attività quotidiane, proteggendoli dalle violenze dei coloni e dell’esercito israeliani, documentando e denunciando le violazioni dei Diritti Umani”.