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APG23
07/10/2016
L’elemosina rende schiavi
«Quello che mi stupisce di più della Comunità Papa Giovanni XXIII è come riesca sempre a rendere semplici le cose complicate: oggi mentre tutti costruiscono muri e chiudono le porte e il cuore, una nuova casa-famiglia della Comunità apre le porte a tutti senza distinzioni». Ha accompagnato con queste parole Mons. Matteo Maria Zuppi la benedizione della casa-famiglia del Pilastro, l'unica in città, inaugurata oggi alle 16.30 alla presenza del Presidente dell'Associazione Giovanni Ramonda e dell'Assessore al Welfare del Comune di Bologna, Luca Rizzo Nervo. 30 anni di condivisione multietnica nel quartiere Pilastro Furono per primi i coniugi Angelo e Anna Giardini nel 1992 ad aprirsi all'accoglienza nell'abitazione di Via Pirandello 7, concessa in comodato d'uso dal Comune di Bologna all'Associazione Papa Giovanni XXIII per "dare una famiglia a chi non ce l'ha", all'epoca alcuni disabili del territorio. Ascoltando il grido dei poveri della città, la famiglia Giardini si rese disponibile in seguito anche all'accoglienza di donne vittime di sfruttamento sessuale. Nel '96 infatti prese il via la prima unità di strada della Comunità a Bologna. Oggi, dopo quasi trent'anni di presenza nel quartiere Pilastro, il capoluogo emiliano vede alla luce una nuova realtà dell'Associazione di don Benzi, la casa famiglia Pamoja (che in lingua Kiswahili significa "insieme"), che non a caso già dal nome esprime il desiderio di essere segno di apertura agli ultimi di ogni nazionalità e di ponti di pace possibili. I coniugi Matteo Pisani e Giulia Montanari, responsabili della struttura, infatti sono tra i promotori in città del Portico della pace, una rete interreligiosa, interconfessionale e interculturale che dall'inizio dell’anno ha animato diverse associazioni bolognesi. In casa in tutto sono in 8: oltre ai due figli naturali i giovani sposi sono divenuti infatti mamma e papà di altri quattro adolescenti e nei weekend anche di alcuni bimbi di origine rom.  Una coppia a fianco delle vittime di tratta: il nuovo progetto elemosinari Matteo, fisioterapista e Giulia, pedagogista multiculturale, aiutano da tempo donne trafficate ai fini di sfruttamento sessuale, dal primo  contatto all'accoglienza, impegno per cui la Comunità Papa Giovanni XXIII, nella rete comunale da sedici anni, è stata di recente sostenuta anche dalla FAAC Spa insieme al Bologna FC calcio con l'iniziativa del radiocomando del tifoso contro la tratta.  #FOTOGALLERY:casafamiglia# Ed ora partirà un nuovo progetto di ricerca antropologica sul fenomeno dell'accattonaggio sostenuto dall'Istituzione per l'inclusione sociale Don Paolo Serra Zanetti di Bologna. Il primo in Emilia Romagna: ad oggi infatti è stato sviluppato il tema solo in Veneto con la ricerca "Stop for Beg". Giulia e Matteo hanno spiegato all'inizio dell'inaugurazione che, da alcuni anni, l'unità di strada dell'Associazione incontra di giorno anche elemosinari e lavavetri davanti ai supermercati, in stazione e nel centro della città. Circa 200 persone che vivono in strada, il 40% profughi di origine africana, il resto di etnia rom - spesso mutilati - e appartenenti a gruppi familiari allargati. «Li contattiamo ad uno ad uno per conoscerne le origini e far emergere eventuali situazioni di tratta e sfruttamento, cercando di comprendere come sono organizzati, chi indica loro dove andare a fare questua, e infine proporre loro un cambiamento di vita e un possibile progetto di inclusione sociale». Anche l'elemosina infatti spesso rende schiavi ed è anche per questo che in Italia il Decreto legislativo 24 del 2014 e il successivo Piano nazionale Antitratta specificano le caratteristiche delle persone vulnerabili che possono essere inserite in programmi di assistenza. Non solo donne sfruttate a scopo sessuale ma anche minori, donne e uomini, disabili, vittime di accattonaggio o di sfruttamento lavorativo. Anche a Bologna questo fenomeno, finora sommerso, verrà alla luce e troverà, grazie alla Comunità di don Benzi, possibili risposte per l'accoglienza delle vittime.
APG23
06/10/2016
Una casa famiglia contro la tratta
Si è inaugurata oggi a Bologna, dopo quasi trent'anni di presenza della Comunità Papa Giovanni XXIII nel quartire Pilastro, la casa famiglia dei coniugi Matteo Pisani e Giulia Montanari : si chiamerà «Pamoja», dalla lingua Kishawili, «Insieme». Matteo è fisioterapista e Giulia pedagogista; da tempo entrambi lavorano per liberare le donne trafficate ai fini di sfruttamento sessuale, accompagnandole dal primo contatto sulla strada fino all'accoglienza in strutture protette. La Comunità Papa Giovanni XXIII è inserita da 16 anni nella rete comunale contro la tratta; è sostenuta nel suo impegno fra gli altri dalla ditta FAAC Spa e dal Bologna FC attraverso l'iniziativa del radiocomando del tifoso . La casa, circondata da un grande giardino e disposta su due piani, per trent’anni era stata abitata da Anna e Angelo Giardini, pionieri della Comunità Papa Giovanni XXIII a Bologna. Giulia e Matteo hanno portato la propria esperienza: « Quando nacque il nostro primo figlio andammo ad abitare in una pronta accoglienza per i senza fissa dimora. La nostra unità di strada da un po’ ha iniziato ad incontrare in maniera continuativa anche elemosinari e lavavetri : sono davanti ai supermercati, in stazione, nel centro della città. Stiamo parlando di circa 200 persone che vivono in strada; il 40% di loro sono profughi di origine africana; molti sono persone di etnia rom». Dal mese di ottobre la coppia è impegnata in un nuovo progetto contro la tratta: una ricerca antropologica sul fenomeno dell’accattonaggio , che prevede l’incontro diretto con chi abita la strada, e che sarà sostenuta per tutto il 2017 dall'Istituzione per l'inclusione sociale Don Paolo Serra Zanetti. Il progetto è apripista in Emilia Romagna ; esperienza analoga è nel Triveneto la ricerca " Stop for beg " sostenuta dall’Unione Europea. «Da oggi inizieremo a contattare queste persone una ad una – spiega Matteo Pisani –, per conoscerne le origini e far emergere situazioni di tratta e sfruttamento . Cerceremo di comprendere come sono organizzate, chi indica loro dove fare questua; proporremo loro un cambiamento di vita attraverso progetti di inclusione sociale come quelli previsti dal decreto legislativo 24 del 2014 e dal successivo Piano nazionale Antitratta». A livello nazionale per il contrasto alla tratta degli esseri umani ai fini della prostituzione la Papa Giovanni XXIII ha lanciato nei mesi scorsi la campagna “ Questo è il mio corpo ”: chiede alle istituzioni l’adozione di misure che colpiscano la domanda di prestazioni sessuali a pagamento. Giovanni Ramonda, responsabile generale Apg23, ha spiegato il modello delle case famiglia della Comunità:  «La casafamiglia è un luogo aperto a tutti dove c'è una mamma un papà e una porta aperta per chi è senza famiglia e bussa, senza distinzioni». 
APG23
06/10/2016
Eutanasia: il vero dolore è la solitudine
Mentre nelle scorse settimane ha fatto discutere in Belgio la prima eutanasia di un adolescente, c’è chi fa dell’incontro con il limite la ragione della propria esistenza. Luca Russo, laureato in Giurisprudenza, vive ad Assisi con la moglie Laura e – oltre alle due figlie naturali – ospita nella propria casa circa 15 persone. Disabili, ragazze vittime di tratta, detenuti, bambini affetti da malattie neurologiche gravi. Ecco in anteprima un capitolo centrale tratto dal suo ultimo libro: dall’incontro con persone disabili gravissime, dalle molte ore passate con loro, è venuto alla luce L’EUTANASIA DI DIO: Il cuore di un padre di fronte alla debolezza del figlio. È un testo che con un linguaggio fine, a tratti poetico, racconta, al di là di discussioni etiche, filosofiche, talvolta ideologiche, che cosa significa incontrare il limite, il dolore, la malattia. Il libro è nato durante notti passate insonni a vegliare; avvicina ed accarezza ogni situazione inserendola all’interno di un disegno più ampio che abbraccia ogni dimensione, anche la più scomoda, dell’umanità.      
APG23
06/10/2016
Obiezione fiscale: oggi l’appello
Si è tenuto oggi presso la Commissione Tributaria Regionale di Bologna l'udienza di appello del ricorso presentato da Andrea Mazzi, obiettore di coscienza alle spese militari ed abortive, riguardo una cartella esattoriale ricevuta per non avere versato nel 2006 50 Euro di imposta Irpef. Mazzi appartiene alla Comunità Papa Giovanni XXIII ed ha scelto la strada dell'obiezione fiscale «per non finanziare – dice – la morte di altri miei simili con i miei soldi». La cifra di 50 euro l'ha poi versata all'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile, e alla Comunità Papa Giovanni XXIII di cui fa parte, inquanto «realtà che concretamente promuovono la pace e la vita». Questa scelta l'ha già pagata di persona, arrivando ad essere privato dell'automobile per 9 mesi nel 2008.  «Ritengo che pagare le tasse sia un dovere - continua Mazzi - ma non posso accettare che i miei soldi siano usati per mantenere in piedi dei sistemi oppressivi, che privano della vita tanti miei concittadini e portano guerra e distruzione in tante parti del mondo». Le obiezioni alle spese militari e abortive sono – sostengono i promotori di questa forma di obiezione di coscienza della Comunità Papa Giovanni – profondamente legate tra loro: esercito, armi, aborto e fecondazione artificiale sono gli unici ambiti in cui i contribuenti finanziano la distruzione di vite umane.  Giovanni Ramonda, Responsabile generale della Comunità, ne sostiene la scelta:  «Occorre che le istituzioni concedano il diritto all'opzione fiscale alle spese militari. Carichi di armi oggi partono da porti ed aeroporti italiani ed alimentano conflitti in tutto il mondo, in palese violazione della legge 185/90; non possiamo continuare a piangere sulle vittime di queste violenze senza fare scelte concrete per mettere fine a tutto questo. In modo analogo, mentre il nostro paese lentamente si spegne per il declino demografico, continuiamo a destinare risorse a sopprimere giovani vite anziché accoglierle e prendercene cura. Ogni giorno 270 bambine e bambini vengono abortiti con i soldi delle nostre tasse. Sempre con l'opzione fiscale può essere possibile per chi lo desidera sostenere direttamente le maternità anziché gli aborti». Nell'udienza di oggi in particolare la Commissione si è interrogata sulla richiesta di annullamento della sentenza di primo grado, sfavorevole all'obiettore.  La sentenza arriverà entro un mese. Ha dichiarato all'uscita Mazzi: «l'Avvocato Michela Trivellato che mi ha seguito ha riscontrato una grande attenzione da parte dei giudici; i miracoli possono sempre avvenire», ma ha aggiunto: «Qualora la mia richiesta di appello venisse respinta farò ricorso alla Corte di Giustizia Europea, per chiedere che venga riconosciuto il primato della coscienza dell'individuo, anche in campo fiscale».      
APG23
04/10/2016
Apg23: 40 anni fa i primi passi fondativi
Don Oreste Benzi: «Si è deciso che possono far riferimento all'autorità della comunità, anche i gruppi fuori di Rimini». Fra tutte le decisioni prese nel 1976, quarant'anni fa, nella “Tre Giorni” della Comunità Papa Giovanni XIII a Valdragone (San Marino) è forse questa a dare meglio l'idea del momento storico di allora. È cosa risaputa che la Comunità sia nata nel 1968 per iniziativa di don Oreste da un gruppo di ragazzi dopo un soggiorno ad Alba di Canazei, meno noti sono i passi con cui è arrivata ad essere presente con svariate modalità nei cinque continenti. Un articolo del terzo numero di “Sempre” (il mensile della Comunità, ndr) ci ricorda una di quelle tappe.   Santuario di Valdragone con il centro "San Giuseppe" dove si svolse la tre giorni nel 1976   La Comunità aveva già affrontato un preciso momento di crescita nel 1973 con l'apertura della Casa di Coriano dove si attuava la condivisione con gli ultimi nella propria famiglia. Si aggiungeva alla presenza ai disabili negli istituti e nelle famiglie ed all'azione di rimozione delle cause portata avanti da Commissione Giustizia, attività che comunque proseguivano. Oggi i numeri di allora fanno sorridere: cinque case famiglia, forse una cinquantina di persone come membri. Numero comunque incerto: non esisteva un elenco ufficiale né un criterio per definire l'appartenenza. In ogni caso era un periodo di crescita, nuove persone si aggregavano, alcune proprio con l'intenzione di aprire una Casa-famiglia. Le richieste iniziavano a provenire anche da fuori Rimini, sia grazie ai soggiorni estivi sia all'arrivo di Obiettori in servizio civile da diverse parti d'Italia. Il cammino delle Case-famiglia era ancora da precisare. Erano nate come strutture di “pronto soccorso”, ma la difficoltà di collocare altrove gli accolti le trasformava in breve tempo in accoglienze permanenti. Inoltre si era visto che non tutti coloro che chiedevano di aprire case case-famiglia riuscivano poi a portarle avanti con successo. Fu quest'ultima problematica a dare origine alla decisione di richiedere alle persone un “anno di esperienza” prima di aprire nuove strutture. Da qui nacque poi l'idea di un “periodo di verifica vocazionale” per tutti prima dell'ingresso ufficiale in Comunità. Diverse decisioni riguardarono la vita dei membri di Comunità. Si cominciò ad elencare quali fossero i momenti di preghiera e di incontro necessari per la vita comunitaria e quali di questi fossero indispensabili, elenco tuttora attuale. Emerse anche un'esigenza: chi era in comunità da più tempo era abituato a prendere diverse scelte personali nelle riunioni comunitarie. Ora la comunità era diventata troppo grande e non c'era tempo per affrontare i problemi di tutti. Di qui la richiesta di vedersi in gruppi più piccoli: era l'inizio dei nuclei, che oggi sono uno degli appuntamenti più sentiti dai membri.
APG23
30/09/2016
In Georgia fra i minori in difficoltà 
«In Georgia siamo testimoni di un grave disagio sociale di cui sono vittime i minori abbandonati negli istituti e di un’enorme povertà diffusa fra le famiglie», a denunciarlo è Giovanni Ramonda, Responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII che domani pomeriggio nel paese caucasico sarà presente all’incontro del Santo Padre Papa Francesco con gli operatori delle opere di carità della Chiesa. Con lui saranno i circa 25 accolti dalla Comunità nelle 2 case famiglia sorte nella città di Batumi; porteranno la voce delle centinaia di persone che vengono assistite dai volontari in una baraccopoli della città fin dal 2006. La Comunità collabora con i Servizi sociali del territorio, in una regione in cui i cattolici sono una esigua minoranza. Alessandra Puggioni, 34 anni, originaria della Sardegna ed in Georgia dal 2007, è figura materna in una delle due case famiglia: «Accade che persone si indebitino per comprare beni di lusso, non necessari, e che finiscano sulla strada. In città stiamo giorni interi senza elettricità; spesso le famiglie campano mangiando per pranzo solo una zuppa o solo patate. Negli ultimi due anni abbiamo assistito ad un incremento preoccupante dell’abuso di droghe, che oggi sono una grandissima piaga sociale nel paese». Sono disponibili foto professionali dai campi profughi. 
APG23
28/09/2016
Cannabis: legalizzare crea danni
Don Benzi diceva: «I giovani che fanno uso di droga cercano la vita. Hanno diritto di vivere e non di morire lentamente facendo uso di sostanze». Con queste parole è iniziato l'intervento di Giovanni Paolo Ramonda ieri, martedì 27 settembre, in Senato, al convegno Cannabis, non è mai leggera! All'evento erano presenti numerosi giornalisti e politici, attenti a capire, al di là dei proclami ideologici, cosa implicherebbe un'eventuale legalizzazione della cannabis. Un progetto di legge in tal senso è, infatti, in discussione alla Camera dei Deputati. «La liberalizzazione della cannabis equivale ad una riduzione in schiavitù del giovane – ha affermato Ramonda – perché l'intelligenza si addormenta, la volontà si affievolisce, la creatività si omologa, i loro talenti vengono seppelliti. Anzi vanno in fumo!» L'intervento di Ramonda è stato applaudito dal pubblico nel momento in cui ha sottolineato il fondamentale ruolo educativo della famiglia nei confronti del problema droga tra adolescenti e pre-adolescenti. Ruolo educativo insito in ogni legge dello Stato e che viene inspiegabilmente omesso quando si parla di legalizzare le droghe. A partire dalla concreta esperienza, il Responsabile Generale della Comunità Papa Giovanni XXIII ha spiegato che la cannabis non solo crea dipendenza, ma è anche dannosa. Inoltre la legalizzazione comporterebbe un aumento della domanda di droga, così come avviene nel caso della prostituzione legale. «Nelle nostre 500 comunità, in tutto il mondo, dove accogliamo disabili e poveri, alcuni dei responsabili sono persone, ex tossicodipendenti, che hanno riscoperto quella intelligenza d'amore che era stata sepolta dalle droghe». Significativo anche l'intervento di Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, che aveva rischiato di divenire ministro della giustizia, in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata.  «Mai si potrà competere sul piano del prezzo tra la produzione legale e quella illegale, gestita dalla mafia. Figuriamoci – ha osservato Gratteri – se i tossicodipendenti andrebbero a comprare la cannabis a 10 euro al grammo in farmacia, quando possono averla a 4 euro dagli spacciatori!». Il magistrato ha poi aggiunto: «È inaccettabile pensare: “Siccome non siamo stati capaci di contrastare il narcotraffico, legalizziamolo”. È come dire: “Non riusciamo a scoprire gli assassini, legalizziamo gli omicidi”». Al convegno ha partecipato anche il ministro della Famiglia, Enrico Costa. «Loro la chiamano legalizzazione. Io la chiamerei statalizzazione dello spaccio».
APG23
27/09/2016
Apre il primo autosalone no-profit
Socialcars è il primo punto vendita di veicoli nuovi ed usati gestito da una cooperativa sociale. Permetterà l’attuazione di progetti occupazionali di inclusione sociale per persone adulte con disabilità; l'intermediazione sarà gestita secondo principi di responsabilità etica e di trasparenza. Si potranno acquistare auto allestite per il trasporto accessibile, pensate per persone con mobilità ridotta. È un progetto della Società Cooperativa Rinascere di Dueville(PD) , nata nel 1993 su iniziativa della Comunità Papa Giovanni XXIII e socio di Banca Popolare Etica . Verrà inaugurato venerdì 30 settembre alle 16 in via Roma 73 a Fontaniva (PD).  Socialcars non ha scopo di lucro e si propone di " perseguire l’interesse generale della comunità: la promozione umana, l’integrazione sociale dei cittadini, lo sviluppo di uno spirito mutualistico e solidale ”. Sarà punto espositivo ufficiale della Azienda Olmedo Special Vehicles , leader nel settore dell’allestimento di automezzi per la mobilità accessibile in Italia ed Europa.  Spiega Walter Leo, responsabile del progetto, che della sfida di fondare un autosalone solidale ha fatto uno scopo di vita:  «Rinascere lancia Socialcars per dimostrare che è possibile, anche in questo settore, lavorare in modo etico e trasparente. Tutti i nostri utili saranno reinvestiti nelle attività di reinserimento lavorativo della Cooperativa. L’adesione alla community “ Non prendermi per il chilometro ”, attraverso il rispetto di un codice etico, garantirà la vendita di veicoli con chilometri autentici; valuteremo anche l’usato non attrezzato per il passaggio al trasporto di persone allettate o disabili» «Grazie alla collaborazione con For Dealer srl , azienda nata da un progetto dell’Unione Nazionale dei Consumatori – continua Walter Leo –, saremo in grado di garantire ai clienti un acquisto consapevole dell’usato attraverso preventivi, dichiarazioni di conformità e garanzie reali e trasparenti». Per l’assistenza pre e post vendita Socialcars si avvarrà della collaborazione dell’Officina Zanini snc di San Pietro in Gu(PD), autorizzata Olmedo. L’autosalone no-profit verrà inaugurato su un’area di circa 400 mq, con la presenza di Alfredo Bellucci , fondatore “Non prendermi per il chilometro” ed i rappresentanti delle aziende coinvolte. Sarà occasione per approfondire il progetto e provare i prodotti. Scarica le foto e la cartella stampa .
APG23
26/09/2016
In marcia con i senza dimora
Sono molti quelli che domenica 18 settembre, incuranti della pioggia battente del giorno prima, si sono alzati all'alba per raggiungere la Capanna di Betlemme di Spino d'Adda, punto di partenza della camminata non competitiva "La strada NON è la mia casa", promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII con l'obiettivo di sensibilizzare e raccogliere fondi a favore della realtà di accoglienza per senza fissa dimora. Abbiamo contato più di un centinaio di partecipanti, a cui si sommavano volontari e addetti ai lavori, provenienti dal territorio cremasco, milanese e perfino comasco; il più anziano, ottantenne, ha camminato con il bastone, e il più piccino, di soli due mesi, infilato nel marsupio. Si sono radunati nel piazzale del Santuario della Madonna del Bosco, che ospita la Capanna, per ammirare la mostra fotografica dedicata a don Oreste, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, poi hanno indossato la maglia dedicata all'evento e si sono preparati a partire. Il percorso ad anello di snodava per 7 km, attraverso i prati e il paese di Spino d'Adda; nei punti di ristoro i volontari offrivano generi di conforto e l'occasione per chiacchierare e fare conoscenza. Non tutti però ne hanno approfittato: c'è chi ha camminato correndo ed ha tagliato il traguardo in tempi davvero brevi - il più veloce, Samba, in soli 37 minuti. Gli altri sono arrivati in piccoli gruppi, godendosi il sole e la reciproca compagnia, mentre alla Capanna venivano organizzati la Santa Messa nel Santuario ed il pranzo nel cortile. Il momento più toccante è stato il ricordo di Fabio, ragazzo napoletano che qui ha vissuto e scritto le sue poesie, prima di togliersi la vita quasi un anno fa; il momento più goloso ha visto protagoniste le cento pizze preparate dagli abitanti della Capanna e cotte nel forno a legna. Nel mezzo, tutta la gioia dello stare insieme e della condivisione, parola d'ordine in questo luogo dove i volontari vivono per e con i senza fissa dimora. Soprattutto, tutta la gioia di contribuire al progetto coraggioso e difficile della Comunità Papa Giovanni XXIII: restituire dignità a chi viene accolto tra le sue mura, grazie all'instaurarsi di relazioni affettive e alla costruzione di progetti individualizzati di reinserimento sociale. «Grazie di cuore a tutti i partecipanti, ai volontari, tra cui un gruppo di rifugiati alloggiati a Sergnano, alla Croce verde Città di Crema ONLUS, agli ospiti della Capanna di Betlemme» così Duilio D’Ambrosio, responsabile della Capanna di Betlemme. «C'è sempre modo di aiutare la Capanna di Betlemme ad accogliere chi è in cerca dell'opportunità concreta di tornare a vivere: con una DONAZIONE ONLINE; tramite BONIFICO BANCARIO (codice iban IT 41B 033 5901 6001 0000 0008 036) o BOLLETTINO POSTALE (conto corrente postale n. 12148417) entrambi intestati a "Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ONLUS" e specificando sempre in causale "16PAG3 - Capanne Lombardia". L’invito a condividere con noi la quotidianità, o almeno la pizza del sabato sera, è rivolto a tutti – e ovviamente, arrivederci alla prossima edizione!».
APG23
26/09/2016
Allarme minori non accompagnati
Martedì 20 settembre scorso alla 33a sessione del Consiglio dei Diritti Umani il comitato di esperti (Advisory Committee) dell’ONU ha presentato il suo rapporto tematico (A/HRC/33/53/E) con cui ha fornito una prima lettura sul crescente fenomeno dei minori migranti non accompagnati. Un fenomeno che, secondo i dati disponibili, ha assunto le dimensioni di più di 30 milioni di minori migranti all’anno di cui la gran parte risultano essere minori non accompagnati. Nel rapporto, si sottolinea come i minori migranti non accompagnati rappresentino una categoria particolarmente esposta alla violazione dei loro diritti umani e che, come gruppo vulnerabile, siano esposti a una serie di situazioni di estrema vulnerabilità come il lavoro forzato, traffico di droga, traffico di essere umani e sfruttamento sessuale (vedi para 56 2 57 A/HRC/33/53/E). Le cause che sono all’origine del fenomeno sono legate alla povertà dei paesi di origine, alle situazioni di guerra e di violenza diffusa e alle altre situazioni di mancato rispetto dei diritti umani che i minori vivono nei loro paesi d’origine. Ma per i giovani migranti spesso una grande motivazione per migrare è connessa all’impossibilità di costruire un futuro dignitoso nel proprio paese d’origine. Oltre a depositare un intervento scritto, noi di APG23, durante il dialogo interattivo con il Gruppo di Esperti, abbiamo sottolineato la situazione di questi bambini che viaggiano a volte per mesi attraverso le più assurde violenze ed abbiamo richiamato con chiarezza che prima di essere rifugiati o migranti, regolari od irregolari, questi minori sono dei bambini e in quanto tali vanno protetti secondo quanto afferma la Convenzione dei Diritti del Fanciullo. Nel colloquio con il Comitato di Esperti, abbiamo ribadito come la detenzione di questi bambini migranti è sempre contro l’interesse supremo del minore e non può essere accettata neppure come forma estrema. Nel nostro intervento abbiamo infine chiesto quali misure si possono adottare per proteggere in particolare gli adolescenti migranti, come migliorare le procedure che permettano la riunione delle famiglie e come permettere la partecipazione dei minori a tutte le procedure che li riguardano. Il testo del nostro intervento è stato co-firmato da altre 13 organizzazioni che hanno condiviso con noi l’urgenza di denunciare con forza la necessità di proteggere maggiormente questa categoria di migranti. Proprio negli stessi giorni (il 19.09.2016) all’Assemblea Generale ONU di New York si è svolto un colloquio internazionale sulla situazione dei migranti e dei rifugiati. Eminenti personalità e uomini politici di tutto il mondo si sono riuniti attorno ad un tavolo per cercare di dare una risposta ad un fenomeno che non può più essere considerato come una semplice emergenza temporanea ma si sta configurando sempre più come una vera e propria tragedia storica del nuovo secolo. Tra le tante parole che sono state pronunciate segnaliamo il discorso dello Special Rapporteur on Human Rights of Migrants - Mr. François Crépeau  che ha ribadito in maniera cristallina che i minori non possono essere incarcerati solo perchè migranti irregolari e che i canali umanitari sono l’unica soluzione che permette il rispetto dei diritti umani, della dignità e della vita di milioni di nostri fratelli e sorelle in cammino.
APG23
23/09/2016
Dieci anni di Centro Diurno a Trinità  (CN)
Lo scorso 21 settembre, il Centro Diurno “La goccia” ha festeggiato i suoi primi 10 anni di vita. Tutto era iniziato nel 2005, quando il Comune di Trinità (CN) aveva ristrutturato una cascina nella centrale via Roma, a fianco del soggiorno per anziani, ed era alla ricerca di un ente che lo potesse gestire a favore di ragazzi disabili. La cooperativa “Il ramo” aveva raccolto la sfida, e in accordo col sindaco E. Zucco, aveva trasferito in quei locali 5 disabili e 3 educatori che già svolgevano attività ludiche, riabilitative e creative in un piccolo appartamento a Mondovì, dando così avvio nell’aprile del 2006 all’esperienza del Centro Diurno. Il nome scelto per definire questa piccola realtà, riprende una frase di madre Teresa che dice: «Quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facciamo l’oceano avrebbe una goccia in meno». La festa del decennale è iniziata con la Messa celebrata in parrocchia da don Pier Renzo, assieme ad una rappresentanza di altre realtà che fanno capo alla coop. “Il ramo”; nel suo saluto Paolo Ramonda, responsabile della Comunità Papa Giovanni XXIII di cui la cooperativa è espressione, ha ringraziato per il lavoro fin qui svolto, e invitato ciascuno ad essere «missionario di pace» nel luogo in cui vive. Terminata la celebrazione, ci si è trasferiti nel salone del Castello dove grazie al generoso servizio della Proloco 2014, il centinaio di ospiti presenti ha potuto gustare un buon pranzo (foto 3) per poi essere intrattenuto dalla band “Una nota in piu’”. La giornata è stata anche l’occasione per festeggiare un cambiamento nella vita del Centro Diurno: dopo 9 anni da coordinatore, Paolo Tassinari cederà il passo a Mauro Dutto che, assieme agli attuali operatori e a due nuovi arrivi, avrà il compito di traghettare questa realtà, verso un ampliamento della capacità ricettiva di utenti, dagli attuali 10 fino a 20. «Vorrei terminare la mia esperienza a Trinità - dice Tassinari - ringraziando le tante persone con le quali sono venuto a contatto in questi anni, e che hanno voluto bene al nostro Centro Diurno, in particolare il Sindaco sig.ra E. Zucco e l’Assistente Sociale sig. E. Giraudo, coi  quali c’è sempre stata sintonia e collaborazione. Vorrei chiedere perdono per non aver colto tutte le opportunità di integrazione che il territorio ci ha offerto. Lascio a buone mani i ragazzi che ho accompagnato in questi anni nella certezza che, come ricorda spesso Papa Francesco, “il meglio è quello che non è stato ancora raggiunto”».
APG23
21/09/2016
Il Papa ad Assisi per la pace
Trent’anni dopo la storica Giornata di Preghiera per la Pace del 27 ottobre 1986 voluta da San Giovanni Paolo II, uomini e donne di fede, culture diverse, uniti dalla speranza che lo “spirito di Assisi” possa portare pace in un mondo segnato da violenza, guerre, divisioni, si sono incontrati per 3 giorni, per parlare, confrontarsi, pregare l'uno accanto all'altro. Anche una delegazione della Comunità Papa Giovanni ha partecipato all’incontro organizzato da Sant’Egidio, la diocesi di Assisi e le Famiglie Francescane. «Abbiamo partecipato con gioia a questo importante evento» dice Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità. «Sono rimasto colpito da tre cose che ha detto Papa Francesco. La pace si ottiene con l’arma della preghiera. È un’arma paradossale, ma è l’unica che tutti i credenti possono usare. La pace è un dono di Dio, ma la dobbiamo chiedere con la preghiera. Bisogna sporcarsi le mani, senza la paura di sporcarsi con questa umanità ferita. L’importante non è apparire ma condividere con gli ultimi, coi poveri che gridano “abbiamo sete di pace”. Bisogna costruire ponti e imparare a dialogare, a vedere il bene che c’è negli altri. Poi il priore dei francescani ha detto una cosa molto bella: il cuore del messaggio di San Francesco è l’umiltà, la piccola e grande umiltà. San Francesco si è fatto piccolo, povero, umile e proprio per questo ha attirato a sé tante persone. Per poter dialogare e creare una nuova e reale fraternità è fondamentale che ciascuno di noi scelga l’umiltà». #FOTOGALLERY:assisi# Presenti non solo i leader religiosi di numerose confessioni (sunniti, sciiti, ortodossi, scintoisti, buddisti e tanti altri), ma anche tante persone comuni provenienti da tutto il mondo, pronti a mettersi in gioco in prima persona. «La cosa più toccante è stato respirare una grande determinazione in tutti noi», dice Sara Foschi, una giovane che ha partecipato all’evento. «Le barriere tra le nazioni erano annullate, abbiamo vissuto come un’umanità in cerca di dialogo e di pace, nella verità. Si è stati realisti nel constatare i problemi drammatici del tempo che stiamo vivendo. Ma in questo realismo c’era anche la ferma volontà di cercare il dialogo. Il concetto forte che è stato ribadito è questo: o l’umanità imbocca la strada del dialogo e della convivenza pacifica, oppure percorrerà la strada della distruzione e della violenza. Bisogna smettere di parlare di “loro”, iniziamo a parlare di “noi”». Per sottolineare la reale volontà di costruire insieme la pace, i leaders religiosi hanno firmato un appello, proprio a ridosso della Giornata Internazionale per la Pace, che si celebra il 21 settembre. Video del discorso di Papa Francesco  
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