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APG23
10/04/2019
Il messaggio di Papa Francesco per i giovani
È una lettera aperta che continua un dialogo che Papa Francesco non ha mai interrotto con i giovani. Si intitola Christus vivit ed è stata firmata dal Santo Padre lo scorso 25 marzo, festa dell’Annunciazione, proprio nella Santa Casa di Loreto. È la quarta esortazione apostolica di Papa Francesco. Dopo l’Evangelii Gaudium del 2013, incentrata sull’annuncio del Vangelo nel mondo d’oggi, l’Amoris Laetitia del 2016, che verteva sull’amore nella famiglia e la Gaudete et exsultate del 2018 sull’universale chiamata alla santità, è il momento di Christus Vivit, tutta dedicata ai giovani. L’esortazione apostolica Christus Vivit è un documento che suggella i lavori del Sinodo dei vescovi sui giovani, svoltasi in Vaticano a ottobre 2018. La sua pubblicazione si pone dopo l’intensa esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù vissuta a Panama a febbraio 2019, dove il Papa ha incontrato più di 100mila giovani. ​«Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!» Inizia così Christus Vivit, il messaggio che Papa Francesco indirizza a tutti i giovani del mondo. Commento di Giovanni Paolo Ramonda a "Christus vivit" «L’impegno sociale e il contatto diretto con i poveri restano una occasione fondamentale di scoperta o approfondimento della fede e di discernimento della propria vocazione» (170). Con queste parole il Papa cita l’esempio positivo dei giovani, di parrocchie, gruppi e movimenti che «hanno l’abitudine di andare a fare compagnia agli anziani e agli ammalati, o di visitare i quartieri poveri» (171); mentre «altri giovani partecipano a programmi sociali finalizzati a costruire case per chi è senza un tetto, o a bonificare aree contaminate, o a raccogliere aiuti per i più bisognosi. Sarebbe bene che questa energia comunitaria fosse applicata non solo ad azioni sporadiche ma in modo stabile». «Vedo che tanti giovani in tante parti del mondo sono usciti per le strade per esprimere il desiderio di una civiltà più giusta e fraterna... Sono giovani che vogliono essere protagonisti del cambiamento… Non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento!» L'esperienza dei Caschi Bianchi, dei giovani che vanno in strada per liberare le ragazze schiavizzate, di chi in terra di missione condivide con i più poveri. Scoprire i talenti dei giovani, dare fiducia e lanciarli in responsabilità. Non c’è nessuno più impegnato in questo mondo di chi è immerso in Dio. Prendiamo ad esempio le esperienze di coppie di giovani sposi, di giovani consacrati e sacerdoti. "Christus vivit": ecco il riassunto Questa lettera contiene un forte annuncio di speranza: Papa Francesco, con un linguaggio semplice e colloquiale, si rivolge ai giovani e a chi vuole rimanere con un cuore giovane. Ecco una sintesi del suo messaggio: Che cosa dice la Parola di Dio sui giovani? (capitolo primo) Come vuoi vivere la tua giovinezza? Come Samuele, che diventa uno dei più grandi profeti di Israele? Oppure come Davide, che sarà il re più importante e da cui discenderà il messia? Come quel giovane ricco che si avvicina a Gesù per cogliere il segreto della vita eterna? Oppure come quel figlio che ritira in anticipo l’eredità del padre per andare a divertirsi? Come vuoi spendere la tua giovinezza, questa stagione della vita che stai attraversando? Gesù Cristo sempre giovane (capitolo secondo) A chi non piacerebbe rimanere sempre giovane? Nella cultura odierna si sprecano i libri, i corsi, i consigli per imbrogliare il tempo che passa, rimanendo sempre giovani. In realtà il tempo passa per tutti, ma c’è una buona notizia: «Gesù è risorto e vuole farci partecipare alla novità della sua risurrezione. Vicino a Lui possiamo bere dalla vera sorgente, che mantiene vivi i nostri sogni, i nostri progetti, i nostri grandi ideali, e che ci lancia nell’annuncio della vita che vale la pena vivere» (n. 32). Quindi: vuoi rimanere giovane? Rimani unito a Gesù! E se sei giovane d’età, allora ti aspetta un compito importante: Papa Francesco ti chiede questo: «Attraverso la santità dei giovani la Chiesa può rinnovare il suo ardore spirituale e il suo vigore apostolico. Il balsamo della santità generata dalla vita buona di tanti giovani può curare le ferite della Chiesa e del mondo» (n. 50). Voi siete d’adesso di Dio! (capitolo terzo) C’è qualcosa di più elettrizzante che avere una missione così importante da compiere? Scrive il Papa: «non possiamo limitarci a dire che i giovani sono il futuro del mondo: sono il presente, lo stanno arricchendo con il loro contributo» (n. 64). Francesco però, con il suo spiccato senso pratico che lo contraddistingue, non nasconde che ci sono zone d’ombra: «Molti giovani sono ideologizzati, strumentalizzati e usati come carne da macello o come forza d’urto per distruggere, intimidire o ridicolizzare altri. E la cosa peggiore è che molti si trasformano in soggetti individualisti, nemici e diffidenti verso tutti, e diventano così facile preda di proposte disumanizzanti e dei piani distruttivi elaborati da gruppi politici o poteri economici. Ancora più numerosi nel mondo sono i giovani che patiscono forme di emarginazione ed esclusione sociale, per ragioni religiose, etniche o economiche. A volte il dolore di alcuni giovani è lacerante; è un dolore che non si può esprimere a parole; è un dolore che ci colpisce come uno schiaffo. Questi giovani possono solo dire a Dio che soffrono molto, che è troppo difficile per loro andare avanti, che non credono più in nessuno». (n. 73, 74, 77) Non ci si può voltare dall’altra parte di fronte a queste sofferenze o difficoltà. Non serve nemmeno farsi prendere dallo scoraggiamento. «Se sei giovane di età, ma ti senti debole, stanco o deluso, chiedi a Gesù di rinnovarti. Con Lui non viene meno la speranza. Lo stesso puoi fare se ti senti immerso nei vizi, nelle cattive abitudini, nell’egoismo o nella comodità morbosa. Gesù, pieno di vita, vuole aiutarti perché valga la pena essere giovane. Così non priverai il mondo di quel contributo che solo tu puoi dare, essendo unico e irripetibile come sei». (n. 109) «Non rinunciate ai vostri sogni!» Ecco il grande annuncio per tutti i giovani (capitolo quarto) Qual è la cosa più importante, la prima cosa, quella che non dovrebbe mai essere taciuta, che Papa Francesco vuole dire a tutti i giovani? È una verità in 3 punti: Dio ti ama. Se l’hai già sentito, non importa, voglio ricordartelo: Dio ti ama. Non dubitarne mai, qualunque cosa ti accada nella vita. In qualunque circostanza, sei infinitamente amato. La seconda verità è che Cristo, per amore, ha dato se stesso fino alla fine per salvarti. Le sue braccia aperte sulla croce sono il segno più prezioso di un amico capace di arrivare fino all’estremo: quel Cristo che ci ha salvato sulla croce dai nostri peccati, con lo stesso potere del suo totale dono di sé continua a salvarci e redimerci oggi. C’è però una terza verità: Egli vive! Gesù Cristo non è un buon esempio del passato, un ricordo, qualcuno che ci ha salvato duemila anni fa. Colui che ci libera, Colui che ci trasforma, Colui che ci guarisce e ci conforta è qualcuno che vive. È Cristo risorto, pieno di vitalità soprannaturale, rivestito di luce infinita. Se Egli vive, allora davvero potrà essere presente nella tua vita, in ogni momento, per riempirlo di luce. Così non ci saranno mai più solitudine e abbandono. Percorsi di gioventù (capitolo quinto) «La giovinezza, più che un vanto, è un dono di Dio:  essere giovani è una grazia, una fortuna. È un dono che possiamo sprecare inutilmente, oppure possiamo riceverlo con gratitudine e viverlo in pienezza» (n. 134). Tu, giovane, come scegli di viverla? Sicuramente la gioventù è un tempo di sogni e di scelte importante che segneranno il futuro di quella persona. Il Papa confida: «Qualche tempo fa un amico mi ha chiesto che cosa vedo io quando penso a un giovane. La mia risposta è stata: Vedo un ragazzo o una ragazza che cerca la propria strada, che vuole volare con i piedi, che si affaccia sul mondo e guarda l’orizzonte con occhi colmi di speranza, pieni di futuro e anche di illusioni. Il giovane va con due piedi come gli adulti, ma a differenza degli adulti, che li tengono paralleli, ne ha sempre uno davanti all’altro, pronto per partire, per scattare. Sempre lanciato in avanti. Parlare dei giovani significa parlare di promesse, e significa parlare di gioia. Hanno tanta forza i giovani, sono capaci di guardare con speranza. Un giovane è una promessa di vita che ha insito un certo grado di tenacia; ha abbastanza follia per potersi illudere e la sufficiente capacità per poter guarire dalla delusione che ne può derivare» (n. 139). Papa Francesco ha grande fiducia nei giovani, perché hanno voglia di sperimentare e di vivere (n. 144-149), perché nell’amicizia con Cristo (n. 150-157) possono intraprendere un percorso di maturazione che li porta all’impegno per gli altri (n. 158-174), fino a diventare missionari coraggiosi (n. 175-178). Giovani con radici (capitolo sesto) Come un giovane albero senza radici profonde, cade in balìa della tempesta, così «è impossibile che uno cresca se non ha radici forti che aiutino a stare bene in piedi e attaccato alla terra. È facile “volare via” quando non si ha dove attaccarsi, dove fissarsi» (n. 179). Aiutare i giovani a scoprire la ricchezza viva del passato, facendone memoria e servendosene per le proprie scelte e possibilità, è un vero atto di amore nei loro confronti in vista della loro crescita e delle scelte che sono chiamati a compiere» (187). «Cari giovani, non permettete che usino la vostra giovinezza per favorire una vita superficiale, che confonde la bellezza con l’apparenza. Sappiate invece scoprire che: c’è una bellezza nel lavoratore che torna a casa sporco e in disordine, ma con la gioia di aver guadagnato il pane per i suoi figli. C’è una bellezza straordinaria nella comunione della famiglia riunita intorno alla tavola e nel pane condiviso con generosità, anche se la mensa è molto povera. C’è una bellezza nella moglie spettinata e un po’ anziana che continua a prendersi cura del marito malato al di là delle proprie forze e della propria salute. Malgrado sia lontana la primavera del corteggiamento, c’è una bellezza nella fedeltà delle coppie che si amano nell’autunno della vita e in quei vecchietti che camminano tenendosi per mano. C’è una bellezza che va al di là dell’apparenza o dell’estetica di moda in ogni uomo e ogni donna che vivono con amore la loro vocazione personale, nel servizio disinteressato per la comunità, per la patria, nel lavoro generoso per la felicità della famiglia, impegnati nell’arduo lavoro anonimo e gratuito di ripristinare l’amicizia sociale. Scoprire, mostrare e mettere in risalto questa bellezza, che ricorda quella di Cristo sulla croce, significa mettere le basi della vera solidarietà sociale e della cultura dell’incontro». (n. 183) La pastorale dei giovani. Guidati sì, ma liberi di trovare strade sempre nuove (capitolo settimo) «Oltre al consueto lavoro pastorale che realizzano le parrocchie e i movimenti, secondo determinati schemi, è molto importante dare spazio a una “pastorale giovanile popolare”, che ha un altro stile, altri tempi, un altro ritmo, un’altra metodologia. Consiste in una pastorale più ampia e flessibile che stimoli, nei diversi luoghi in cui si muovono concretamente i giovani, quelle guide naturali e quei carismi che lo Spirito Santo ha già seminato tra loro. Si tratta prima di tutto di non porre tanti ostacoli, norme, controlli e inquadramenti obbligatori a quei giovani credenti che sono leader naturali nei quartieri e nei diversi ambienti. Dobbiamo limitarci ad accompagnarli e stimolarli, confidando un po’ di più nella fantasia dello Spirito Santo che agisce come vuole» (n. 230). «Invece di soffocarli con un insieme di regole che danno del cristianesimo un’immagine riduttiva e moralistica, siamo chiamati a investire sulla loro audacia ed educarli ad assumersi le loro responsabilità, certi che anche l’errore, il fallimento e la crisi sono esperienze che possono rafforzare la loro umanità» (n. 233) La vocazione. Chiamati da chi? Chiamati per cosa? (capitolo ottavo) Vocazione non vuol dire solo “chiamata alla vita religiosa o di speciale consacrazione a Dio”, ma è la chiamata a realizzarsi pienamente, a crescere per la gloria di Dio. Dio ti chiama: Ad essere suo amico: Sai cosa vuole da te Gesù? Che diventi suo amico. Come ha fatto con Pietro, Gesù chiede anche a te, oggi: «Mi vuoi come amico?» (n. 250). La vita che Gesù ci dona è una storia d’amore, una storia di vita che desidera mescolarsi con la nostra e mettere radici nella terra di ognuno (n. 252). Ad essere per gli altri: «Siamo chiamati dal Signore a partecipare alla sua opera creatrice, offrendo il nostro contributo al bene comune sulla base delle capacità che abbiamo ricevuto» (n. 253). All’amore e alla famiglia: «I giovani sentono fortemente la chiamata all’amore e sognano di incontrare la persona giusta con cui formare una famiglia e costruire una vita insieme. Senza dubbio è una vocazione che Dio stesso propone attraverso i sentimenti, i desideri, i sogni. (n. 259) Al lavoro: «Non sempre un giovane ha la possibilità di decidere a che cosa dedicare i suoi sforzi, perché, al di là dei propri desideri, ci sono i duri limiti della realtà. È vero che non puoi vivere senza lavorare e che a volte dovrai accettare quello che trovi, ma non rinunciare mai ai tuoi sogni, non seppellire mai definitivamente una vocazione, non darti mai per vinto. Continua sempre a cercare, come minimo, modalità parziali o imperfette di vivere ciò che nel tuo discernimento riconosci come un’autentica vocazione» (n. 272). Ad una speciale consacrazione: è importante che ogni giovane si interroghi sulla possibilità di seguire questa strada. «La chiamata di Gesù è attraente, è affascinante. Oggi, però, l’ansia e la velocità di tanti stimoli che ci bombardano fanno sì che non ci sia spazio per quel silenzio interiore in cui si percepisce lo sguardo di Gesù e si ascolta la sua chiamata. Nel frattempo, riceverai molte proposte ben confezionate, che si presentano belle e intense, ma con il tempo ti lasceranno svuotato, stanco e solo. Non lasciare che questo ti accada, perché il turbine di questo mondo ti trascina in una corsa senza senso, senza orientamento, senza obiettivi chiari, e così molti tuoi sforzi andranno sprecati. Cerca piuttosto quegli spazi di calma e di silenzio che ti permettano di riflettere, di pregare, di guardare meglio il mondo che ti circonda, e a quel punto, insieme a Gesù, potrai riconoscere quale è la tua vocazione in questa terra» (n. 277) Il discernimento: cosa significa? (capitolo nono ed ultimo) Ma cos’è questo “discernimento” di cui tanto si parla? Era il tema centrale anche del Sinodo dei Vescovi di ottobre 2018, che ha ascoltato la voce di centinaia di giovani. Discernimento è capire cosa “voglio fare da grande”, «è un cammino di libertà che porta alla luce quella realtà unica di ogni persona, quella realtà che è così sua, così personale, che solo Dio la conosce. Gli altri non possono né comprendere pienamente né prevedere dall’esterno come si svilupperà» (n. 295). È proprio indispensabile fare discernimento? Sì, perché «senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento» (n. 279). Allora qual è la grande domanda? «Tante volte, nella vita, - scrive Papa Francesco - perdiamo tempo a domandarci: “Ma chi sono io?”. Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati: “Per chi sono io?”». Tu sei per Dio, senza dubbio. Ma Lui ha voluto che tu sia anche per gli altri, e ha posto in te molte qualità, inclinazioni, doni e carismi che non sono per te, ma per gli altri». (n. 286)
APG23
08/04/2019
«Non identifichiamo la cultura rom con il degrado»
"In dialogo con il popolo rom", era il titolo del secondo dei 3 seminari previsti per il 2019 sulla cultura rom e sinta, organizzato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII lo scorso 16 marzo si è svolto a Marebello (RN). Soprattutto in occasione della giornata mondiale del popolo camminante, che ricorre ogni anno l'8 aprile, è importante porre l'attenzione su quanto poco conosciamo questa cultura centenaria e su quanti pregiudizi si annidano anche tra i più tolleranti. «In Italia ci sono 180mila rom, di cui solo 20mila (dati 2018 Università di Chieti) vivono nei campi» ha ribadito durante il seminario Giorgio Bezzecchi, rom di origine croata che vive a Milano, «Spesso si focalizza l’attenzione su quelli che vivono nel degrado, dimenticandosi degli altri 160mila che sono integrati». Bezzecchi, rom attivista, presidente della cooperativa Romanò Drom, è stato collaboratore di Fabrizio De André, per la famosa canzone Khorakhanè, in seguito alla quale era nata una grande amicizia. Il suo intervento è partito dalla storia della sua vita, dalle difficoltà di essere rom in Italia negli anni ’60. Proprio lui è stato il primo rom scolarizzato in Italia e la sua è una storia di riscatto sociale: i suoi genitori vivono ancora in un piccolo campo a Milano, lui invece, da quando si è sposato con un ufficiale della finanza, una donna che si occupava del campo in cui viveva con la famiglia, si è trasferito in una casa, come attivista e collaboratore degli enti locali, in difesa dei diritti del suo popolo. «È sbagliato - continua Bezzecchi - confondere il degrado che viene dalla marginalità e dall’esclusione con la cultura rom. Sono circa 160mila i rom integrati, molti dei quali, circa 100mila, sono italiani a tutti gli effetti, da diverse generazioni, mentre gli altri 60mila sono rom slavi balcanici con i documenti in regola». Insomma: 20mila persone che vivono nei campi nomadi hanno più peso di questi 160mila rom che sono perfettamente integrati nel nostro territorio. Bezzecchi distingue bene quella che è la mancanza e la perdita di valori culturali e la povertà interiore ed esteriore che ne deriva, soprattutto interiore, con la cultura, che è un’altra cosa. Il prossimo seminario sarà il 4 maggio a Bologna sul tema: “La coscienza di popolo e il protagonismo politico”. Ospite d'eccezione: Vojislav Stojanovic, rom serbo, mediatore culturale europeo, ingegnere civile, presidente dell’opera nomadi Torino. Khorakhanè (A forza di essere vento): una canzone di Fabrizio De André sul popolo camminante 8 aprile: giornata internazionale dei popoli camminanti L’8 aprile in tutto il mondo si celebra la giornata internazionale dei Rom e dei Sinti. La ricorrenza  è stata istituita per ricordare il primo congresso mondiale del popolo Rom che si tenne a Londra nel 1971. In quell’occasione il nome Rom, che significa “uomo” nella loro lingua, fu scelta per indicare la nazione Romanì, che comprende varie comunità. Quel giorno si costituì la Romanì Union, la prima associazione mondiale dei Rom, fu scelta la bandiera Rom (una ruota rossa in campo azzurro e verde) e l’inno nazionale “Gelem gelem”. «Tra tutte le ricorrenze internazionali, quella dell’8 aprile è forse la meno conosciuta» spiega Natascia Mazzon, referente della condivisione con i Rom e Sinti. «Infatti già da 44 anni l’8 aprile viene celebrato in tutto il mondo dal popolo Rom e, se è vero che i Rom sono tra i gruppi più discriminati nel nostro Paese, ogni occasione può essere utile per provare a smontare quella bolla di pregiudizio e di stigmatizzazione, di stereotipi e di luoghi comuni che hanno consentito la diffusione di una così aggressiva ostilità nei loro confronti. In questa ricorrenza si potrebbe parlare di cose molto più tristi, ad esempio del “Porrajmos” (significa “grande devastazione” e si riferisce allo sterminio nazista), quando circa 600mila tra Rom e Sinti sono morti, insieme ad ebrei e disabili; oppure si potrebbe parlare della politica segregativa italiana che costringe circa 40.000 Rom a vivere in condizioni disumane nei campi che sono dei ghetti; si potrebbe raccontare l’impossibilità per loro di regolarizzarsi, anche volendo, perché per i Rom tutte le porte, o quasi tutte, si chiudono a prescindere, come abbiamo constatato in questi anni grazie alla nostra esperienza di condivisione con loro.   Video con l’inno nazionale Romanì “Gelem gelem” Chi sono i Rom? Un seminario per conoscere meglio questo popolo Il 20 gennaio 2018 presso la comunità terapeutica S. Giuseppe a Castel Maggiore, loc. Sabbiuno (BO), si è tenuto un seminario dal titolo: "Chi sono i Rom?". Relatore Francesco Canuti, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII, conoscitore della cultura Rom. Chiediamo a Natascia Mazzon, referente dell’Ambito Rom per la Comunità Papa Giovanni XXIII, il motivo che ha spinto ad organizzare questo percorso formativo, pensato per i volontari coinvolti nell’accoglienza e accompagnamento del popolo Rom: « La conoscenza e il dialogo sono i due principi cardine su cui si fonda l’eredità di don Oreste Benzi rispetto alla condivisione con questo popolo. Pensiamo sia fondamentale partire da una solida base di conoscenze, sia del popolo che andiamo ad incontrare, sia delle motivazioni che ci spingono a farlo. La speranza è di riuscire a fornire strumenti efficaci per superare i pregiudizi e aprire il dialogo col popolo Rom. Il seminario è parte di un percorso che prevede altri 3 seminari durante il 2018. L’obiettivo è conoscere meglio l’identità Romanì, ovvero la Romanipè. Di seguito i temi dei seminari 2018: “La famiglia nel popolo Rom, come cambiano i ruoli oggi? L'emarginazione e il degrado. La scuola”. Relatori: prof. D. Argiropolus (docente di Pedagogia della marginalità e della devianza all’Università di Bologna); ins. Marcello Brondi (referente del progetto Rom dell'Isituto Comprensivo Cosmè Tura a Ferrara) 17 marzo 2018, presso comunità terapeutica S. Giuseppe, Castel Maggiore, loc. Sabbiuno (BO), via Sammarina 12 “Lo status giuridico del popolo Rom. Linee generali e approfondimenti”             Relatore: avv. Laila Simoncelli, avvocato civilista esperta in diritto internazionale.             9 giugno 2018, presso comunità terapeutica S. Giuseppe, Castel Maggiore, loc. Sabbiuno (BO), via Sammarina 12 “La dimensione spirituale del popolo Rom”             Relatore: don Renato Rosso, missionario tra i Rom e Sinti dagli anni '70             13 ottobre 2018, presso il Centro Diurno S. Chiara a Fossano (CN) Via Villafalletto, 24 Un video-documentario sui Rom in fase di realizzazione A completare il percorso formativo, durante tutto il 2018 verrà girato un video-documentario alla scoperta della Romanipé, cioè dell’identità Romanì. Il documentario sarà realizzato da Flavio Zanini e avrà i seguenti contenuti: stralci delle relazioni dei docenti che terranno i seminari interviste a personalità dell'attivismo rom testimonianze di rom e sinti su vari argomenti (il pregiudizio, l'emarginazione, il riscatto sociale) (di Chiara Bonetto) Il popolo Rom ricorda don Benzi Uniti nella preghiera sulla tomba del sacerdote riminese La mattina del 26 dicembre la Comunità Papa Giovanni XXIII e alcune famiglie Rom e Sinti di Rimini si sono trovate sulla tomba di don Oreste Benzi al cimitero di Rimini. «Abbiamo pregato insieme, Rom e Gagi, sulla tomba di don Oreste – a parlare è don Adamo Affri, responsabile della Comunità per la zona di Rimini -.  Abbiamo fatto esperienza che quando si mette Gesù al centro tutti ci sentiamo fratelli, abitati da un Mistero più grande e assolutamente in comunione mistica tra noi! La fede è una realtà che ci aiuta ad incontrarci senza giudizio e senza paure. Pregare insieme oggi è il germe per una nuova umanità dove tutti ci riconosciamo in Cristo». «Caro papà Don Oreste» con queste parole Munira ha iniziato la sua preghiera. Ha ringraziato per quello che il papà ha insegnato loro, ricorda quando era tra loro e racconta come anche i figli e nipoti che non lo hanno conosciuto gli vogliano bene. Conclude: «Ti prego papà Don Oreste da lassù, continua a vegliare su di noi e proteggi tutte le persone a cui ha dato da raccogliere quello che tu hai seminato. Proteggi le persone bisognose, specialmente gli ultimi degli ultimi…. Grazie papà!» Matteo Drudi e Chiara Vitale sono il riferimento nella Comunità per i Rom e Sinti a Rimini. «Credo che il momento vissuto insieme questa mattina tra Rom e Gagi sia rappresentato molto bene nella preghiera di Munira – racconta Matteo Drudi -. Al centro c’era Dio al quale ci siamo rivolti chiedendo l’aiuto di Don Oreste, nostro papà. Da lui è partita la luce simbolo di speranza, luce che guida e scalda, che ognuno di noi ha tenuto in mano durante la preghiera spontanea». Il momento ha avuto inizio in lingua Romanì, con il saluto O Del Si Tumentsa! (Il Signore sia con voi) e si è concluso con il canto Ave Maria Romanès accompagnato da chitarra e ukulele. Non a caso due strumenti diversi, nati da popoli e culture diverse, ma unite dalle stesse note, per comporre un’unica melodia, quella che da questa mattina abbiamo cantato e vissuto insieme. La preghiera si è conclusa con un gesto simbolico tipico della cultura Rom: per invitare il caro defunto è stato versato un bicchiere di tè nella terra in cui Don Oreste è sepolto ed è stata lasciata una fetta di panettone ai piedi della tomba… questo è stato il modo per chiedere all’anima di Don Oreste di venire in mezzo a noi ad unirsi alla gioia della festa. «Quando arriva il Natale, il pensiero va subito alla famiglia – ci dice Chiara Vitale -. il Natale è un fatto avvenuto in una famiglia e ancora oggi è una festa prettamente familiare. Noi oggi abbiamo vissuto la gioia di riconoscerci parte di una grande famiglia, una famiglia senza confini di nessun tipo. Quando due o più popoli si incontrano per pregare insieme è una grande festa, è veramente Natale. Don Oreste ci teneva tantissimo a passare il Natale con le famiglie Rom, proprio lui ci ha insegnato a sentirci tutti parte di una grande famiglia, la famiglia di Dio. Dio si è fatto uomo anzi bambino e ha avuto bisogno di una famiglia. Noi siamo la sua famiglia se non poniamo limiti all'accoglienza dell'altro e scopriamo la bellezza delle diversità in un dono reciproco». (di Francesca Ciarallo)
APG23
08/04/2019
San Marino riconosce la Lingua dei Segni LIS. Quando lo farà  l’Italia?
La Lingua dei Segni italiana (LIS) è una lingua vera e propria, al pari di tutte le altre lingue vocali. La risoluzione del Parlamento Europeo per il riconoscimento delle lingue dei Segni negli Stati Membri risale al 1988. Nonostante ciò, l’Italia rimane ad oggi uno dei pochi stati europei a non averlo ancora riconosciuto. Il 27 febbraio scorso anche la Repubblica di San Marino ha garantito diritto giuridico alla LIS, riconoscendo la comunità di persone sorde come minoranza culturale e linguistica, con tutti i conseguenti diritti: inclusione scolastica, inclusione lavorativa, partecipazione e accesso libero alla comunicazione, alla cultura, al divertimento. Ha destato scompiglio l’intervento che la deputata Augusta Montaruli di Fratelli d’Italia, ha fatto durante una seduta del consiglio dei deputati: quando le hanno dato la parola, ha iniziato a parlare usando la LIS (lingua italiana dei segni) e siccome nessuno riusciva a capirla, le hanno chiesto di portare un interprete, oppure le sarebbe stata tolta la parola. Questo non sarebbe accaduto se la LIS avesse ottenuto il riconoscimento giuridico come è stato più volte chiesto, senza però ottenere risultati. Quando si deciderà a questo passo anche lo stato italiano? Cosa cambia se viene riconosciuta la LIS in Italia Se la LIS verrà riconosciuta come una lingua vera e propria a livello giuridico, sarà un grande passo avanti per la comunità dei sordi, che verrà riconosciuta come una minoranza linguistica e culturale. Verranno quindi garantiti, attraverso dei decreti attuativi, i diritti di inclusione, cittadinanza, partecipazione alla vita sociale, politica, civile. In altre parole lo stato italiano si impegnerà a garantire un vero diritto all’inclusione scolastica di qualità a tutti i bambini e adolescenti sordi; ci sarà un’attenzione particolare a fornire accesso alle notizie anche si sordi, con l’utilizzo di materiali multimediali, sottotitoli e closed caption; ci sarà il diritto all’interprete (assistenti alla comunicazione professionali che garantiscano questo servizio in maniera adeguata); si dovrà garantire la possibilità di usufruire delle attività culturali, di intrattenimento, di divertimento. La Apg23 in prima linea per il riconoscimento della LIS Il riconoscimento della LIS nella Repubblica di San Marino è un bel risultato, ottenuto grazie alla collaborazione e il coinvolgimento di tante associazioni, anche la partecipazione della Comunità Papa Giovanni XXIII. Patricio Castillo, membro della Apg23, ha collaborato affinché nascesse la Associazione Sammarinese Sordi e ha partecipato alla commissione sammarinese ONU, insieme ad altri membri della Comunità Papa Giovanni XXIII e in collaborazione con altre associazioni sammarinesi, per la realizzazione di una nuova legge quadro sulla disabilità che ha sostituito la vecchia legge, inserendo tra le proposte degli articoli anche il riconoscimento della LIS come necessità per garantire una vera inclusione della persona sorda nella quotidianità. Fondamentale è stato il passaggio dell'istanza d'Arengo inviata dall'Associazione Sordi Sammarinesi ai consiglieri sammarinesi per il suo riconoscimento giuridico. Un sito per imparare la LIS La piattaforma www.insegniapprendi.org è il posto giusto per iniziare ad imparare la lingua dei segni italiana attraverso il gioco, in maniera simpatica. Un modo divertente per sensibilizzare le persone su questo argomento. Rivolto anche alle scuole, è uno strumento importante per parlare dell’inclusione e della cultura della diversità, con materiale multimediale adatto alla scuola dell’infanzia, fino ad arrivare alla scuola secondaria di primo grado. Sarà aggiornata costantemente, introducendo anche altre lingue dei segni di diversi Paesi (russo, cinese, americano, neozelandese). La lingua dei segni è multilinguistica, multiculturale e molto ricca. Il materiale può essere utilizzato tramite computer, tablet, cellulare. Lingua dei segni LIS: come iniziare Molti lo chiamano 'linguaggio dei segni', quasi fosse una sorta di dialetto; in realtà la LIS, Lingua dei Segni Italiana, è una vera e propria lingua, uno strumento di comunicazione completo che è in grado di abbattere barriere. Ma avete mai pensato che le mani possono permettere ai sordi di cantare e recitare poesie? È possibile farne esperienza, con laboratori di canto e di racconto di filastrocche in LIS: anche quest’anno la Comunità Papa Giovanni XXIII ha attivato un Corso di Sensibilizzazione e Formazione alla Lingua dei Segni: non serve essere sordi per venire dal 22 novembre ogni mercoledì alle 21 nel Salone Parrocchiale di Domagnano, Piazza Filippo da Sterpeto 10 nella Repubblica di San Marino. Il corso dura 36 ore. Scopo del corso è introdurre i partecipanti alla conoscenza base della Lingua Italiana dei Segni, e della cultura e vita delle persone sorde. E per chi abita lontano? Potete chiamare il numero 345.5253188 o scrivere a info@insegniapprendi.org per attivare approfondimenti sulla lingua dei segni nelle vostre realtà. L'ente di riferimento nazionale per scoprire come comunicano le persone sorde è l'Ens, Ente Nazionale dei Sordi.    #FOTOGALLERY:LIS#   Il linguaggio dei segni (Lis - Lingua dei Segni Italiana) da Papa Francesco Dal 20 al 22 ottobre 2017, a Roma si è svolto il Convegno internazionale intitolato “Catechesi e persone con disabilità: un’attenzione necessaria nella vita quotidiana della Chiesa”, occasione per molte persone sorde di incontrare Papa Francesco. Il convegno è stato pensato in occasione del 25° anno di promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, organizzato dal Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova evangelizzazione. Suor Veronica Amata, dell’Ufficio Catechistico Nazionale per la Disabilità, ha invitato la Comunità papa Giovanni XXIII, che ha partecipato come ambito  "Pastorale dei Sordi e Loro Famiglie".  «Abbiamo avuto la possibilità di salutare il Santo Padre a nome della nostra Associazione APG23 e il nostro Presidente Paolo Ramonda. Abbiamo presentato il nostro materiale Multimedia in Lingua dei Segni per le persone con Sordità, partecipando alla mostra inaugurata a Roma durante il convegno Catechesi e Persone con Disabilità», racconta Patricio Castillo della Papa Giovanni.  Ecco cosa ha detto Papa Francesco, rivolgendosi anche a sordomuti.   DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO PROMOSSO DAL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE Sala Clementina Sabato, 21 ottobre 2017 Cari fratelli e sorelle, Mi rallegra incontrarvi, soprattutto perché in questi giorni avete affrontato un tema di grande importanza per la vita della Chiesa nella sua opera di evangelizzazione e formazione cristiana: La catechesi e le persone con disabilità. Ringrazio S.E. Mons. Fisichella per la sua introduzione, il Dicastero da lui presieduto per il suo servizio e tutti voi per il vostro lavoro in questo campo. Conosciamo il grande sviluppo che nel corso degli ultimi decenni si è avuto nei confronti della disabilità. La crescita nella consapevolezza della dignità di ogni persona, soprattutto di quelle più deboli, ha portato ad assumere posizioni coraggiose per l’inclusione di quanti vivono con diverse forme di handicap, perché nessuno si senta straniero in casa propria. Eppure, a livello culturale permangono ancora espressioni che ledono la dignità di queste persone per il prevalere di una falsa concezione della vita. Una visione spesso narcisistica e utilitaristica porta, purtroppo, non pochi a considerare come marginali le persone con disabilità, senza cogliere in esse la multiforme ricchezza umana e spirituale. E’ ancora troppo forte nella mentalità comune un atteggiamento di rifiuto di questa condizione, come se essa impedisse di essere felici e di realizzare sé stessi. Lo prova la tendenza eugenetica a sopprimere i nascituri che presentano qualche forma di imperfezione. In realtà, tutti conosciamo tante persone che, con le loro fragilità, anche gravi, hanno trovato, pur con fatica, la strada di una vita buona e ricca di significato. Come d’altra parte conosciamo persone apparentemente perfette e disperate! D’altronde, è un pericoloso inganno pensare di essere invulnerabili. Come diceva una ragazza che ho incontrato nel mio recente viaggio in Colombia, la vulnerabilità appartiene all’essenza dell'uomo. La risposta è l’amore: non quello falso, sdolcinato e pietistico, ma quello vero, concreto e rispettoso. Nella misura in cui si è accolti e amati, inclusi nella comunità e accompagnati a guardare al futuro con fiducia, si sviluppa il vero percorso della vita e si fa esperienza della felicità duratura. Questo – lo sappiamo – vale per tutti, ma le persone più fragili ne sono come la prova. La fede è una grande compagna di vita quando ci consente di toccare con mano la presenza di un Padre che non lascia mai sole le sue creature, in nessuna condizione della loro vita. La Chiesa non può essere “afona” o “stonata” nella difesa e promozione delle persone con disabilità. La sua vicinanza alle famiglie le aiuta a superare la solitudine in cui spesso rischiano di chiudersi per mancanza di attenzione e di sostegno. Questo vale ancora di più per la responsabilità che possiede nella generazione e nella formazione alla vita cristiana. Non possono mancare nella comunità le parole e soprattutto i gesti per incontrare e accogliere le persone con disabilità. Specialmente la Liturgia domenicale dovrà saperle includere, perché l’incontro con il Signore Risorto e con la stessa comunità possa essere sorgente di speranza e di coraggio nel cammino non facile della vita. La catechesi, in modo particolare, è chiamata a scoprire e sperimentare forme coerenti perché ogni persona, con i suoi doni, i suoi limiti e le sue disabilità, anche gravi, possa incontrare nel suo cammino Gesù e abbandonarsi a Lui con fede. Nessun limite fisico e psichico potrà mai essere un impedimento a questo incontro, perché il volto di Cristo risplende nell’intimo di ogni persona. Inoltre stiamo attenti, specialmente noi ministri della grazia di Cristo, a non cadere nell’errore neo-pelagiano di non riconoscere l’esigenza della forza della grazia che viene dai Sacramenti dell’iniziazione cristiana. Impariamo a superare il disagio e la paura che a volte si possono provare nei confronti delle persone con disabilità. Impariamo a cercare e anche a “inventare” con intelligenza strumenti adeguati perché a nessuno manchi il sostegno della grazia. Formiamo – prima di tutto con l’esempio! – catechisti sempre più capaci di accompagnare queste persone perché crescano nella fede e diano il loro apporto genuino e originale alla vita della Chiesa. Da ultimo, mi auguro che sempre più nella comunità le persone con disabilità possano essere loro stesse catechisti, anche con la loro testimonianza, per trasmettere la fede in modo più efficace. Vi ringrazio per il vostro lavoro di questi giorni e per il vostro servizio nella Chiesa. La Madonna vi accompagni. Vi benedico di cuore. E vi chiedo, per favore, di non dimenticarvi di pregare per me.
APG23
04/04/2019
Torna la mostra DiversaMENTE ABILE
Il 19 aprile verrà inaugurata Anime, la mostra che espone le opere d'arte realizzate dai ragazzi del Centro Diurno socio-riabilitativo "Don Oreste Benzi" a Cesena. «L’arte non si può separare dalla vita. È l'espressione della più grande necessità della quale la vita è capace», diceva Robert Henri, pittore statunitense. Le persone che frequentano il Centro Diurno “Don Oreste Benzi” hanno la necessità di trovare altri linguaggi, oltre a quello verbale, per dare (o ridare) voce a tutto ciò che è inesprimibile dentro di loro. L’arte permette di gettare un ponte tra il loro mondo interiore e il mondo esterno. Melissa Cappelli, curatrice della mostra, insegna arte e prepara insieme ai ragazzi del Centro Diurno le opere artistiche, tutti pezzi unici, come ciascuno di noi. «Melissa mi ha confessato che era sempre stata spaventata dal pensiero di lavorare con i disabili» racconta Flora Amaduzzi, responsabile del Centro Diurno, «ma ha accettato lo stesso di lavorare con noi e mi ha confidato che è la cosa più bella che le è capitata nella vita, perché le dà la possibilità di esprimersi completamente, insieme ai ragazzi del Centro si sente completamente libera». Anime: è il tema scelto quest’anno dal Centro diurno "Don Oreste Benzi" per la 13ª edizione di Diversa MENTE ABILE, consueta mostra dove sono esposte le opere d’arte dei ragazzi, patrocinata dal Comune di Cesena. L’ANIMA è il respiro della persona. Ci sono anime leggere e anime pesanti, anime piccoline ed anime giganti, ci sono anime chiare e altre dagli angoli oscuri, anime rosse e anime blu, anime che camminano rasente a terra e altre che sanno volare molto in alto, anime calde e anime fresche . Quando non si è autosufficienti, la vita può essere insopportabilmente spietata, pesante, schiacciata sotto i propri limiti. Attraverso l’arte, tuffandosi in colori vigorosi o delicati i nostri Artisti dimenticano la pesantezza di un corpo rigido o immobile librandosi liberi nel cielo, intimamente uniti con la loro ANIMA. È proprio l’ANIMA che li spinge a non arrendersi alla propria malattia e scoprire che i limiti sono solo dentro di noi. Ed è qui che nasce l’arte: dal rifiuto di abbandonare la speranza Questa mostra racconta la vita di queste anime. Saranno in mostra anche cartoline con le foto dei ragazzi impegnati nelle varie attività a disposizione di tutti perché «Vorremmo creare un virus che contagi un po’ tutti: il virus delle buone notizie». E la buona notizia è proprio questa: è possibile vivere una vita dignitosa, fatta di bellezza, quando c’è un grembo sociale che ti permette di essere quello che sei, di esprimerti, lasciare il tuo segno, a partire dall’handicap che porti sulla pelle. La mostra è installata all'interno della navata della chiesa di Sant'Agostino a Cesena da venerdì 19 aprile a domenica 5 maggio 2019. L'inaugurazione della mostra sarà venerdì 19 aprile alle 16:30. Clicca per sapere gli orari di apertura della mostra.
APG23
27/03/2019
Pene alternative al carcere: parte il progetto Piantare la speranza
Il 18 marzo scorso è stato approvato dalla Giunta comunale di Coriano (RN) il progetto “Piantare la speranza”, con cui il Comune romagnolo si impegna a piantare un albero per ogni detenuto accolto a Casa Betania, struttura del percorso CEC (Comunità Educante con i Carcerati). «Questo progetto unisce l’amore ai poveri e quello per la Madre Terra» spiega Giorgio Pieri, coordinatore del progetto CEC. A Coriano (RN). Il 27 marzo il sindaco Domenica Spinelli ha consegnato al prefetto Alessandra Camporata la delibera comunale in cui la città di Coriano si impegna a piantare un albero per ogni accolto di Casa Betania. Inizia un cammino di speranza per i poveri e il creato. Detenuti in pena alternativa a Casa Betania, progetto CEC (Comunità Educante con i Carcerati) La prima casa di accoglienza per detenuti in pena alternativa della Comunità Papa Giovanni XXIII è stata aperta nel 2004, sul modello delle APAC (Associazioni di Protezione e Assistenza dei Condannati) ideate in Brasile dal compianto Mario Ottoboni. Oggi le CEC (Comunità educative con i carcerati) sono 7 in Italia e 2 in Camerun, affiliato ufficialmente alle APAC brasiliane dal 2016. Attraverso i percorsi previsti in queste case di accoglienza i detenuti sono impegnati in lavori socialmente utili, ma soprattutto in un lavoro psicologico di rivisitazione del proprio passato, per trovare la forza di perdonare sé stessi e di chiedere finalmente un reale perdono alle vittime dei reati commessi. L'accoglienza è pensata in tre fasi successive che possono avere durata variabile: il primo ingresso, il percorso di recupero, il reinserimento in società. Casa Betania, a Coriano (RN) è una delle strutture CEC, dove si accolgono i detenuti in pena alternativa al carcere ed è anche la prima casa famiglia che don Oreste Benzi aprì nel 1973 per accogliere orfani, senza fissa dimora, chiunque non avesse una famiglia. Dal 2017 Casa Betania è diventata una delle strutture del percorso CEC, accogliendo i detenuti in pena alternativa al carcere.
APG23
25/03/2019
Il 5×1000 sono i loro volti e le loro storie
Giovani e meno giovani, emarginati, disabili, venuti da Paesi lontani, vittime di tratta, caduti nelle dipendenze, usciti dal carcere. Persone che vivono ai margini della società e che, quando bussano alla porta delle Case Famiglia e delle realtà di accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII, non hanno nulla di più di ciò che indossano. E nessuna possibilità, nessun aiuto o contributo per procurarsi dell’altro. Come fare per provvedere a loro è certo una preoccupazione, ma non è un motivo sufficiente per rifiutare accoglienza e sostegno concreto. Dal momento in cui una persona entra a far parte della grande famiglia di Apg23, si fa di tutto per garantirgli tutto il necessario, fino a quando ne avrà bisogno, e la possibilità di realizzare il proprio potenziale. Questo è possibile grazie alla disponibilità di chi, ogni giorno, mette la propria vita al servizio delle persone che soffrono e sono rimaste da sole, e alla generosità degli amici e dei sostenitori della Comunità. Come chi, ad esempio, sceglie di destinare il proprio 5x1000 ad Apg23. Le risorse ricevute dalle dichiarazioni dei redditi si trasformano ogni anno in vestiti, medicine, cibo, educazione, a cui si aggiunge quell’amore che guarisce tutte le ferite e che solo una vera famiglia sa dare. Gli ultimi fondi ricevuti dalle dichiarazioni dei redditi sono stati utilizzati per provvedere ai bisogni di 518 persone che vivono in 42 Case Famiglia e realtà di accoglienza. A partire da oggi vi raccontiamo chi sono! LE RAGAZZE CHE HANNO CONOSCIUTO LA STRADA Non è facile trovare il coraggio di uscire dal giro dello sfruttamento a scopo di prostituzione, ma ci sono ragazze che ce la fanno, grazie all’operato delle Unità di Strada di Apg23. Per loro è prevista l’accoglienza in luoghi pensati per aiutarle a cambiare vita, come la Casa di Pronta Accoglienza Maria Maddalena, nel Riminese. Una delle attività che più amano è il laboratorio di cucito: creano meravigliosi arazzi con materiale di recupero, che raccontano la loro storia e la speranza di un futuro diverso. S., N., A., S. E GLI ALTRI S. è stato abbandonato da piccolo ed è psichiatrico. N. ha problemi familiari e di adattamento. A. è autistico. S. ha un ritardo mentale ed è epilettico. E così via. Sono arrivati uno dopo l’altro, e continuano ad arrivare, in cerca di tutto ma soprattutto di una cosa: l’amore di una mamma e di un papà. È così che la Casa Famiglia Santa Maria dell’Odigitria di Acireale (CT) è diventata tanto numerosa, a furia di aprire la sua porta, che quando a pranzo o a cena si è “al completo” bisogna unire più tavoli, perché non ce n’è uno abbastanza lungo per accomodare tutti. ANTONIO La sua è una storia già sentita: Antonio ha perso il lavoro, poi si è separato dalla moglie ed è finito a vivere per strada. Per anni non ha avuto il coraggio di alzare gli occhi da terra, tanta era la vergogna per la sua condizione. Poi un giorno ha visto una mano tesa davanti a lui, che aspettava la sua: oggi vive nella Casa di Pronta Accoglienza Adulti San Clemente, a Imola (BO), insieme a tanti altri uomini e donne in difficoltà. Ha trovato una famiglia davvero speciale, che lo sta aiutando a ricostruire la dignità perduta.   LA FAMIGLIA HALILOVIC Sono di origine Rom, ma ad un certo punto hanno sentito l’esigenza di fermarsi in un luogo e di costruire una vita stabile per i loro figli. È stato don Oreste Benzi in persona ad accompagnarli al Villaggio della Gioia di Forlì (FC), dove vengono accolti interi nuclei famigliari in difficoltà. Mentre i bambini e i ragazzi vanno a scuola, le mamme frequentano corsi professionali e i papà vengono supportati nel trovare un impiego. Si vive insieme, si condividono i problemi e le scelte quotidiane, fino a quando ciascuno è in grado di camminare sulle proprie gambe.   ELEONORA, AMINA E DIANA Sono tre donne molto diverse tra di loro, per età, storia e provenienza, ma hanno una cosa in comune: ad un certo punto della loro vita si sono ritrovate sole e senza sapere dove andare. Sembrava impossibile trovare un luogo dove imparare a prendersi cura delle loro ferite, dei loro figli, di loro stesse. Invece sono state accolte dalla Casa Famiglia di Pompei: lì stanno ricostruendo la loro vita. Puoi leggere qui la loro storia.   Foto: avvenire.it MADOU È arrivata dalla Sierra Leone a 15 anni ed è stata accolta dalla Casa Famiglia Tonellotto di Cittadella (PD). Grazie alla sua forza d’animo e al sostegno della sua famiglia, non ha mai vissuto la sua disabilità come un limite. Ha studiato, ha imparato ad usare un sintetizzatore vocale che parla attraverso il suo smartphone, ha trovato lavoro. La sua è una storia incredibile, che è stata raccontata anche da Avvenire: la puoi leggere qui. Per ogni Eleonora, Amina o Diana, ce ne sono altri 10, altri 100 che ancora aspettano di essere accolti e sostenuti nelle loro necessità. Ecco perché la Comunità Papa Giovanni XXIII ha bisogno che sempre più persone scelgano di destinarle il loro 5x1000! Io ci metto la mia vita, tu ci metti il tuo 5x1000? Nella tua dichiarazione dei redditi, inserisci il nostro codice fiscale 00310810221 Scopri proprio tutto sul 5x1000 e come fare passaparola su 5x1000.apg23.org    
APG23
13/03/2019
Anniversario Papa Francesco, il grazie di Ramonda
«Santità, La ringraziamo per il suo impegno per la liberazione dei poveri e per l'annuncio di un Vangelo vivo che cerca la conversione di tutte le persone, in particolare dei giovani e di coloro che sono più lontani dalla Fede. Noi della Comunità Papa Giovanni XXIII continueremo nel nostro piccolo a cooperare affinché la Chiesa faccia di Gesù il cuore del mondo». Questo l'augurio di Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, in occasione del sesto anniversario di Pontificato di Papa Francesco.
APG23
13/03/2019
Corpi civili di pace: 8 posti disponibili con Apg23
Venerdì 8 marzo 2019 è stato pubblicato sul sito del Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale il bando dei Corpi Civili di Pace.  L’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ha disponibili 4 posti in Cile nel progetto “Corpo Civile di Pace 2019 – Il Conflitto Mapuche” nel campo di azione del monitoraggio del rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario, e 4 posti in Italia, in provincia di Frosinone, nel progetto “Appennino Fragile” che si occupa di emergenza ambientale, prevenzione e gestione dei conflitti generati da tali emergenze in Italia, in coprogettazione con Cesc Project. La scadenza per l’invio delle candidature è fissata a lunedì 8 aprile 2019. Possono candidarsi tutti i giovani dai 18 ai 28 anni: SCOPRI I PROGETTI E COME PARTECIPARE
APG23
06/03/2019
La Consulta salva la Merlin
«La decisione presa oggi dalla Consulta rafforza la Legge Merlin e conferma la validità del suo obiettivo: la liberazione delle donne da questa forma di schiavitù moderna. Oggi in Italia prostituzione fa rima con schiavitù. Non possiamo continuare a tenere decine di migliaia di vittime per qualche escort di alto borgo». E' quanto dichiara Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Papa Giovanni XXIII, in merito alla sentenza della Corte Costituzionale circa le questioni sulla legge Merlin sollevate dalla Corte d’appello di Bari in merito al processo sulle escort e discusse nell’udienza pubblica del 5 febbraio 2019.   «Rimaniamo in attesa delle motivazioni della sentenza, - continua Ramonda - ma riteniamo che sia necessario potenziare la Legge Merlin, che ha appena compiuto 61 anni, al fine di renderla più efficace per il raggiungimento del suo obiettivo di emancipazione della donna. La nostra posizione rimane quella di adottare il cd modello nordico in cui si prevede la sanzione ai clienti, considerati corresponsabili della riduzione in schiavitù di queste persone»   La Comunità Papa Giovanni XXIII in 30 anni di attività ha liberato dalla strada e accolto oltre 7000 ragazze vittime del racket della prostituzione. Ogni settimana è presente con 28 unità di strada e 120 volontari per incontrare le persone che si prostituiscono e proporre la liberazione immediata. Promuove, insieme ad un cartello di associazioni - tra cui CISL, AGESCI, Azione Cattolica, Forum Famiglie, Rinnovamento dello Spirito - l'iniziativa Questo è il mio Corpo, campagna di liberazione per le vittime della tratta e della prostituzione.   La proposta, ispirata al modello nordico, ha l'obiettivo di ridurre sensibilmente il fenomeno colpendo la domanda e sanzionando i clienti delle persone che si prostituiscono.
APG23
05/03/2019
Legge Merlin salvata dalla Corte Costituzionale
La Legge Merlin compie 61 anni in questo 2019. Il 6 marzo 2019 il dibattito della Corte Costituzionale l'ha resa più che mai attuale, confermandone la validità. Ai giudici era stato di valutare se la Merlin potesse costituire una “violazione del principio della libertà di autodeterminazione della donna”, questione che era stata sollevata nell'ambito del processo per il reclutamento di presunte escort destinate a cene galanti con Silvio Berlusconi. E l'organo giudiziario ha concluso che le questioni sulla legittimità costituzionale della legge non hanno fondamenta: la Merlin resta allora in vigore così com'è. Il dibattito intanto si è aperto; La prostituzione non è un lavoro come un altro, è il parere di Francesco Belletti, direttore del Centro Internazionale Studi Famiglia (Cisf). Ora siamo più forti nella liberazione delle vittime della tratta, gli fa eco Giovanni Paolo Ramonda presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII.
APG23
28/02/2019
Prostituzione: la Papa Giovanni XXIII contro la riapertura delle case
“L'idea di riaprire le case chiuse è fuori dalla storia. Il vero problema che la politica ha il dovere di affrontare sono le decine di migliaia di donne, anche giovanissime, costrette a prostituirsi, rese schiave dalla criminalità organizzata e dai clienti che sfruttano la loro condizione di vulnerabilità”. E' quanto afferma Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Papa Giovanni XXIII, in merito alla dichiarazione del Vice-Premier Salvini sulla riapertura delle case chiuse. “Non basta dire che l'attuale Governo non intende intervenire sul tema. - ha aggiunto Ramonda - Chiediamo ai governanti di adottare le misure necessarie per liberare queste donne. La soluzione non è l'Austria, nei cui night club non vi sono donne austriache ma persone vulnerabili che provengono da paesi poveri. La vera soluzione è il cd modello nordico in cui si prevede la sanzione ai clienti, considerati corresponsabili della riduzione in schiavitù di queste persone. Invitiamo il Ministro Salvini a visitare una delle nostre case famiglia in cui sono accolte le vittime della tratta a causa della prostituzione”. La Comunità Papa Giovanni XXIII in 30 anni di attività ha liberato dalla strada e accolto oltre 7000 ragazze vittime del racket della prostituzione. Ogni settimana è presente con 28 unità di strada e 120 volontari per incontrare le persone che si prostituiscono. Promuove, insieme ad un cartello di associazioni - tra cui CISL, AGESCI, Azione Cattolica, Forum Famiglie, Rinnovamento dello Spirito - l'iniziativa Questo è il mio Corpo, campagna di liberazione per le vittime della tratta e della prostituzione. La proposta, ispirata al modello nordico, ha l'obiettivo di ridurre sensibilmente il fenomeno colpendo la domanda e sanzionando i clienti delle persone che si prostituiscono.
APG23
24/02/2019
«10.000 detenuti in pena alternativa alla detenzione»
«Possiamo arrivare ad ospitare in pena alternativa al carcere fino a 1000 detenuti in 3 anni, nelle case di accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII.  Altri 10mila detenuti possono essere accolti coinvolgendo la rete di associazioni che sono pronte per l’accoglienza qualora ci fosse una retta di almeno 35-40 euro al giorno per ogni detenuto». Una delegazione della Comunità Papa Giovanni XXIII il 20 febbraio 2019 ha portato la proposta al Capo del DAP (Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria), Francesco Basentini. «Un detenuto nell'attuale sistema carcerario costa al portafoglio degli italiani 150 euro al giorno», ha spiegato Giorgio Pieri, responsabile del progetto delle CEC, Comunità Educanti per i Carcerati dell'associazione di Don Benzi, che ha aggiunto: «Quasi 8 persone su 10 uscite dalle carceri tradizionali tornano a commettere reati, il 75%. Per chi esce dalle CEC la recidiva si abbassa invece al 15%: meno di 2 persone su 10 torneranno a delinquere. Le alternative al carcere possono rendere più sicuro il nostro paese».  Intervistato all'uscita dall'incontro con il massimo dirigente dell'amministrazione penitenziaria, Pieri si è mostrato soddisfatto:  «L’interesse dimostrato per la nostra proposta è stato alto.  La questione economica non è di facile soluzione, ma in giornata abbiamo avuto anche l'opportunità di incontrare il direttore della Cassa Ammende, Gherardo Colombo, accompagnato da Sonia Specchi. Il cambiamento richiede percorsi che possono essere lunghi e difficoltosi, ma sono necessari: crediamo davvero che sia possibile passare dalla certezza della pena alla certezza del recupero, siamo convinti che sia questa la vera via alla sicurezza».   Cosa sono le strutture per le misure alternative alla detenzione La prima casa di accoglienza per detenuti in pena alternativa della Comunità Papa Giovanni XXIII è stata aperta nel 2004, sul modello delle APAC (Associazioni di Protezione e Assistenza dei Condannati) ideate in Brasile dal compianto Mario Ottoboni. Oggi le CEC (Comunità educative per i carcerati) sono 7 in Italia e 2 in Camerun, affiliato ufficialmente alle APAC brasiliane dal 2016. Attraverso i percorsi previsti in queste case di accoglienza i detenuti sono impegnati in lavori socialmente utili, ma soprattutto in un lavoro psicologico di rivisitazione del proprio passato, per trovare la forza di perdonare sé stessi e di chiedere finalmente un reale perdono alle vittime dei reati commessi. L'accoglienza è pensata in tre fasi successive che possono avere durata variabile: il primo ingresso, il percorso di recupero, il reinserimento in società.   Un'alternativa per i detenuti di Chieti L'esempio. La casa Santi Pietro e Paolo di Vasto, in provincia di Chieti, è stata inagurata il 15 settembre 2017 a Vasto. Si tratta della 6ª casa del progetto CEC in ordine di età (Comunità Educante per Carcerati, ecco come funziona), aperta in Italia dalla Comunità Papa Giovanni XXIII. «Questa nuova apertura dimostra che l’esecuzione penale al di fuori del carcere non solo è possibile, ma è anche un modo di rendere la pena utile per la sicurezza della società, per la crescita del reo, e rendere giustizia alle vittime. L’intera società è chiamata a farsi carico di chi nella debolezza ha confidato nel male come via per ottenere la felicità. La festa di inaugurazione è anche un momento di riflessione e confronto su alcune proposte concrete per il superamento del carcere» ha detto per l'occasione Giorgio Pieri, coordinatore del progetto CEC. #FOTOGALLERY:cecvasto#   Pene alternative al carcere: la riforma è nata morta Sul tema delle misure alternative alla detenzione si era messo al lavoro, prima di precipitare nel baratro, il governo Gentiloni:  le scuderie romane ad inizio 2018 stavano forgiando in gran silenzio il principale decreto attuativo, previsto dalla riforma 2017, per regolamentare le varie istituzioni di pena alternative al carcere. Ed il 16 marzo è uscito, un po' in sordina, un gemito roco di festeggiamento. Le agenzie con gran foga hanno battuto: "riforma del carcere approvata dal governo", anche se si era trattato sostanzialmente di una gran bugia. Una piccola modifica qua, un ritocco là: ed ecco che la rivoluzione copernicana delle carceri Italiane, che tutta Europa stava aspettando, fu condannata a ritornare alla Camera dei Deputati, poco tempo prima della fine annunciata della legislatura.  La Comunità Papa Giovanni XXIII ha celebrato il lutto con momenti di silenzio e di riflessione di fronte ad alcuni dei più importanti istituti penitenziari in tutta Italia.   #FOTOGALLERY:14marzo2018#   L'appello: ripensiamo una riforma delle carceri Il Presidente di Apg23 Giovanni Paolo Ramonda, così ha preso atto del naufragio della riforma dell'ordinamento carcerario: «Nel 2018 siamo arrivati ad un passo dall'approvazione di quella che era la più importante riforma dell'ordinamento penitenziario degli ultimi 40 anni. Quello stop è arrivato dopo un lavoro che ha coinvolto centinaia di esperti; è stato una grave ingiustizia. Attraverso il recupero del reo nelle strutture per le pene alternative la recidiva può arrivare addirittura al 10%». Anche il comico di Zelig, Paolo Cevoli, aveva preso posizione  (inutilmente) per difendere l'agoniato tentativo di riforma del sistema carcerario.       Detenuti a difesa delle pene alternative alla detenzione Lettera dal carcere di Vicenza «Chiedo a tutti, per quanto possibile, di unirvi a noi, in comunione con i fratelli detenuti e la magistratura, per chiedere l'approvazione della riforma dell'Ordinamento Penitenziario, bloccata, sembrerebbe, per opportunità politiche. La riforma prevede: una grande valorizzazione delle pene alternative; l'eliminazione di leggi che hanno reso nel tempo l'affidamento più difficile; promozione dell'apertura di dimore sociali convenzionate e accreditate per accogliere chi non ha abitazione esterna».   Lettera dal carcere di Forlì «Ci troviamo davanti al carcere per difendere l'approvazione della riforma carceraria, In alcuni carceri è in atto lo sciopero della fame. Chiedo che chi può, si unisca a noi»   Misure alternative: pareri a confronto Durante il seminario "L'uomo non è il suo errore"di fine 2017 Monsignor Bruno Forte, arcivescovo della diocesi Chieti-Vasto, ha condiviso una sua esperienza personale: nei primissimi mesi di sacerdozio era stato con i carcerati in Ruanda, dopo il genocidio. In quell’occasione era stato molto colpito dalle condizioni terrificanti in cui venivano i detenuti, molti dei quali erano innocenti: «la dignità umana era stata cancellata, calpestata», ha raccontato. Per questo motivo mons. Forte si è dichiarato particolarmente sensibile al tema del recupero dei condannati. Citando Papa Benedetto XVI (da uno dei suoi interventi sulla pastorale carceraria) ha ribadito che «In un carcere non sicuro la dignità della persona è a rischio». Ha ripreso poi le parole di Papa Francesco: «Ogni pena deve comunque sempre promuovere la dignità dell'uomo, la pena non può essere una vendetta». Mons. Forte ha auspitato che tutte le comunità parrocchiali aiutino i detenuti e i loro familiari, costituendo anche gruppi di volontari che si rendano presenti nelle carceri del territorio. «C’è poi l'urgenza di operare per il reinserimento dei detenuti», ha concluso. Federica Chiavaroli, allora senatrice e sottosegretario di Stato alla Giustizia, nell'occasione ha sottolineato la necessità a suo parere di modificare il nome “carcere”: «La dicitura esatta — ha detto — dovrebbe essere “misure di comunità” perché si svolgono in comunità, per la comunità, con la comunità. Non si dovrebbe parlare di “alternativa” al carcere, come se quest’ultimo fosse l'intervento da privilegiare, ma il carcere dovrebbe rimanere l'extrema ratio. Recuperando i detenuti, la comunità crea autentica sicurezza sociale; è fondamentale far conoscere il carcere e le misure di comunità, il modello della giustizia minorile deve essere sviluppato, inoltre anche nell'ambito della giustizia per i maggiorenni c’è un cammino da fare insieme per il futuro». Ha citato poi un'esperienza personale vissuta con i detenuti del carcere di Pescara che, dietro sua iniziativa, hanno svolto lavoro socialmente utile pulendo il sentiero per Rigopiano, ove vi fu il terribile incidente all'albergo: «È stata un'esperienza molto bella che ha colpito prima di tutto gli abitanti del territorio».      
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