APG23
01/04/2016
«Siamo arrivati due giorni fa al villaggio de La Esperanza perché gruppi paramilitari si sono accampati a soli 10 minuti da qui. A distanza di pochi mesi dall'emergenza paramilitare già denunciata ad ottobre, ci troviamo di fronte a una situazione di estrema tensione e di pericolo per la presenza dei gruppi armati in mezzo alla popolazione civile», dichiarano i volontari di Operazione Colomba, corpo di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII.
Negli ultimi giorni la presenza dell'auto-proclamato gruppo armato illegale delle Autodefensas Gaitanistas de Colombia (AGC) nei villaggi de La Hoz, Il Porvenir e La Esperanza (regione di Antioquia), ha provocato diversi scontri armati tra le AGC e la guerriglia delle FARC.
I volontari di Operazione Colomba si sono attivati per accompagnare una commissione umanitaria, formata da membri appartenenti alla Comunità di Pace di San Jose de Apartadò, per verificare la situazione e per raccogliere le testimonianze della popolazione civile.
Tra le testimonianze raccolte spicca quella di due giovani contadini picchiati e minacciati di morte dalle AGC. Sul luogo erano visibili i segni dei combattimenti, avvenuti tra le case dei civili e la scuola statale del villaggio, in piena violazione del diritto internazionale. Alcune famiglie hanno abbandonato le proprie case.
Giovedì 31 marzo, le AGC hanno imposto un blocco, di 48 ore, di tutte le attività economiche, accademiche e di trasporto nella regione dell'Urabà per commemorare l'uccisione di un capo paramilitare avvenuta nel 2013. Nei villaggi rurali dove attualmente sono presenti i volontari di Operazione Colomba, è forte la presenza del gruppo armato illegale che ha imposto le proprie disposizioni alla popolazione civile.
«A livello nazionale e internazionale tutti gli occhi sono puntati sugli Accordi di Pace in corso a l'Avana tra il Governo colombiano e le FARC e si comincia a parlare di “post-conflitto” e di un paese “pacificato” e ormai “sicuro” in cui rilanciare gli investimenti stranieri e il turismo; ma noi siamo estremamente preoccupati per il perdurare nel paese di situazioni di conflitto e di violenza come quelle in corso e per il coinvolgimento della popolazione civile colombiana», è il commento di Antonio De Filippis, responsabile di Operazione Colomba.
Operazione Colomba, Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, è presente in Colombia dal 2009 con un progetto di accompagnamento dei civili della Comunità di Pace di San José de Apartadò.
APG23
31/03/2016
Alcune decine di detenuti da tutta Italia si danno appuntamento a Rimini, il 3 aprile 2016, di fronte al Carcere di Via Santa Cristina 19. Il loro obiettivo è quello di percorrere a piedi la ventina di chilometri che li separa dalla Casa Madre del Perdono di Taverna di Monte Colombo. Offriranno a tutti la possibilità di incontrarli per conoscere la loro esperienza: stanno scontando la pena in soluzioni alternative al carcere.
C’è chi lavora come casaro, chi produce miele; tutti sono ospitati dalle Cec, le Comunità Educanti con i carcerati, che la Comunità Papa Giovanni XXIII sta sperimentando come modello per il superamento della detenzione.
Giorgio Pieri è responsabile del progetto Cec: «I ragazzi arriveranno alla casa di accoglienza che il vescovo Mons. Francesco Lambiasi ha voluto riconoscere a dicembre scorso come una delle Porte Sante di Papa Francesco. Qui sono 30 i detenuti inseriti in progetti di recupero alternativo. Si tratta di un modello innovativo che abbiamo presentato nei mesi scorsi al Ministero della Giustizia; saremo presenti il 18 aprile a Roma agli "Stati Generali dell'esecuzione penale" e lo porteremo il 19 aprile a Bruxelles all’evento conclusivo del progetto europeo "Reducing prison population"».
Scarica il volantino
APG23
31/03/2016
184 milioni di euro: a tanto potrebbe arrivare il fondo per l'assistenza alle persone con disabilità grave che si ritrovano prive del sostegno familiare. Il disegno di legge approvato il 3 febbraio alla Camera dei Deputati dovrebbe andare in discussione al Senato entro la primavera. Al centro del palco saranno le regioni, che tramite bandi potranno destinare ingenti denari per la creazione di gruppi appartamento, residenze private, comunità alloggio.
«Ma non case famiglia composte da un papà e una mamma, che volontariamente accolgono i disabili quando i genitori naturali non sono più in grado di occuparsi di loro: le "case famiglia" questa legge non le cita proprio»: Donatella Cremonese, che nella sua casa ospita due disabili gravissimi, è andata a dirlo oggi in Senato.
Il ddl prevede anche meccanismi di tutela dei patrimoni che le famiglie destinano al futuro di figli disabili; agevola la sottoscrizione di polizze previdenziali ed assicurative.
Donatella è coordinatrice del Centro diurno accreditato l'Arcobaleno, gestito dalla cooperativa La Fraternità, in cui vengono svolte attività socio-riabilitative con adulti disabili gravi.
La Comunità Papa Giovanni XXIII, cui questo centro fa capo, è stata invitata oggi in audizione dalla Commissione Lavoro per commentare il disegno di legge.
Un altro punto che le sta molto a cuore è quello della stesura di un «progetto di vita», auspicato dal progetto di legge per le persone accolte. L’eventuale amministratore di sostegno della persona con disabilità dovrebbe - è la proposta - occuparsi di tenerlo aggiornato.
«Ma l’amministratore di sostegno si occupa degli aspetti economici della vita dell’assistito, e non della valorizzazione delle sue capacità residue, delle relazioni, dell’inserimento sociale», commenta Donatella.
La delegazione Apg23 ha espresso apprezzamento per le finalità previste dalla nuova legge, ma ha sottolineato che «le persone con disabilità grave necessitano di interventi continuativi, di un progetto di vita che riconosca in maniera positiva l’esserci del disabile come persona, che non si occupi solo delle sue funzioni vitali, cognitive, sensoriali. La legge potrebbe dare un riconoscimento a chi osserva con attenzione l’accolto, dandogli cura e amore ogni giorno della vita.
Vanno coinvolte anche la scuola, le cooperative, i Centri socio educativi ed occupazionali, i luoghi di incontro».
«Sarebbe importante estendere le garanzie previste anche a persone con disabilità media e lieve; e servirebbe una progressiva presa in carico della persona già durante l'esistenza in vita dei genitori», è l'auspicio della Comunità di Don Benzi.
APG23
23/03/2016
E’ nato nel carcere femminile della Giudecca a Venezia, sordo, 5 anni fa. A maggio compirà 6 anni, e finalmente per lui potranno aprirsi le porte della cella, ed andrà in affido extradomiciliare. La sua colpa? Essere nato figlio di una madre che ha sbagliato, che ha rubato. La mamma ha ancora 18 mesi di galera da scontare.
«Quello è un ottimo carcere, gestito bene, l’unico carcere attenuato per donne del Veneto. Però è sempre un carcere. E noi da 3 anni abbiamo dato disponibilità, rinnovandola ogni 6 mesi, per accogliere quel bimbo e la sua mamma: ben due famiglie della Comunità avevano detto il loro sì. Come farà adesso a reinserirsi nel mondo dopo tutto questo tempo, dopo che a lui è stata rubata l’infanzia?», si chiede Giuseppe Longo, responsabile per la Comunità Papa Giovanni XXIII degli interventi in favore delle mamme e bambini in carcere.
Qualche giorno fa sono stati concessi gli arresti domiciliari ad una madre detenuta a Bologna con due neonati; eppure la legge mantiene nelle carceri italiani 41 mamme con 44 bambini e 10 donne incinte. Per ognuna di loro sarebbe possibile trovare soluzioni sicure, alternative: dal 2002 la Comunità Papa Giovanni XXIII ha messo a disposizione del Ministero della Giustizia tutte le sue case famiglia in Italia, per individuare le soluzioni migliori.
Eppure manca ancora un decreto attuativo che definisca i parametri necessari al riconoscimento delle case famiglia protette, in cui le madri con bambino possano scontare la pena.
«Le case famiglia protette costerebbero molto meno delle carceri attenuate (Icam). E in molte regioni d’Italia gli Icam mancano proprio; i giudici preferiscono tenere mamme e bambini nelle carceri tradizionali, allestendo dei nidi-in-carcere piuttosto di spostare i nuclei familiari altrove», conclude Longo.
#oltrelesbarre
APG23
21/03/2016
L’ufficio dell’APG23 a Ginevra in questo Consiglio dei Diritti Umani (la 31a sessione regolare attualmente in corso e che finirà il 24 marzo) ha voluto difendere i diritti dei bambini e la dignità dell’essere madre prendendo una ferma posizione contro il fenomeno della Maternità Surrogata Commerciale.
Da alcuni mesi in Italia ma anche in altre nazioni europee (soprattutto in Francia) si discute della pratica della Maternità Surrogata - chiamata anche “utero in affitto” -, con un crescente movimento che ne chiede la messa al bando.
Questa pratica, che sembra essere sempre più di “moda” soprattutto nei paesi ricchi, prevede che una coppia (etero o omosessuale) possa rivolgersi a delle cliniche specializzate in cui selezionare un embrione che poi viene impiantato nell’utero di una donna anch’essa selezionata.
La madre surrogata, dietro il pagamento di un compenso e vincolata/subordinata da un contratto, s’impegna a portare a termine la gravidanza per la coppia committente cui poi dovrà consegnare il bimbo o la bimba appena nati rinunciando sin dall’inizio della procedura ad ogni eventuale rapporto / relazione / legame con la creatura che ha portato in grembo per nove mesi e ricevendone in cambio un compenso solo nel caso in cui il bimbo sia sano.
Le recenti discussioni in Europa(1) ed in Italia attorno al disegno di legge “Cirinnà” hanno generato un certo dibattito tra l’opinione pubblica, dando eco anche a posizioni diverse e variegate.
Sulla stampa in particolare il giornale Avvenire ha continuato e continua tutt’oggi a riportare articoli e riflessioni sull’argomento.
Ritenendo che l’argomento dovesse essere affrontato anche al Consiglio dei Diritti Umani, noi dell’APG23 ci siamo fatti promotori di un intervento scritto che ha raccolto l’adesione di altre quattro organizzazioni.
La pratica della Maternità Surrogata Commerciale, proprio per le sue connotazioni commerciali appunto che vedono il bambino scelto, ordinato e consegnato ai committenti come se fosse un pacco, una merce scelta a catalogo e pagata alla consegna una volta verificato che sia esente da “vizzi e difetti”, rappresenta secondo noi una forte minaccia alla dignità dell’essere umano e una palese violazione dei diritti umani, dei diritti dei bambini oggetto del contratto e delle donne, madri surrogate, che vengono così sfruttate nella loro essenza.
Nel difendere quindi la dignità di ogni persona col nostro intervento abbiamo cercato di difendere soprattutto la dignità dei bambini nati da questa pratica; bambini che sono pianificati e gestiti con le stesse modalità con cui si gestirebbe un oggetto e che si vedono negare fin da subito alcuni dei loro diritti fondamentali come il diritto a conoscere della propria madre biologica o il diritto ad instaurare una relazione con la madre gestante che, proprio per il contratto di maternità surrogata, non può neppure allattarli al seno.
E le nostre preoccupazioni sono state ribadite anche con un intervento orale congiunto con altre nove (9) organizzazioni; intervento che è stato letto venerdì 11 marzo nella sala XX del Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra dalla nostra stagista Chiara Cristiani(2). Questo intervento ha chiesto con forza agli Stati di promuovere una risoluzione internazionale contro questa pratica.
Nel dibattito sulla maternità surrogata si parla spesso e giustamente dei diritti violati della donna, ma molto meno dei diritti del bambino sin dal suo concepimento. Abbiamo voluto sollevare più fortemente questo ultimo aspetto.
In gioco secondo noi non è solo lo sfruttamento delle donne – anche se questo già solo basterebbe – ma anche il senso e la dignità profonda di ogni essere vivente, presente e futuro.
(1) paragrafo n. 115 della Risoluzione del Parlamento europeo del 17 dicembre 2015 sulla relazione annuale sui diritti umani e la democrazia nel mondo nel 2014 e sulla politica dell'Unione europea in materia (2015/2229(INI))
(2) intervento n. 59 al minuto 02:13:50
APG23
21/03/2016
«Il servizio mandato in onda ieri sera dalla trasmissione Le Iene su minori ospiti di case famiglia che si prostituiscono alla stazioni Termini di Roma evidenzia ancora una volta quanto sia urgente chiarire cosa si intenda per casa famiglia».
La richiesta è di Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi che «le case famiglia le ha inventate nel 1973 e diffuse ormai in 35 Paesi del mondo».
«Con la chiusura degli istituti assistenziali per minori – prosegue Ramonda – molte strutture si sono auto-attribuite il nome di casa famiglia. Ma spesso sono strutture residenziali con operatori a turno, che nulla hanno a che vedere con la famiglia».
«Nelle vere case famiglia ci sono un papà e una mamma a tempo pieno che garantiscono ai minori accolti un vero clima familiare – conclude Ramonda –. Spesso sono minori con handicap gravissimi o con storie difficili alle spalle, che attraverso l'amore di chi li ha scelti come figli ritrovano serenità e guariscono dalle loro ferite. Chiediamo a Governo e Parlamento di fare chiarezza, introducendo al più presto una normativa che tuteli le vere case famiglia evitando la confusione con strutture come quelle citate nel servizio delle Iene».
APG23
17/03/2016
«Il colloquio molto cordiale di ieri avuto con Francesco Cascini - dice Giorgio Pieri, responsabile del servizio Carcere della Comunità Papa Giovanni XXIII - ha avuto come tema centrale il riconoscimento istituzionale ed amministrativo delle comunità educanti, che ad oggi accolgono oltre 300 detenuti in Italia e che abbassano la recidiva dal 75% delle carceri tradizionali al 10%».
Francesco Cascini, Capo della giustizia minorile e di comunità del Ministero della Giustizia, aveva visitato il 12 gennaio una di queste strutture alternative al carcere in provincia di Rimini; le relazioni tra Comunità Papa Giovanni XXIII e il nuovo Dipartimento di giustizia minorile oggi si intensificano. Pieri propone l’allargamento del modello: «Le misure di alternative al carcere sono vincenti ad esempio con i minorenni. Cascini ha riconosciuto la validità dei percorsi educativi che proponiamo; la collaborazione tra istituzioni e privato sociale può rappresentare allora una valida alternativa all’attuale, oneroso e per certi aspetti fallimentare, sistema carcere».
APG23
16/03/2016
Sono in carcere a 5 e a 18 mesi i due bimbi, insieme con la loro madre che è detenuta in custodia cautelare nel carcere Dozza di Bologna.
«Il bambino più grande manifesta i tipici segnali derivati dal permanere in un luogo assolutamente incompatibile con l’infanzia: forte stato di agitazione, pianto, angoscia e ribellione, pugni picchiati contro la porta della sala colloqui quando veniva chiusa», è la testimonianza che Elisabetta Laganà, garante per i diritti dei detenuti di Bologna, che li ha incontrati, pubblicata oggi in una nota.
«Si tratta di una violenza intollerabile che viene commessa nei confronti di questi bambini, detenuti senza aver commesso reati. La situazione è ancora più inaccettabile in quanto vi sono delle Comunità come la nostra, fin da subito disponibili ad accogliere le madri con i figli in condizioni di sicurezza», dichiara Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, che conferma:
«Siamo disponibili ad accogliere queste madri con i loro figli. Non è possibile allontanarli dalle madri, né ci si può accontentare di soluzioni come quelle delle carceri attenuate, che non sono adeguate ai bisogni dei bambini. Non possiamo nemmeno lontanamente paragonare le possibilità di reinserimento in società che avrebbero questi nuclei familiari affiancando loro un papà e una mamma di casa famiglia, rispetto a quelle che offre un istituto carcerario. Di fatto questi bambini rischiano di essere già condannati alla devianza».
APG23
16/03/2016
Nonostante il ritardo di 3 anni, è ufficiale: anche l'Italia ha il suo Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento. Due i binari su cui muoveranno gli interventi in base alla normativa italiane: il primo di contrasto e repressione del crimine di sfruttamento di esseri umani, affidato alle Forze dell’Ordine e l’altro di prevenzione e protezione delle vittime, affidato ai servizi sociali e del privato sociale accreditato. Come anticipato dal Ministero dell'interno in più convegni regionali e nazionali, si tratterà di creare nel prossimo biennio 2016 – 2018 un coordinamento più efficace multiagenzia e multidisciplinare, attraverso il Meccanismo Nazionale di Referral, sulle diverse forme di tratta e sui diversi target di vittime. Sarà una “Cabina di regia” politico-istituzionale che, analizzati i bisogni, sia in grado di definire nuove modalità di finanziamento degli interventi nel campo della tratta, e una rete funzionale a livello nazionale, regionale e locale.
Quattro sono le parole chiave del nuovo Piano su cui sono centrati gli interventi:
prevenzione
azione penale
protezione
cooperazione.
Le novità principali riguardano la formazione di tutti gli attori impegnati nel campo: sono state infatti realizzate linee guida per l'identificazione delle potenziali vittime sia tra i migranti irregolari sia tra i profughi richiedenti asilo, e procedure operative per la prima assistenza e la presa in carico dei minori.
Riguardo alla prevenzione, «tra le azioni inerenti lo sfruttamento sessuale, è stata anche inserita la realizzazione di ricerche sulla riduzione della domanda (leggi: intervenire sul cliente, ndr) e di progetti di sensibilizzazione per scoraggiarla – ha commentato positivamente a caldo Maurizio Galli, referente nazionale per la tratta dell'Associazione Papa Giovanni XXIII. Adesso sta anche a noi inventare iniziative innovative per scoraggiare i clienti».
Il filo rosso di tutto il Piano che punta sul contrasto del fenomeno e sulla tempistica ottimizzata degli interventi. Resta comunque l'approccio alle vittime centrato sui diritti umani, e quindi sulle potenzialità delle donne di redimersi, per essere soggetti attivi nel proprio progetto di autonomia, e in particolare con attenzione alla tutela dei diritti dei minori.
Per chi occupa nel settore si tratterà però di capire, in un panorama attuale complesso dovuto anche ai continui flussi di profughi, come collaborare concretamente a livello locale. Da una parte ci sono gli operatori del sistema asilo, dall'altra quelli del sistema tratta. Insieme dovranno garantire un reale percorso di integrazione a chi è caduto nella rete dei trafficanti per cercare un futuro migliore in Europa.
APG23
15/03/2016
La settimana scorsa durante la 31° sessione regolare del Consiglio dei Diritti Umani si è svolto il tradizionale dialogo con l’Alto Commissario per i Diritti Umani – il principe giordano Zeid Ra’ad al Hussein.
Durante il dialogo con gli Stati la delegazione italiana è intervenuta nel dibattito (scarica l'intervento) chiedendo con forza un approccio al fenomeno migratorio basato sulla solidarietà e sulla condivisione delle responsabilità e promuovendo – suggerendoli come buona pratica - i canali umanitari “humanitarian corridors” recentemente creati tra l’Italia ed il Libano che hanno già permesso ai profughi siriani di viaggiare in maniera sicura ottenendo, già prima della partenza, un permesso in base all’art. 25 della Visa Code dell’Unione Europea.
Il giorno successivo venerdì 11 marzo sempre nella sala XX del Palazzo dell’ONU di Ginevra è stato presentato dall’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani il report A/HRC/31/35 focalizzato sulla situazione dei migranti in transito, un documento molto preciso che fotografa la situazione dei migranti in transito e le innumerevoli violazioni di diritti umani che subiscono nei paesi di transito e destinazione.
Nel dialogo interattivo che ne è seguito, l’ICMC (International Catholic Migration Commission – NGO specializzata nell’assistenza ai migranti e rifugiati) ha preso la parola proprio per promuovere il modello dei canali umanitari creati tra il Libano e l’Italia come un esempio attuale di soluzione possibile al dramma dei migranti. L’ICMC ha citato direttamente la Comunità Papa Giovanni XXIII che ha collaborato in questa importante iniziativa dei corridori umanitari.
Precisando come occorre rafforzare la protezione delle persone e non i confini o le barriere, l’ICMC ha ribadito come il diritto a richiedere asilo, il principio di non-refoulement ed il divieto di espulsioni collettive sono principi cardine del diritto internazionale e del sistema dei diritti umani, anche a livello europeo.
Considerato poi il fallimento delle attuali politiche migratorie, l’ICMC ha suggerito di valutare nuove soluzioni che partano da un approccio condiviso che veda Stati, Agenzie internazionali e la società civile coinvolte insieme.
Già lo è stato fatto nel passato quando, negli anni ’80 e ’90, un “Comprehensive Plan of Action” aveva permesso a 2,5 milioni di rifugiati della regione Indocina di migrare in modo sicuro e legale.
Lo si può fare anche oggi aprendo canali umanitari così come è stato fatto tra l’Italia ed il Libano con un esempio di concreta scelta migratoria che rispetta la dignità delle persone che migrano e che potrebbe tranquillamente essere replicata anche da altri paese europei.
L’intervento dell’ICMC è stato preparato anche grazie al lavoro di Anna e Beatrice due “Caschi Bianchi” che stanno svolgendo il loro Servizio Civile Internazionale a Ginevra, proprio negli uffici dell’ICMC.
Piu informazioni sulla presenza dell'APG23 a Ginevra in questa pagina
APG23
15/03/2016
Domani a Vicenza il rosario per la pace - cristiani pregano per una stabilizzazione nonviolenta della Libia
Mercoledì 16 marzo alle ore 20,45, la zona Veneto Ovest della Comunità Papa Giovanni XXIII si ritroverà a Vicenza a pregare per la situazione in Libia. Con l'Associazione fondata da Don Oreste Benzi, si ritroveranno alcune associazioni cattoliche della città, e comuni cittadini. Reciteranno il Santo Rosario in Viale Ferrarin, poco distante dalla base statunitense Dal Molin.
Alcuni membri della Papa Giovanni si incontrano qui regolarmente ogni mese, il terzo mercoledì, sin dal gennaio 2009 per pregare per la pace.
- Chiediamo la nostra conversione per costruire con sempre maggior impegno giustizia, legalità, trasparenza, per ridare diritti ai poveri. Ricordiamo le vittime, i morti, i feriti, coloro che sono costretti a scappare dalle guerre. Ricordiamo anche i loro carnefici; i soldati che vengono rovinati dalle azioni militari -, racconta Paolo Fin, fra gli organizzatori.
Ugo Ceron è il Responsabile per la zona Veneto Ovest della Comunità: - Oggi è il momento per i cristiani di intensificare la preghiera e l'impegno per scongiurare un'azione militare in Libia, che sarebbe un ennesimo inutile intervento militare. In realtà è la solita benzina che alimenterà ancor più i conflitti, come insegnano Siria, Iraq, Afghanistan, Somalia. Soluzioni nonviolente e il dialogo sono possibili, come testimoniano i nostri giovani impegnati nelle zone di conflitto. Proprio questa sera (mardedì, ndr) Vicenza ospita Hafez Hureini, coordinatore del Comitato Popolare che in Palestina risponde all'occupazione israeliana creando occasioni di conoscenza ed incontro fra le parti in conflitto. -
APG23
14/03/2016
#oltrelesbarre
Il magistrato Gherardo Colombo ha chiuso il 15 marzo l'evento di presentazione dei risultati del progetto internazionale “Reducing prison population: advanced tools of justice in Europe”. Il progetto, finanziato dal Programma dell’Unione Europea “Criminal Justice” e coordinato dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, ha coinvolto in attività di studio e ricerca organizzazioni provenienti da Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Scozia, Romania, Lettonia.
Sono state oggetto di indagine circa 70 diverse esperienze di alternative al carcere presenti nei paesi coinvolti, portando alla stesura delle «buone pratiche» europee e di un testo unico per la formazione degli operatori. Il 21 maggio 2015 i partner europei del progetto hanno potuto visitare a Rimini le Cec (Comunità educanti con i carcerati) che sono in sperimentazione in diverse regioni italiane da oltre10 anni, con 250 detenuti inseriti in percorsi alternativi. Durante il seminario verranno presentati i risparmi in termini economici che sarebbero possibili per lo stato estendendo il modello Cec.
Lidia De Leonardos, direttore della Casa Circondariale di Bari, ha portato la proposta innovativa di una collaborazione fra pubblico e privato sociale nei percorsi riabilitativi, con la creazione di zone protette ed intermedie di congiunzione fra il carcere e l’esterno.
Gherardo Colombo è stato il coordinatore del tavolo 12 sulle “Misure e sanzioni di comunità", istituito dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando il 19 maggio scorso all'interno degli "Stati generali" del carcere: 18 commissioni erano state formate per indagare i problemi del sistema penitenziario italiano. In questi giorni tutti i contributi vengono presentati al Ministero, che ha promesso di avviare a breve una riforma dell'intero comparto.
Gherardo Colombo spiega: «Le "misure di comunità” dovrebbero essere la prima risposta alla devianza; oggi le chiamiamo “pene alternative” perché la soluzione generale è quella del carcere, ma questo è un rapporto che proponiamo di rovesciare. I lavori del tavolo si sono occupati anche del come diffondere una cultura attraverso la quale tutto questo possa essere accolto dalla cittadinanza».
Giovanni Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII, lancia un appello «Nei prossimi 10 anni lavoriamo per svuotare le carceri, puntando al recupero delle capacità di chi ha sbagliato piuttosto che all’inasprimento delle pene. La certezza del recupero si ha nell'educazione e responsabilizzazione di chi ha commesso il reato. Chiediamo al Ministro Orlando di sostenere le Cec, Comunità educanti con i carcerati»