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APG23
27/01/2017
«La sofferenza non è data dall’handicap ma dalla solitudine»
«La vita, anche quando è debole, è sempre feconda. Non possiamo archiviarla con un'eutanasia di stato». Con queste parole  Luca Russo, papà di casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, ha portato alla Camera dei deputati la sua testimonianza di condivisione di vita con bimbi portatori di handicap e cerebrolesi, raccontata anche dal suo libro “L'eutanasia di Dio”. Luca Russo l'ha presentato al convegno per la celebrazione della 39ª Giornata per la vita “Donne e uomini per la vita. Nel solco di Santa Teresa di Calcutta” , promosso dal Movimento per la vita italiano. «Siamo fortemente contrari alla proposta di legge sul testamento biologico, attualmente all’esame della Camera, in cui si affronta un tema complesso e delicato come quello della vita e della morte in modo superficiale. Non vengono posti limiti alla rinuncia dei trattamenti salva vita, e l'inclusione della nutrizione e dell’idratazione artificiale tra i trattamenti sanitari rende di fatto praticabile l’eutanasia. La proposta in dibattito non prevede, inoltre, la possibilità dell’obiezione di coscienza per il medico», commenta Giovanni Paolo Ramonda, responsabile generale della Comunità Papa Giovanni XXIII. «Queste persone con disabilità gravissima hanno voglia di partecipare, di andare sulle alte vette, di vedere il mare, di incontrare un sorriso. Desiderano avere qualcuno che si giochi la vita con loro.  La sofferenza — conclude Ramonda — non è data dall'handicap  o dalla malattia,  ma dalla solitudine  che si crea a causa di queste condizioni».
APG23
27/01/2017
Gli homeless che accolgono gli sfollati dell’emergenza neve
Un raggio di speranza stravolge le prospettive, in queste giornate in cui tutto nel Centro Italia pare essere troppo: una ventina di sfollati dell’emergenza neve sono stati accolti per qualche giorno dai senza fissa dimora, nella loro Capanna di Betlemme di Chieti. In città il maltempo ha colpito prevalentemente la parte alta (9000 abitazioni si stima siano rimaste senza energia elettrica e riscaldamento per giorni), rendendo inagibili un paio di palazzine.   E’ per questo che gli ospiti della struttura della Comunità Papa Giovanni hanno deciso di rimboccarsi le maniche e di preparare alcuni letti.  Non contenti, si sono adoperati poi per fornire ogni giorno un punto di ristoro, con generi di prima necessità. Bevande calde, ma anche olio, pasta: sono arrivati da Andria e Barletta con due furgoni carichi di aiuti raccolti grazie alle iniziative del volontariato e della gente del posto. Nelle immagini di Tv2000 ecco l’impegno di accolti e... accoglienti.       Il 27 gennaio una delegazione dei senza fissa dimora di Chieti, in tutto 6 persone, ha raggiunto la tensostruttura di Montereale, ad un paio d’ore d’auto da L’Aquila in Abruzzo. Hanno portato coperte, lenzuola, omogeneizzati, saponi e anche una televisione. Circa 200 sono gli ospiti del campo, con 15 bambini.         Luca Fortunato, il responsabile della casa di accoglienza dei senza fissa dimora di Chieti così ha commentato su Facebook questo incontro: «È stata dura trattenere le lacrime nell'ascolto delle loro storie, la paura per il terremoto é ancora grande e viva. É stato importante anche per noi essere lì, abbiamo imparato molto dal loro dolore;  la nostra riflessione nel ritorno a casa è stata quella di fermarci un attimo per ripartire "vivendo, e facendo le cose con qualità". Vogliamo continuare a fermarci, per piangere con chi piange, per poi avere la spinta a fare anche noi qualcosa, anche piccola»!        In onda su Rai Italia, il 31 marzo in tutto il mondo nella trasmissione Community:   NEW YORK - H 16:30 PECHINO - H 14:45 SYDNEY - H 17:45 JOHANNESBURG - H 19:00   Palinsesto:  http://www.raitalia.it/dl/portali/site/custom/guidaprogrammi_raiItalia.html       Podcast: http://www.raitalia.it/dl/PortaliRai/Multimedia/PublishingBlock-8166fb06-39ae-4cad-a63b-cd82c0a0b723.html      
APG23
26/01/2017
Sonia, 16 anni, torturata per mesi
Sonia aveva 16 anni quando ha lasciato la sua terra, la sua famiglia, la scuola. Pensando di trovare una vita migliore al di fuori della Nigeria, sostenere la sua famiglia che non aveva il necessario per vivere e sua sorella negli studi, è stata inglobata nel flusso dei profughi fino alla Libia e qui adescata per essere una delle tante prostitute minorenni ridotte in schiavitù nei bordelli libici. Dopo essere stata violentata e torturata per tre mesi, il suo percorso di tratta è continuato sui barconi verso le coste italiane fino alla destinazione finale: la prostituzione sulle strade di una metropoli italiana. Altri 5 mesi di violenze. Finché ha visto una luce in fondo al tunnel dell'orrore incontrando gli operatori della Comunità Papa Giovanni XXIII. MIGLIAIA DI MINORENNI DESTINATE ALLO SFRUTTAMENTO SESSUALE Secondo i dati 2016 di Save the Children sono tante le adolescenti che come Sonia sognano con ansia una via d'uscita. Soprattutto da Nigeria, Ghana e Costa d'Avorio. «Il numero delle minori e giovani donne nigeriane arrivate in Italia potenzialmente ad alto rischio di sfruttamento - denuncia il Report di Save the Children - è in continuo aumento». Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza Direzione Centrale dell’Immigrazione e delle Polizia delle Frontiere nei primi sei mesi del 2016 aveva infatti registrato 3.529 donne di nazionalità nigeriana sbarcate sulle coste italiane e 814 minori non accompagnati con una significativa presenza di ragazze adolescenti di età compresa tra i 15 e i 17 anni e un aumento del numero di bambine di 13 anni. Secondo il Rapporto dell'Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) sulle vittime di tratta nell’ambito dei flussi migratori nell’anno 2014-2015, «questo dato riflette un trend in aumento che ha visto un incremento del 300% degli arrivi di ragazze nigeriane nel nostro Paese tra il 2014 e il 2015». IN PREGHIERA PER LE VITTIME DI TRATTA L’8 febbraio sarà l'occasione per ricordare ognuna di loro in occasione della ricorrenza di Santa Bakhita, schiava sudanese di 7 anni, venduta ad un commerciante veneziano. Liberata e convertita al cristianesimo, divenne suora canossiana e infine santa. Da tre anni infatti, in questa data, la Chiesa celebra la Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umani promossa da Talitha Kum, la rete internazionale che riunisce tutte le religiose e i religiosi del mondo impegnati contro la tratta, in sinergia con numerose organizzazioni internazionali. Le Nazioni Unite stimano che nel mondo ogni anno siano 1.200.000 i bambini trafficati e sfruttati. Per questo il titolo scelto per la Giornata contro la tratta 2017 è Sono bambini! Non schiavi. FERMIAMO LA DOMANDA PER FERMARE GLI SFRUTTATORI La Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha fatto proprio il dramma della tratta di minori a scopo di sfruttamento sessuale, promuoverà in diverse diocesi d’Italia con i rispettivi vescovi fiaccolate cittadine e veglie di preghiera. Un’occasione per ricordare che occorre fermare la domanda di prestazioni sessuali per fermare il traffico di esseri umani, come emerge dalla Campagna Questo è il mio corpo lanciata nel luglio 2016 presso la Camera dei Deputati e nuovamente promossa lo scorso 19 gennaio a Roma in occasione del convegno Contro la schiavitù della prostituzione.  SAVE THE DATE! Di seguito gli eventi attualmente previsti. 4 febbraio a Piacenza: ore 16 fiaccolata - ore 18 S. Messa con Mons. D'Ambrosio.  6 febbraio a Rimini: ore 21.00 Incontro pubblico su “La visione antropologica della donna e il fenomeno della prostituzione” presso Sala del Giudizio, via Tonini 1. 8 febbraio a Ferrara: ore 20.45 Tavola rotonda e a seguire fiaccolata con l'arcivescovo di Ferrara - Comacchio, Mons. Luigi Negri. 8 febbraio a Verona: ore 20.30 Fiaccolata con il Patriarca di Venezia Francesco Moraglia insieme a Mons. Zenti vescovo di Verona, Mons. Pavanello vescovo di Adria-Rovigo, Mons. Pizziol vescovo di Vicenza.  8 febbraio a Marina di Massa: ore 21 Veglia di preghiera presso la chiesa parrocchiale. 12 febbraio a Torino: ore 17.30 fiaccolata e a seguire concerto Gospel. Sono stati invitati i vescovi del Piemonte. Ulteriori informazioni sul sito www.questoeilmiocorpo.org.
APG23
25/01/2017
65 bambini senza casa
Nei giorni scorsi è stato diffuso il Report mensile di Operazione Colomba, nel quale i volontari presenti sulle colline a sud di Hebron in Palestina hanno denunciato che 133 palestinesi, 65 dei quali bambini, rischiano di rimanere senza casa. Infatti proprio il 25 dicembre scorso, nei villaggi palestinesi di Tabban e al Majaz, all'interno della "Firing Zone 918", sono stati consegnati 20 "stop working orders" e un ordine di demolizione. Oltre a questo, nel mese di dicembre ad At Tuwani molti sono stati gli episodi che hanno reso difficile per i bambini palestinesi andare a scuola. Quando nel 2004 i volontari di Operazione Colomba sono arrivati ad At Tuwani nelle colline a Sud di Hebron la richiesta palestinese era quella di sostenere la loro lotta nonviolenta contro l'occupazione militare israeliana e di aiutare i bambini di Tuba ad arrivare alla scuola. I coloni erano e sono ancora minacciosi e violenti. Dieci anni fa i volontari iniziarono ad accompagnare i bambini a scuola per evitare loro violenza e insulti da parte dei coloni. Vennero aggrediti e feriti ma questo caso fece rumore. Poco dopo la Commissione sui diritti dell'infanzia della Knesset (il Parlamento israeliano) decretò che una scorta dell'esercito israeliano avrebbe scortato i bambini palestinesi in territorio palestinese per difenderli da coloni israeliani che nemmeno per le leggi israeliane potrebbero vivere lì. Dopo l'aggressione è stato vietato ai volontari di accompagnare i bambini e allora osservano dall'alto che le cose si svolgano nel rispetto dei bambini e della legge. Non è sempre così, la scorta non arriva o ritarda, lasciando i bambini al freddo e in pericolo. Nel Report completo puoi leggere altre notizie raccontate direttamente dai volontari che condividono la loro vita con questi bambini. Operazione Colomba ha redatto anche un Report sulle attività svolte nelle varie zone in cui è presente (Colombia, Albania, Libano).
APG23
23/01/2017
Prostituzione: vietato l’acquisto
Lo scorso 19 Gennaio, a Roma, presso la Camera dei Deputati, si è tenuto il seminario “Contro la schiavitù della prostituzione”, promosso da due coraggiose parlamentari che hanno presentato disegni di legge per la proibizione della prostituzione in Italia e che per questo hanno ricevuto numerose derisioni, nonché minacce. Caterina Bini alla Camera, Francesca Puglisi al Senato. Il seminario ha visto la partecipazione di ospiti provenienti da tutto il mondo per condividere le diverse esperienze in materia. Don Aldo Buonaiuto ha portato l'esperienza, unica, della Comunità Papa Giovanni XXIII. Unica perché non si trovano altre esperienze internazionali con il metodo di lavoro ed i numeri della Comunità di don Benzi: 30 unità di strada con cento volontari che ogni settimana propongono alle donne vittime di tratta di uscire dalla strada, settemila donne liberate in 25 anni. Numeri che impressionano gli ospiti internazionali. Gregoire Thery di CAP International ha spiegato la recentissima legge francese, approvata neanche un anno fa. Legge basata sull'idea che la prostituzione è una violazione della dignità della persona ed è una forma di violenza. Legge che all'articolo 20 prevede il divieto di acquisto dell'atto sessuale. Reato che diventa penale in caso di reiterazione. L'ospite francese ha spiegato che la legge francese asserisce che nessuno ha il diritto di sfruttare la precarietà e la vulnerabilità di un'altra persona. Tain Bien-Aimè, statunitense, ha portato l'esperienza  di CATW, un movimento globale per mettere fine alla tratta e allo sfruttamento sessuale. L'ospite nordamericana ha sottolineato che il consenso della vittima non è rilevante ai fini della tratta di persone. Inoltre, ha ricordato che la Convenzione ONU contro la tratta, il cosiddetto Protocollo di Palermo, raccomanda all'art. 9 di colpire la domanda, i clienti. Agnete Strøm, norvegese, ha spiegato la differenza fra la legislazione svedese e quella norvegese. In Svezia la legge è incentrata sull'uguaglianza tra uomini e donne, mentre in Norvegia il criterio principale è quello di ridurre la tratta di esseri umani e ridurre lo sfruttamento sessuale. A distanza di alcuni anni dall'approvazione della legge in Norvegia (2009) si è osservato un cambiamento di atteggiamento nella popolazione maschile. Gli uomini giovani in Norvegia hanno cambiato il loro atteggiamento nei confronti dell'acquisto di sesso di più rispetto agli uomini più anziani. Dunque, la legge ha avuto un effetto normativo sul comportamento delle persone. Molto interessante anche l'intervento di Marie Merklinger, ex prostituta tedesca, che si considera una sopravvissuta ed ora porta avanti la sua battaglia all'interno del movimento SPACE International. Infine, sono stati numerosi gli interventi del mondo femminista italiano. Elvira Reale, dell'UDI di Napoli, ha sottolineato che bisognerebbe estendere alle vittime di prostituzione i diritti delle donne vittima di violenza, sanciti nella Convenzione di Istanbul. SAVE THE DATE: 8 febbraio contro la tratta delle donne _____ INTERVISTA ALL'ON. CATERINA BINI Onorevole Caterina Bini «Professioniste che si autogestiscono? È solo un mito» di Manuela Petrini Sfruttate, vendute, seviziate, abusate ancora prima di essere costrette a prostituirsi. E poi, oltre al danno la beffa: picchiate se non "guadagnano" abbastanza soldi. È quello a cui vanno incontro le oltre 100 mila donne – per la maggior parte straniere, e in molti casi minorenni – obbligate a vendere il loro corpo sui viali a luci rosse delle città italiane. Proprio per mettere fine a questa spirale di violenze e per debellare in maniera definitiva la prostituzione, l'Onorevole Caterina Bini, deputata del PD, lo scorso luglio ha presentato una proposta di legge, di cui è prima firmataria, nella quale chiede che venga modificato l'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958 per introdurre sanzioni per chi si avvale di prestazioni sessuali di soggetti che esercitano la prostituzione. «Questa proposta di legge è nata dall'incontro con la Comunità Papa Giovanni XXIII e dal confronto con i ragazzi dell'Agesci – ha spiegato la Bini –. Sulla prostituzione si va per luoghi comuni, i dati sono una materia oscura, sepolta dalla criminalità organizzata che gestisce a proprio piacimento i corpi delle donne». Quale è il senso di questa iniziativa? «Contrastare la domanda, perché nel momento in cui si riduce la domanda anche l'offerta tende a calare. La legge Merlin punirebbe – uso il condizionale perché è d'obbligo – lo sfruttamento, la prostituzione minorile, l'adescamento e l'induzione alla prostituzione, ma nei fatti non ha funzionato. Per ridurre lo sfruttamento l'unico modo è far sì che non ci sia più domanda, in modo che anche l'offerta vada a calare e gli sfruttatori non trovino più mercato». Qual è l'obiettivo? «Punire il cliente, perché noi consideriamo la donna che è sulla strada una vittima. I dati ci dicono che dove la prostituzione è stata legalizzata, non ha funzionato. Non lo diciamo noi, ma il governo tedesco e il sindaco di Amsterdam, che considerano falliti i loro modelli di legalizzazione, perché lo sfruttamento che doveva essere debellato, nei fatti è ai massimi europei e internazionali. Questo perché gli sfruttatori si spostano dove c'è più domanda. E non è vera l'idea per cui dove ci sono le case chiuse o i quartieri a luci rosse le donne si auto-organizzano in forma di cooperative autogestite. Questo mito per cui sono una sorta di professioniste che gestiscono il loro corpo in autonomia non si è rivelato vero: loro stanno in vetrina, ma dietro di loro ci sono le organizzazioni criminali. Credo che questo tema vada sollevato con forza, non si può più mettere la polvere sotto il tappeto e bisogna assolutamente far sì che in un Paese civile si affronti questa tematica debellando il tema dello sfruttamento, della tratta e della schiavitù». È un argomento legato anche al problema degli enormi flussi migratori. Come è possibile colpire all'origine lo sfruttamento di queste ragazze? «Sicuramente con più controlli, anche perché queste ragazze ci raccontano tutte la stessa storia. Vengono contattate per un lavoro da badante, da colf, da baby sitter, nei fatti si ritrovano in un appartamento picchiate, violentate, messe su una strada e poi finiscono veramente schiave, non hanno più neppure la libertà di dire che sono schiavizzate. Quindi questo ci deve far riflettere. Anche il fatto che la terza industria della criminalità organizzata per fatturato a livello internazionale sia quella della prostituzione, credo che non possa essere più un tema che viene taciuto». C'è un confronto a livello europeo per quanto riguarda la legislazione e gli interventi di polizia? «Sicuramente un confronto è importante. Noi oggi abbiamo a questo convegno rappresentati di altri Paesi europei che ci vengono a spiegare come funziona nei loro Paesi. È una battaglia anche a livello europeo, con la Svezia che è partita per prima, con la Norvegia, e la Francia che da poco ha adottato questo modello. Il Parlamento europeo ha firmato una risoluzione che invita gli Stati membri ad adottare questo modello. Più c'è confronto europeo – sia in termini politici e quindi di sensibilizzazione pubblica, sia di rapporti tra i ministeri e quindi di relazione tra le forze dell'ordine – più questo è un modello che può avere la sua efficacia». Riguardo la legge, c'è stata una grandissima fretta per approvare quella sulle unioni civili, che poi si è dimostrata riguardare una sparuta minoranza. Su questo problema invece, che interessa moltissime persone, la legge è ferma. Lei ha detto che spera venga approvata entro questa legislatura. «Non direi che c'è stata fretta sulle unioni civili, perché se pensiamo a quando è stata proposta per la prima volta, era ministro Rosy Bindi, sono passati vent'anni. Questa legge è stata presentata a giugno, sono passati solo pochi mesi. Contiamo di poterla calendarizzare quanto prima». Ce la farete? «Speriamo, ci lavoriamo con forza e tenacia». (tratta da In Terris) –––– LA CAMPAGNA Nuove adesioni e tanti appuntamenti Continua la battaglia della Comunità Papa Giovanni XXIII per la liberazione di tante donne, tra cui moltissime minorenni, vittime dello sfruttamento sessuale a scopo prostitutivo. Al sito www.questoeilmiocorpo.org potete trovare dati aggiornati, le nuove adesioni arrivate da importanti associazioni nazionali e gli appuntamenti previsti nel mese di febbraio  
APG23
20/01/2017
8 febbraio contro la tratta delle donne
In occasione della Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di esseri umani, che si celebra l'8 febbraio in memoria di Santa Giuseppina Bakhita, schiava sudanese all'età di 7 anni, la Comunità Papa Giovanni XXIII in collaborazione con enti ed associazioni organizza eventi e manifestazioni in diverse città italiane. Le iniziative, dal 4 al 12 febbraio, sosterranno la campagna Questo è il mio corpo per la liberazione delle vittime della tratta e dello sfruttamento. In Italia si stima che siano tra le 75.000 e le 120.000 le vittime della prostituzione. Il 65% è in strada, il 37% è minorenne, tra i 13 e i 17 anni. La campagna, che chiede l'approvazione di una legge per il contrasto della domanda di prostituzione, può essere sostenuta attraverso la firma della petizione online sul sito www.questoeilmiocorpo.org.
APG23
19/01/2017
Nuovo appuntamento per l’Università  del Perdono
Se sei interessato al tema del perdono, inteso come possibile alternativa al risentimento e alla vendetta e sei curioso di riscoprire il suo valore terapeutico l'Università del Perdono di Rimini, ti aspetta. L'idea di questa Università "particolare" è nata nel 2008 da una provocazione/profezia del vescovo di Rimini mons. Francesco Lambiasi in occasione della visita alla Casa Madre del Perdono, una struttura alternativa al carcere dove persone condannate ad una pena detentiva scelgono di fare un percorso personale rieducativo. In questo luogo dove ogni cosa parla del bisogno di perdonare (se stessi e gli altri) Mons. Lambiasi aveva auspicato la nascita di una università dove imparare insieme a farlo. E così dal 2012, primo anno accademico di attività, tante persone hanno partecipato ai nostri laboratori esperienziali su conflitti, perdono, comunicazione nonviolenta ecc. oppure ai tanti appuntamenti "plenari" dove si sono avvicendati illustri relatori come Andrea Canevaro (professore di Pedagogia Speciale presso l'Ateneo di Bologna) e Stefano Zamagni (professore di Economia Politica all'Università di  Bologna) e testimoni credibili ed appassionati del perdono. Persone che hanno scelto di liberarsi dalle fredde catene del risentimento per poter vivere più serenamente, senza trascinarsi dietro macigni che sono di ostacolo al raggiungimento della felicità che tutti desideriamo. Il prossimo incontro dell'Università del Perdono si terrà presso la Colonia Stella Maris di Marebello (RN) domenica 22 gennaio 2017. Tema della giornata: LA GIUSTIZIA imPOSSILE. Come reagire al male che dilaga? Come difendersi dalle logiche di sopraffazione? Come coniugare la giustizia con il perdono? La giornata vuole riflettere sulla possibilità di un cammino di giustizia alternativo alla logica della vendetta. La giustizia vendicativa e dello scarto nelle periferie esistenziali abbruttisce la società, mentre invece la giustizia del perdono e dell’inclusione l’abbellisce. Quali percorsi personali, familiari e comunitari possiamo intraprendere? Le testimonianze e gli interventi del prof. Luciano Eusebi (professore di Diritto penale nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) e del vescovo mons. Francesco Lambiasi ci aiuteranno ad affrontare le sfide storiche di questo tempo che interpellano ognuno di noi. Sebbene questo progetto abbia un respiro diocesano, l'Università del Perdono è aperta a tutti, anche a chi non si riconosce all'interno di un cammino di fede, perché il perdono è un DONO prezioso PER ogni uomo. Clicca qui per scaricare il volantino e il programma dell'incontro all'Università del Perdono.
APG23
16/01/2017
Una casa CON i nonni a Forlì
Rita ha quasi 80 anni, e non ha nipotini. Sentiva forte la loro mancanza, con l’avanzare degli anni in maniera sempre più pressante. Da quando frequenta la “Casa dei nonni Sant’Anna” ha stretto un forte legame con Alessandra, la figlia di uno degli operatori. Tutti i giorni la vede, giocano insieme, si fa raccontare com’è andata la scuola. Per lei è come una nipotina, e le giornate trascorrono più leggere. È questa la caratteristica principale del progetto realizzato a Forlì dalla Comunità Papa Giovanni XXIII e dalla Parrocchia “Santa Maria Ausiliatrice”: un centro diurno in cui gli anziani sono visti come nonni, e sono accolti non solo da operatori e volontari qualificati, ma anche da bambini che passano il tempo con loro, giocando o svolgendo attività di vario genere. Daniela Drei, membro della Comunità e coordinatrice della “Casa dei nonni”, racconta: «I bambini si divertono al centro, si sentono molto coccolati dai nonni, giocano e le battute dei nonni a loro sembrano molto simpatiche... uno dei nostri figli, per esempio, ha creato un bel legame con uno dei nonnini, si cercano a vicenda e spesso lui lo imita indossando il suo berretto e prendendogli il bastone, ultimamente lo accompagna anche quando ha bisogno, e il nonno è felicissimo». L’attuale centro sviluppa quanto la Comunità Papa Giovanni XXIII ha operato in oltre dieci anni di condivisione con le persone anziane del territorio: in collaborazione con il Comune si avviarono azioni di prossimità domiciliare rivolte ai più soli, per prevenirne il decadimento psicofisico; si vennero a conoscere situazioni di grande bisogno, e difficoltà a sostenere le rette per l’inserimento in centri diurni tradizionali. Nacque così l’idea di una “casa di giorno”: Daniela con il marito Nicola e i 3 figli aprirono le porte della famiglia sia all’accoglienza residenziale di una signora malata di Alzheimer, sia alla presenza diurna di una decina degli anziani incontrati. LA NONNINA ACCOLTA OGGI SI MUOVE SOLO IN CARROZZINA, E VIVE ANCORA CON LORO: ogni giorno si reca al centro, che vive in una nuova sede e mantiene il carattere realmente familiare dell’esperienza originaria. Sono circa trenta gli ospiti: «Con loro svolgiamo attività di vario tipo, ma soprattutto – spiega Daniela – curiamo il clima familiare: non solo la presenza dei bambini (cinque stanno qui in maniera regolare) ma anche la possibilità di cucinare insieme, di cantare e giocare, di vivere momenti di preghiera li aiuta a mantenersi attivi e attenti, prevenendo per quanto possibile il decadimento: dedichiamo un’attenzione particolare al rapporto con le loro famiglie, cercando di aiutarle ad affrontare situazioni difficili senza farsi prendere troppo dall'ansia o indirizzandoli verso i servizi del territorio: per noi, il valore più grande è infatti sostenere la possibilità per gli anziani di restare nei loro contesti di vita, insieme alle persone a cui vogliono bene».  
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14/01/2017
La famiglia dei nonni soli
È stato inaugurata sabato 14 gennaio alle 15 a Forlì la “Casa dei nonni”, nata dalla collaborazione fra la Comunità Papa Giovanni XXIII e la Parrocchia Santa Maria Ausiliatrice. «Ci sono persone anziane sole, maggiormente a rischio di decadimento delle proprie capacità, che sono in grande difficoltà nel sostenere le rette per l’inserimento nei centri diurni per anziani. Per questo motivo dieci anni fa io, mio marito e i nostri figli abbiamo aperto le porte della nostra casa ai nonni soli», racconta la coordinatrice Daniela Drei.  Nella sua singolare esperienza, Daniela con la sua famiglia ha coinvolto una decina di anziani nelle attività diurne; ha accolto in maniera residenziale una signora malata di Alzheimer, coinvolgendo nelle proposte ricreative anche i propri figli più piccoli. L'esperienza si allarga ora con nuove possibilità di sviluppo. «Grazie all’interesse della Parrocchia abbiamo potuto trasferire le attività in nuovi locali, già adeguati ed idonei. Circa 25 ogni persone anziane ogni giorno partecipano alle attività proposte dalla rete dei volontari». Il nuovo progetto, reso possibile anche dal contributo della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, è stato inaugurato alla presenza del Vescovo Mons. Lino Pizzi, del Sindaco Davide Drei, del Presidente della Fondazione Roberto Pinza e del Responsabile Generale della Papa Giovanni XXII, Giovanni Paolo Ramonda.   Vedi le foto (in caricamento).
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13/01/2017
Pace: diritto per tutti i popoli
Cinquant’anni fa Papa Paolo VI, rivolgendosi non solo ai cattolici ma «a tutti i popoli», proclamava: «…la Pace è l’unica vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine civile)»(messaggio del 1968 di Paolo VI). Il 1 gennaio 2017 anche Papa Francesco, nel suo discorso per la 50esima giornata mondiale della Pace, ha ribadito questa linea ricordando come «essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza. (…) “L’amore del nemico costituisce il nucleo della ‘rivoluzione cristiana’ (ed) esso non consiste ‘nell’arrendersi al male (…) ma nel rispondere al male con il bene, spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia.» È sotto gli occhi di tutti che il nostro mondo va nella direzione opposta. Negli ultimi anni – per usare ancora le parole di Papa Francesco – stiamo assistendo ad una guerra mondiale a pezzi che non risparmia nessuno. Il mondo e l’umanità tutta ha quindi oggi più che mai un profondo bisogno di Pace. E non solo della pace intesa come assenza di guerre (anche se già questo aiuterebbe molto) ma anche della cultura della pace, della mediazione dei conflitti, della promozione della giustizia sociale come condizione per uno sviluppo pieno e libero e come terreno in cui tutti i diritti umani possono essere pienamente rispettati e valorizzati. Alla fine del 2016 è stato fatto un piccolo passo avanti in questa direzione. Venerdì 18 novembre 2016 a New York alle ore 10.50 (le 16.50 in Italia) durante una riunione del III comitato della 71a sessione dell’Assembla Generale della Nazioni Unite (vai al minuto 00:32:00 del video) è stata approvata la Dichiarazione sul Diritto Umano alla Pace (A/C.3/71/L.29). Il testo (che potete leggere qui tradotto in italiano) era già stato negoziato al Consiglio dei Diritti Umani di Ginevra (A/HRC/RES/32/28 – A/HRC/32/L.18) ed anche a Ginevra era passato con alcuni voti contrari soprattutto dei Paesi occidentali che non riconoscono l’esistenza di un diritto internazionale alla Pace contestando che esista un’unica definizione internazionale del concetto di Pace. Anche a New York non è stato possibile trovare il consenso tra tutti i 193 Stati dell’Assemblea Generale e la votazione chiesta dagli USA nella riunione del III Comitato ha visto 116 Stati votare a favore, 34 Stati esprimersi con voto contrario mentre 19 paesi si sono astenuti (tra questi l’Italia, la Grecia, il Portogallo, la Polonia e la Repubblica di San Marino) e altri 24 paesi erano assenti durante il voto. Nella successiva riunione dell’Assemblea Generale dell’ONU di New York svoltasi lunedì 19 dicembre 2016 (vai a 2 ore 11 minuti del video),la nuova dichiarazione sul Diritto alla Pace (A/RES/71/189) è stata ratificata definitivamente con il voto favorevole di 131 paesi, 34 contrari, 19 astenuti oltre a 9 paesi assenti durante la votazione (qui puoi leggere il testo A/RES/71/189). Il nostro ufficio di Ginevra ha contribuito molto negli ultimi 4 anni ai lavori che hanno portato all’elaborazione di questa dichiarazione ed ha sempre cercato di promuovere un approccio consensuale e di unità tra le varie organizzazioni della società civile. Prima della discussione della dichiarazione all’Assemblea Generale abbiamo inviato insieme ad altre tre organizzazioni (International Democratic Lawyers, Japanese Committee for the Human Right to Peace, United Network of Young Peacebuilders) una lettera aperta agli ambasciatori delle delegazioni degli Stati membri a New York, chiedendo di esprimersi a favore della nuova dichiarazione e ribadendo che lo slancio verso la Pace è fondamento di tutto il sistema delle Nazioni Unite. Questa lettera ha raccolto numerose adesioni all’interno del mondo della società civile ricevendo il sostegno e la co-firma di altre 47 organizzazioni provenienti da tutto il mondo (leggi la lettera aperta co-firmata). Ora, dopo anni di lavoro e negoziati, a livello internazionale abbiamo una nuova solenne dichiarazione sul Diritto alla Pace (A/RES/71/189) che va ad aggiungersi alle precedenti dichiarazioni: A/RES/33/73 del 15.12.1978 “Declaration on the Preparation of Societies for Life in Peace”, A/RES/39/11 del 12.11.1984 “Declaration on the Right of Peoples to Peace” ed alla famosa “Dichiarazione e Programma di Azione per una Cultura della Pace” (A/RES/53/243 del 6.10.1999) dell’UNESCO. Sta a noi, quindi, continuare a “lottare” perché il Diritto Universale alla Pace di ogni individuo e di tutti i popoli, dichiarato a livello internazionale, diventi finalmente una realtà per il mondo intero, facendo «della nonviolenza attiva il nostro stile di Vita» (messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale della Pace 2017) ed impegnandoci alla costruzione della Pace nella nostra vita quotidiana
APG23
12/01/2017
Haiti: 7 anni dopo il terremoto
Con sguardo affrettato Haiti dà l’impressione di un Paese senza speranza, sfruttato e colpito da un numero esagerato di tragedie. A volte anche noi missionari, presi dalla stanchezza e da qualche “giornata no”, ci facciamo coinvolgere da questa immagine rassegnata. Sette anni fa, il 12 gennaio 2010, un tremendo terremoto ha devastato l'isola caraibica e seminato morte. Il passaggio dell’uragano Matthew lo scorso ottobre, ha aggiunto distruzione, malattie e miseria nelle regioni del sud e del nord, con il conseguente numero di morti. «Un albero caduto sulla mia casa ha fratturato il bacino di mio papà – ci racconta Saintenes, nostra amica di quartiere originaria della provincia di Jeremie –. Due miei nipoti di 17 e 19 anni sono morti il mese scorso perché dopo il ciclone hanno preso il colera. Tanti di noi non hanno mezzi per ricostruirsi la casa e vivono ancora nelle scuole, ad oggi ferme. Non c’è cibo, mia mamma dice che mangiano le mandorle delle piante che si sono salvate. Io ho provato a mandare dei sacchi di riso tramite degli amici scesi al sud con un tap tap (sgangherati mezzi di trasporto pubblico) ma al loro arrivo sono stati assaltati. Hanno fatto un grosso taglio sul volto dell’autista e hanno rubato tutto puntando armi verso i miei amici». Poi continua dicendo che la maggioranza degli aiuti si sono fermati alle città. Nel loro paesino hanno solo ricevuto una visita dalla Croce Rossa haitiana. I contadini che prima venivano in capitale per vendere – ci spiega – ora sono qui per cercare di comprare cibo e materiale per ricostruire ma i prezzi sono alle stelle e loro sono ridotti all’osso, con grandi laghi al posto dei campi e con i tetti delle case divelti. Nel racconto di Saintenes si aggiunge qualcosa di mistico quando dice che i politici avrebbero avuto il potere di deviare il ciclone ma non l’hanno fatto. I 30 anni di dittatura Duvalier, basata sull’utilizzo di credenze voudù, hanno lasciato forti conseguenze nella mentalità locale. Anche Saintenes, come tantissimi haitiani, ripone tutto nella preghiera e nelle mani di Papa Bondye (il buon Dio), rafforzata dall’esempio della zia, cristiana e povera, che «con la preghiera ha evitato che una grossa pianta di mango cadesse sulla sua casa e che questa si distruggesse sotto i venti a 220 km/h nonostante la casa fosse di terra e paglia». In effetti, in tutto il villaggio distrutto, è rimasta in piedi solo la casa di fango della zia di Saintenes, accanto a una grande pianta di mango caduta a pochi metri. Con la forza data da questi esempi si ricomincia a seminare, a ricostruire, a vivere. Ma se ci si rimbocca le maniche e si libera il cuore alla relazione allora davanti agli occhi si apre un nuovo sipario e questa terra appare dipinta da nuovi colori: condivisione, tenacia, semplicità e allegria, sono sfumature che si incrociano nelle conversazioni quotidiane e nei gesti tra le persone. Bisogna solo volerlo, lasciare a casa le paure e i pregiudizi nei confronti dell’altro e farsi abbracciare da questo popolo così diverso da noi. «Le contraddizioni e gli aspetti negativi di Haiti sono visibili a tutti – ci confida un uomo del nostro quartiere – quelli positivi invece sono più nascosti». Un “blan” (“bianco”, come veniamo chiamati noi ogni giorno)  che vive in terra haitiana li può cogliere solo se decide di scendere dal suo piedistallo per conoscere la gente, condividendo la quotidianità. Che non è fatta solo di capannoni provvisori per distribuzione di farmaci o di bande armate. È varcando le porte delle case, sedendosi a bordo di una strada con un ragazzo, bevendo alle sei del mattino un “kafè ak pen” assieme a qualche lavoratore di passaggio che si scoprono i volti più interessanti di Haiti, i volti umani. È così che cerchiamo di vivere noi del Fwaye Papa Nou (che significa "Focolare Padre Nostro" ed è il nome della casa di accoglienza della Comunità Papa Giovanni XXIII). Marta Bertolina e Valerio Torricelli, missionari ad Haiti da aprile 2016
APG23
11/01/2017
Nonviolenza: strategia per una politica di pace
“La nonviolenza: stile di una politica per la pace”: è il titolo del messaggio di Papa Francesco in occasione del 50° anniversario della Giornata della Pace, il primo gennaio 2017. È anche il tema della catechesi di Giovanni Paolo Ramonda dell'11 gennaio 2017. Per vedere il video, clicca qui In un mondo disgregato, confuso e violento, dominato da sanguinose guerre e aspri conflitti sociali e culturali, le parole del Pontefice si ergono come un monito per tutti i cristiani e non, che sono chiamati ad abbracciare la nonviolenza come stile di una politica per la pace. «Che siano la carità e la nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali. Quando sanno resistere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace. Dal livello locale e quotidiano fino a quello dell’ordine mondiale, possa la nonviolenza diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica in tutte le sue forme.» Il Papa dunque invita tutti, dai potenti della terra fino alle persone più umili ed invisibili, a un approccio che rifiuti la violenza come soluzione ai problemi, nella consapevolezza storica (la grande guerra, la seconda guerra mondiale, e la guerra di oggi cosiddetta “a pezzi” sono i riferimenti più evidenti) che questa conduca soltanto a situazioni di estrema ed irreversibile sofferenza. Come rispondere al male fisico e morale che imperversa e miete vittime ogni giorno? Francesco invita tutti a porre lo sguardo all'annuncio evangelico e dunque all'esperienza di Gesù Cristo che visse in tempi di violenza ed ebbe l'azzardo di fare una cosa più unica che insolita: amare i propri nemici, rispondere al male con il bene e spezzare così la catena dell'ingiustizia. E non esiste via di mezzo o scorciatoia per seguire Gesù, sottolinea Bergoglio: l'unica strada è quella tracciata 2017 anni fa. «Essere veri discepoli di Gesù oggi significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza. Essa – come ha affermato il mio predecessore Benedetto XVI – “è realistica, perché tiene conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo di più viene da Dio”.» L'orizzonte di bene a cui ci richiama Papa Francesco non è un’utopia, non è un progetto irrealizzabile ma una possibilità concreta. Una possibilità concreta di cui la storia sia passata che recente conserva indelebili tracce. Da Madre Teresa di Calcutta a San Giovanni Paolo II, passando dal Mahatma Ghandi e Martin Luther King Jr, Bergoglio ci invita a a tenere fresche nella nostra memoria le testimonianze di chi ha segnato cambiamenti epocali «mediante una lotta pacifica che fa uso delle sole armi della verità e della giustizia».
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