Tutte le news
APG23
19/11/2018
Un film contro la tratta
«HOW MUCH…» è quanto dicono i clienti italiani quando si rivolgono ad una prostituta nigeriana in strada di notte. «HOW MUCH…» è quanto le ragazze chiedono quando capiscono che hanno sulle spalle un debito enorme. «HOW MUCH…» è la loro sofferenza per raggiungere un sogno trasformato in incubo. Ed è anche il titolo del documentario, presentato a Roma il 16 novembre, a cura del regista Antonio Guadalupi e di padre Francis Rozario della Società missionari africani. Sei giovani vi raccontano le false promesse dei trafficanti, l’obbligo del pagamento del debito sigillato col rito wodoo  e - una volta  giunte in Italia - l’infernale circuito della prostituzione. Nella raccolta delle storie vere di queste giovani donne trafficate da mafie transnazionali e sfruttate dai clienti, inserite in programmi di recupero in comunità del nord, del centro e del sud Italia, ha collaborato anche l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII che dal 1996 ad oggi ha affiancato migliaia di donne protagoniste della propria rinascita e che, con l'inserimento nel mondo del lavoro, contribuiscono al benessere del paese. Lo scopo del documentario è quello di informare le potenziali vittime della tratta e le loro famiglie dei pericoli gravissimi che si corrono durante il viaggio, dall’attraversamento del deserto fino alle coste dell’Europa, e le effettive condizioni di sfruttamento e schiavitù che qui le attendono. Il documentario ha iniziato la sua diffusione a metà novembre nelle scuole e nei gruppi giovanili della Nigeria. Enkolina Shqau, Referente della Comunità Papa Giovanni XXIII a Roma ha partecipato alla prima del docufilm venerdì 16 novembre presso la sede di Spin Time Lab ribadendo l'importanza di prevenire la tratta dalla Nigeria informando nel paese di origine le giovani e le adolescenti perché sappiano che «partono con tante speranza e tanti sogni ma poi arrivano in Italia e trovano l'inferno».   #FOTOGALLERY:docufilm# Il regista di "How much", docufilm contro la prostituzione Antonio Guadalupi da qualche anno si dedica alla produzione e regia di documentari a sfondo sociale. Dal 2015 ha prodotto in collaborazione con la SMA (Società delle Missioni Africane) 15 documentari, realizzati in Africa, dedicati all’attività dei missionari in Africa. REJETES: documentario sulla liberazione di uomini in catene perché affetti da disturbi mentali, ha partecipato a numerosi festival ed è stato premiato come miglior corto dal FESTIVAL SEDICICORTO di Forlì. Dopo la produzione di HOW MUCH, che ha voluto realizzare in inglese coi sottotitoli in italiano anche per la sensibilizzazione in Italia specie tra le giovani migranti più vulnerabili, ora è in partenza alla volta del Centrafrica per le riprese di un documentario sulla discriminazione dei pigmei Bayaka.    How much? #Nigeria #prostituzione pic.twitter.com/Bvhjj4hPAp — Comunità Papa Giov23 (@apg23_org) November 20, 2018   A Roma uno sportello antitratta tra i richiedenti asilo Il docufilm non a caso è stato presentato a Roma, alla presenza dei rappresentanti di Beefree e Slave no more oltre che della Comunità Papa Giovanni XXIII, all'interno di una casa occupata da centinaia di giovani richiedenti asilo provenienti dall'Africa subsahariana, nella quale da diversi mesi associazioni e comunità religiose stanno cercando di costruire percorsi di accompagnamento e integrazione. Tra questi i laboratori di Spin Time Lab che nella sede di Via Statilia davanti a circa 200 persone venerdì scorso, ha voluto parlare proprio di tratta dando la parola a chi si occupa della tutela delle vittime, perché anche a Roma non si rischi di continuare a sfruttare le giovani donne richiedenti asilo nella prostituzione. «Vogliamo rivolgere un appello a tutta la società civile, al mondo politico ed in particolare modo alle associazioni laiche e religiose al fine di dare vita ad uno sportello informativo rivolto a tutte le ragazze migranti vittime della tratta della prostituzione - hanno dichiarato i rappresentanti di Spin  Time Lab - Uno sportello utile per offrire loro informazioni ed indicazioni circa percorsi di riabilitazione messi in campo da  tutte quelle realtà che agiscono in modo attivo nella lotta al contrasto del business della prostituzione, elargendo servizi  adeguati alla ricollocazione delle vittime in percorsi di riabilitazione psicologica e fisica. Il nostro vuole essere un progetto in sinergia, inclusivo e dialogante che abbia le parole d’ordine della sicurezza declinate non in termini di esclusione sociale o chiusura dei porti ma di incolumità e la dignità della persona».
APG23
18/11/2018
Giornata mondiale dei poveri
18 novembre 2018: è la 2ª Giornata mondiale dei poveri, scaturita l’anno scorso dalla sensibilità di Papa Francesco. Come l’ha vissuta la Comunità Papa Giovanni XXIII, da sempre a fianco degli ultimi e degli emarginati? La Comunità di don Benzi ha collaborato con Caritas diocesana, i frati di Santo Spirito, le Clarisse e i volontari della Protezione Civile per organizzare alcuni eventi nella città del sacerdote riminese. A Rimini gli eventi della Giornata mondiale dei poveri (celebrata domenica 18 novembre) hanno preso il via già il venerdì sera, Con una veglia al convento delle Clarisse. Dopo la veglia di preghiera, i giovani sono usciti in strada per incontrare gli “invisibili”: i senza fissa dimora. «Dopo aver visto, non puoi più far finta di non avere visto» diceva spesso don Benzi. Sperimentare sulla propria pelle cosa vuol dire dormire in strada, sul marciapiede, per una notte, sicuramente fa cambiare alcune prospettive. Domenica, dopo la Messa celebrata dal vescovo mons. Francesco Lambiasi alla parrocchia S. Giuseppe al porto, c’è stato un pranzo conviviale: i volontari si sono seduti a mensa con i poveri e i senza dimora, per condividere il pasto. #FOTOGALLERY:poveri2018# Giornata dei poveri 2017: anche Apg23 invitata al pranzo in Vaticano con Papa Francesco «Non amiamo a parole, ma con i fatti»: il messaggio di Papa Francesco per questa 1ª Giornata Mondiale dei Poveri, da lui fortemente voluta, richiama alla coerenza di pensiero e azione. Non è solo un incoraggiamento ad essere fattivi, quanto piuttosto un invito ad impegnarsi in modo costante a fianco dei poveri. Di più: amare con i fatti significa lasciare che l’altro ci cambi nel profondo, fino ad assumere uno stile di vita improntato all’amore fraterno. «Ci sorprende sempre la vicinanza del pensiero di Papa Bergoglio a quello di don Oreste Benzi, il nostro fondatore» ha commentato Giovanni Paolo Ramonda, Presidente dell’Associazione Papa Giovanni XXIII. «Il cuore della nostra vocazione è infatti quello di condividere la vita con chi ha bisogno nella quotidianità, perché nessuno si senta più solo o escluso. Lo stesso don Oreste, che ha dedicato ai poveri la sua intera esistenza, scelse nel 2007 di trascorrere l’ultimo periodo prima della sua morte nella nostra Capanna di Betlemme di Rimini, insieme alle persone senza dimora». Proprio le Capanne di Betlemme di Rimini e di Chieti sono state invitate al pranzo offerto da Papa Francesco domenica 19 novembre, in occasione della prima Giornata Mondiale dei Poveri. Le persone senza fissa dimora accolte dalle due realtà erano tra i 1.500 che hanno vissuto l’emozione unica di essere ospitati nell’Aula Paolo VI in Vaticano. È stato un pranzo dal forte valore simbolico, in cui proprio chi più si trova nel bisogno è stato scelto e chiamato a condividere la tavola con il Papa: la povertà smette di essere causa di esclusione e diventa criterio elettivo. I riflettori erano puntati sul pranzo in Vaticano, ma molte altre iniziative sono state organizzate dalle Diocesi di tutta Italia. Apg23 ha proposto a chiunque volesse sperimentare sulla propria pelle cosa significhi essere povero di vivere una giornata con le persone senza fissa dimora. A Imola, Forlì, Cesena, Catania, Carpi, Ferrara, Genova, Rimini, perfino a Bucarest in Romania, centinaia di persone hanno ascoltato le storie di chi vive per la strada, facendosi carico in qualche modo della miseria e della solitudine che porta con sé, hanno condiviso i pasti alle mense di solidarietà e si sono coricati fianco a fianco nei dormitori o sotto i porticati del centro. Per un giorno si è compiuto un piccolo miracolo: chi è povero è stato messo al centro del mondo, ricevendo ascolto, attenzioni e consolazione, gioendo della reale partecipazione alla propria condizione di sofferenza da parte di chi conduce una vita completamente diversa. È il miracolo della condivisione, direbbe don Oreste, che può e deve ripetersi ogni giorno. DICONO DI NOI "Io senzatetto accanto a Francesco": In Terris ha intervistato Giuseppe, che vive alla Capanna di Betlemme di Rimini ed è stato invitato al pranzo in Vaticano "Una notte di freddo e il sogno di Ion": Francesco Zanotti racconta ad AgenSir l'esperienza con i senza fissa dimora a Cesena Il programma di RAI 2 "Sulla via di Damasco" ha dedicato l'intera puntata di sabato 18 novembre a don Oreste Benzi e alle sue battaglie   Da Cesena a Faenza coi poveri sulle strade (di Emanuela Frisoni) L’invito di papa Francesco è forte e chiaro: «chiamati a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi, abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine». Un pensiero che la Comunità Papa Giovanni XXIII con le sue realtà di accoglienza e realtà di strada da sempre avverte come prioritario del proprio operare certi che come diceva don Oreste: «Il futuro della storia dipende dalla nostra capacità di legare l’amore ai poveri con la giustizia e la dignità». La zona Romagna della Comunità Papa Giovanni XXIII comprendente le province di Forlì-Cesena, Ravenna, a conclusione di questo evento si dice soddisfatta della partecipazione raccolta. Nelle città di Cesena, Forlì, Faenza, sono tante le iniziative che è riuscita a mettere in campo lavorando in sintonia con le diocesi dei rispettivi territori. Iniziative che hanno visto la partecipazione di qualche centinaio di giovani e adulti disposti per una notte a scendere in strada nei luoghi dimenticati delle proprie città. Una giornata da poveri coi poveri. L’occasione per incontrarli e ascoltarli nelle loro storie di umiliazioni. È così che la diocesi di Forlì, sabato18 Novembre è scesa in strada con l’Unità di Strada della Capanna di Betlemme “Massimo Barbiero” della Comunità Papa Giovanni. 130 partecipanti che dopo aver condiviso una cena assieme e ascoltato momenti di testimonianza di ragazzi provenienti dalla strada, e aver vissuto una veglia di preghiera presso San Mercuriale sono scesi a dormire in strada coi senza fissa dimora. Un evento significativo per la città curato dalla Caritas Diocesana insieme alla Pastorale Giovanile, alla Pastorale Migrantes, alla Comunità Missionaria di Villaregia e alla Comunità Papa Giovanni. Nella giornata di domenica han fatto seguito le testimonianze dell’esperienza vissuta da parte dei giovani nelle rispettive parrocchie,  e la messa in duomo presieduta dal vescovo Lino Pizzi. Significative le parole di Sauro Bandi, direttore della Caritas Diocesana: «Questa giornata dei Poveri ha rappresentato l’occasione per riportare al centro dell’attenzione chi è più fragile; motivare ancora di più chi sta già vivendo il dono, la gratuità e il servizio come stile di vita; sensibilizzare istituzioni, corpi intermedi e tutta la società ad una vera lotta alla miseria». A Faenza la Caritas, la Comunità Papa Giovanni XXIII, l’Associazione Farsi prossimo, l’Azione cattolica, Ami, la Pastorale Giovanile, il Seminario, il corpo italiano di Soccorso dell’ordine di Malta in pieno spirito di collaborazione anche con altre realtà operanti in tale ambito hanno imbastito un programma che rispettasse l’aspetto della condivisione su strada ma dedicando anche uno spazio significativo alla riflessione e messa in discussione della nostra quotidianità da “ricchi”. Tutto è iniziato con la festa in Seminario, con la presenza del vescovo Mario Toso; un momento di cena condivisa a cui hanno partecipato circa 150 persone: famiglie, case famiglia, case di accoglienza del nostro territorio, persone in difficoltà e chiunque volesse passare una serata al caldo, mangiando in compagnia e sperimentando una serata di festa condivisa. A seguire l’ascolto di testimonianze di vita vera come quella di un ex senza fissa dimora, di una ragazza che ha fatto il servizio civile volontario, di chi organizza cene solidali e svolge servizio di strada ogni settimana. Parole di vita vera, di esperienze significative per sé e per gli altri. Armati di cartoni, sacchi a pelo e poco altro, il gruppo ha poi dormito sotto le logge di piazza Del popolo assieme ai barboni. Si è trattato di un gruppo vario: giovani, meno giovani, una volontaria di 65 anni, una suora, un prete, un assessore e due ex senza fissa dimora. «Eravamo equipaggiati, è vero -dicono alcuni volontari- ma la sensazione di scomodità, incertezza, precarietà, freddo e di disagio si sono fatte sentire in ogni caso. Provare sulla nostra pelle, anche solo per una notte, tutto ciò che vivono ogni giorno della loro vita e non per scelta, i senza fissa dimora, è stato importante per poter conoscere e comprendere almeno in parte cosa significa vivere in quelle condizioni». Parole confermate anche la mattina seguente nella riflessione finale presso il monastero del'Ara Crucis in cui è emerso da parte dei partecipanti l’importanza che quanto vissuto non venga perduto e in tal senso è stata consegnata a tutti una speciale tessera sanitaria per la "salute dello Spirito" nel quale sono elencate varie proposte di servizio e condivisione per continuare nel quotidiano a stare vicino ai poveri, "passaporto per il Paradiso", per dirla con “Papà” Francesco #FOTOGALLERY:povertafaenza# A Cesena in un clima di collaborazione tra associazioni, Caritas, e le parrocchie della Diocesi, su proposta della Comunità Papa Giovanni, si è scelto anche qui, realmente di scendere in strada, per andare a incontrare i poveri senza fissa dimora. È così che dopo un iniziale momento di preghiera un’ottantina di persone si è poi suddivisa in gruppi che sono andati in cerca di coloro che dormono per strada, sotto i ponti, in case abbandonate, o nel dormitorio della città. Al dormitorio vi è stato un momento di confronto e festa con gli ospiti che spontaneamente hanno scelto di raggiungere il gruppo condividendo assieme un tè caldo e qualche fetta di torta. Significativa la partecipazione di ragazzi migranti alcuni dei quali ospiti di realtà di accoglienza della Papa Giovanni. «Si è sperimentata la gioia dello stare insieme partendo dal comune denominatore dall'essere fratelli in Dio, cattolici e musulmani, ricchi o poveri», così dicono alcuni partecipanti. A metà serata i 3 gruppi si sono incontrati in un luogo abbandonato della città ascoltando la testimonianza di alcuni senza fissa dimora immigrati e un senzatetto ospite del dormitorio nel frattempo aggregatosi al gruppo. Un momento toccante senza dubbio unico per capire e per conoscere meglio cosa c'è dietro al volto di ognuno di loro. Domenica poveri e famiglie in difficoltà sono stati invitati a pranzo dal vescovo. Con l'aiuto di numerosi volontari e scout presso la chiesa S.Agostino circa 300 persone hanno potuto pranzare insieme. È seguito un momento di festa canti e balli trascinato da donne africane. #FOTOGALLERY:povertacesena# Daniele Severi, responsabile per la Papa Giovanni XXIII di questo territorio in un vero e proprio tour de force è riuscito ad essere presente nelle 3 città e si è detto contento per l’importante mobilitazione avvenuta. «Nell’incontro con queste storie difficili storie –dice- ci è venuto in mente don Oreste quando diceva che nessuno ha le mani pulite di fronte ai poveri e che chi tace delle ingiustizie ne diviene complice. Credo che per ognuno di noi questa giornata sia stata l’occasione per rinnovare il nostro impegno di fronte ai poveri rinnovando l’impegno a camminare con loro per realizzare una società che parta dagli ultimi». Il parere comune tra tutti gli organizzatori e i partecipanti a questi eventi, è di gratitudine per l’azione di grande coinvolgimento raccolta, per la comunione vissuta tra tutte le parti coinvolte e l’ urgenza di continuare ad essere presenti nelle “periferie esistenziali” del nostro tempo perché come diceva don Oreste: «dopo che hai visto, non puoi far finta di non vedere».  LE NOSTRE INIZIATIVE: Bucarest (Romania), dal 17 novembre: incontri con i bambini di strada e gli homeless, insieme ai giovani Imola, biblioteca vivente Forlì, 18 e 19 novembre: cena condivisa, festa in strada, veglia di preghiera. Alla domenica testimonianze e celebrazione con il Vescovo Cesena, 18 e 19 novembre: visita serale ai senza fissa dimora in collaborazione con la diocesi; pranzo e fest, celebrazione con il Vescovo Catania, 18 e 19 novembre: veglia di preghiera, pranzo condiviso, in collaborazione con Arcidiocesi di Catania e Ordine Francescano Secolare di Sicilia Roma, 19 novembre: le case di accoglienza per gli homeless di Rimini e di Chieti saranno al pranzo con i poveri di Papa Francesco. Carpi (MO), 19 novembre: presentazione del libro "I poveri nosti maestri" Fossano (Cuneo), 19 novembre: meditazione di zona su "condurre una vita da poveri" Ferrara, 19 novembre: Eucarestia in Cattedrale ore 11.30 per i poveri di Don Benzi, con Mons. Gian Carlo Perego. A seguire: Ferrara, 21 novembre: tavola rotonda Genova, dal 24 al 26 novembre: deserto di meditazione sulla spiritualità del povero. Rimini, 300 homeless al pranzo dei poveri organizzato con la Diocesi e le associazioni della città.
APG23
14/11/2018
Rifugiati dalla Libia: tutti accolti nelle case famiglia della Comunità  Papa Giovanni XXIII
I 51 rifugiati arrivati oggi all'aeroporto di Pratica di Mare saranno tutti accolti nelle case famiglia della Papa Giovanni XXIII, la Comunità fondata da don Oreste Benzi, il sacerdote che per primo aprì una casa famiglia in Italia nel 1973. In un primo momento i rifugiati – per la maggior parte mamme e bambini di nazionalità eritrea, somala e sudanese - saranno ospitati nelle strutture della Comunità in Romagna. Successivamente saranno trasferiti presso alcune tra le 201 case famiglia dell'associazione in Italia, che già accolgono 1.283 persone di tutte le età e provenienze. «Siamo lieti di dare il nostro contributo all'accoglienza di mamme e bambini in fuga dalla Libia. In questo modo sono state protette persone fragili, impedendo loro di fare un pericolosissimo viaggio in mare. Dopo una prima fase, saranno accolte in alcune delle nostre case famiglia dove potranno ricevere il sostegno e l'affetto di una famiglia allargata». Questo il commento di Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII. Il corridoio umanitario è stato gestito dal Governo Italiano con la mediazione e collaborazione della Comunità di don Benzi. «L'immigrazione è una questione complessa - continua Ramonda - I corridoi umanitari rappresentano una delle risposte in quanto permettono a famiglie, non solo a singoli adulti, di fare un viaggio sicuro e legale». La Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, opera da 50 anni al fianco degli ultimi. Oltre alle 201 case famiglia in Italia, gestisce altre 50 case famiglia all’estero. Case famiglia APG23: le tre caratteristiche fondamentali: La casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII si caratterizza per la presenza di un papà ed una mamma. Non operatori instrutture residenziali ma strutture affettive. E' una vera famiglia. Tutti ci vivono 24 ore su 24, 365 giorni all'anno. Non un’occupazione lavorativa ma una scelta di vita. Famiglie che aprono le porte di casa all'accoglienza di chi ha bisogno. C'è posto per tutti: minori, disabili, anziani, italiani o stranieri e chiunque cerchi di ritrovare un posto nella società dopo aver sbagliato. Scarica le foto (in caricamento)
APG23
14/11/2018
Corridoi umanitari: 51 profughi in casa famiglia
È atterrato il 14 novembre 2018 a Roma il corridoio umanitario che ha portato legalmente in Italia 51 profughi in fuga dalle guerre, grazie alla mediazione della Comunità Papa Giovanni XXIII avanzata con il Ministro dell'Interno Matteo Salvini. L'accoglienza di tutti i richiedenti asilo sbarcati sarà a carico della Comunità Papa Giovanni XXIII non appena verrà riconosciuto loro lo status di rifugiati politici, con un iniziale sostegno da parte delle Prefetture. L'associazione di Don Benzi ha messo a disposizione le sue 210 case famiglia in Italia e li accompagnerà fino alla loro piena integrazione (foto di Emanuele Zamboni).   #FOTOGALLERY:ROMA18#   “Persone vulnerabili, che necessitano di protezione internazionale”. Sono arrivati in 51 in Italia grazie a un #corridoioumanitario organizzato dal @Viminale in collaborazione con @UNHCRItalia. I #migranti saranno accolti nelle #casefamiglia @apg23_org. @Framalaguti di #Radio1 👇 pic.twitter.com/GDO8h15n50 — Rai Radio1 (@Radio1Rai) 14 novembre 2018   In questo caso si è trattata di una evacuazione umanitaria richiesta da Unhcr (l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati), analogamente a quanto era successo a dicembre 2018, quando il Ministro Marco Minniti del governo Renzi aveva autorizzato l'arrivo, con un volo militare, di 150 richiedenti asilo. Allora si era fatta carico dell'integrazione la Cei (Conferenza Episcopale Italiana) e ad aspettare i profughi ne era stato presente il Presidente, accanto al ministro, Cardinal Gualtiero Bassetti.   Le dichiarazioni di Ramonda all'arrivo del corridoio umanitario Il Presidente della Comunità Giovanni Paolo Ramonda nell'accogliere i fortunati dell'areoporto militare di Pratica di Mare ha portato un plauso ed un appello alle istituzioni: «La grande scelta operata insieme a questo Governo porti ad una sistematicità dell'accoglienza, che garantisca di non lasciar morire nel mare e nel deserto queste famiglie. Ci sarà una svolta culturale nel paese, in collaborazione con tutte le altre organizzazioni e con il Governo. Dobbiamo stimolare l’Europa perchè si apra all’accoglienza, e perché diventi un’Europa solidale, accogliente, capace di integrare le persone in fuga», ha detto. In effetti 51 persone sono poca cosa rispetto alle centinaia di migliaia di persone che sognano l'Europa ammassate lungo i confini dei paesi del Nord Africa. Lo stesso Ramonda, nell'annunciare la disponibilità all'accoglienza aveva detto: «Siamo lieti di dare il nostro contributo all'accoglienza di mamme e bambini in fuga dalla Libia. In questo modo sono state protette persone fragili, impedendo loro di fare un pericolosissimo viaggio in mare. Dopo una prima fase, saranno accolte in alcune delle nostre case famiglia dove potranno ricevere il sostegno e l'affetto di una famiglia allargata». Dal canto suo il Ministro dell'Interno Salvini ha tuonato rivolgendosi alle decine di giornalisti presenti: «Questa è la stada giusta: i profughi buoni che arriveranno in Italia dovranno usare tutti l'aereo». Un messaggio chiaro che può raccordare elettorato e società civile (Vedi la conferenza stampa integrale registrata da Radio Radicale allo sbarco de corridoio umanitario).       Cosa sono i corridoi umanitari Le recenti evacuazioni umanitarie sono organizzate grazie all'iniziativa del Governo Italiano (Renzi prima e Conte poi) in risposta agli appelli dell'Unhcr, organizzazione presente nei campi profughi allestiti iin molte parti del Nord-Africa. A coniare il termine "corridoi umanitari" è stato però il Protocollo d'intesa sottoscritto per la prima volta il 15 dicembre 2015 fra Comunità di Sant'Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, la Tavola Valdese e il governo italiano. In questo caso alcune realtà no-profit presenti nei campi profughi della Libia e di alcuni paesi africani (fra cui Operazione Colomba, corpo di pace della Comunità Papa Giovanni XXIII) hanno selezionato le persone vulnerabili da portare in Italia. Un secondo protocollo per i corridoi umanitari è stato firmato a novembre 2017. Il terzetto di realtà protagoniste dei corridoi umanitari si è fatto carico delle spese del viaggio e dei costi per l'accoglienza del primo periodo; i costi sul lungo periodo e per l'integrazione invece ricadono sulla società civile. Famiglie, singoli cittadini, enti locali in varie parti d'Italia hanno avviato autotassazioni per l'accoglienza dei richiedenti asilo. Il primo protocollo dei corridoi umanitari prevedeva l'ingresso nell'arco di 2 anni di oltre 1.000 persone; altre 1.000 dovrebbero trovare salvezza grazie al secondo, anche se ancora non sono stati concessi dal Governo Conte tutti i visti richiesti.   Corridoi umanitari dalla Siria Negli ultimi cinque anni i volontari di Operazione Colomba hanno vissuto nel campo profughi di Tel Abbas ai confini con la Siria, in Libano, insieme ai bambini, agli anziani, alle mamme e ai papà che sono riusciti a fuggire dalla guerra che sta distruggendo la Siria. Si tratta di Migliaia di persone che aspettano solo la pace, per ritornare finalmente a casa, ma che oggi sono bloccate tra le tende. Per saperne di più: Corridoio umanitario dalla Siria   Papa Francesco sostiene i corridoi umanitari Italia Oggi ipotizza che lo sbarco dei 51 a Pratica di Mare possa essere in realtà un'operazione del Governo per riavvicinarsi al mondo ecclesiale. In effetti più volte Papa Francesco ha affontato il tema dei corridoi umanitari. «La santità non riguarda solo lo spirito, ma anche i piedi, per andare verso i fratelli, e le mani, per condividere con loro», ha detto alla viglia della Giornata Mondiale del Rifugiato del 20 giugno 2018. Sono parole che invitavano i fedeli non solo ad essere pronti ad accogliere di chi lascia la sua terra “affamato di pane e di giustizia”, ma a fare di più: ad andare incontro, a tendere le mani.   Corridoi umanitari: sostieni l'accoglienza e contribuisci anche tu! Ognuno può fare la sua parte! Per i richiedenti asilo sbarcati in Italia grazie ai corridoi umanitari si apre una speranza: un viaggio verso un luogo sicuro, dove poter vivere dignitosamente. Non a piedi, non per mare, non con mezzi di fortuna, ma con un aereo che atterra là dove ci sono braccia aperte a ricevere famiglie fragili, bisognose di cure mediche, di scuola e di lavoro, di normalità. I Corridoi Umanitari costituiscono un nuovo modello di accoglienza, per portare in salvo quelle famiglie  che non possono rimanere nei campi profughi un minuto di più. Sono persone che verranno guidate e sostenute passo dopo passo nel processo di integrazione. Per far fronte alle necessità quotidiane, per permettere a queste famiglie di integrarsi, ai papà e alle mamme di provvedere da soli ai loro figli, servono 1.500 euro al mese, 50 al giorno, almeno per i primi tempi. Sostieni i corridoi umanitari, serve il tuo aiuto >     #FOTOGALLERY:SIRIANI#   Il progetto per i Corridoi Umanitari dell'Unione Europea Nel 2000 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha proclamato che il 18 dicembre di ogni anno fosse indetta la Giornata Internazionale per i diritti dei migranti. E proprio in questa data, il 18 dicembre 2017, una delegazione della Comunità Papa Giovanni XXIII ha dato inizio ad un tavolo di lavoro per coordinare la gestione di un nuovo progetto “Humanitarian Corridors” finanziato dall’Unione Europea. «È un progetto che porteremo avanti in collaborazione con la Comunità di S. Egidio e con i Salesiani» spiega Giovanni Fortugno, responsabile dell’ambito immigrazione nella Comunità Papa Giovanni XXIII, responsabile del coordinamento sbarchi a Reggio Calabria, nonché responsabile per l’immigrazione per la Caritas diocesana. «Il finanziamento dell’Unione Europea ci permetterà di fare sostegno, accompagnamento e advocacy per 1000 persone». Sono coperte insomma le spese per la mediazione linguistica, il sostegno psicologico ed i tirocini formativi, per i profughi che arrivano da Siria ed Etiopia. Da dove provengono dunque i migranti che potranno beneficiare di questo progetto? «Circa metà arriveranno dal campo profughi dall’Etiopia, in cui vivono 1 milione persone, di cui 44mila sono minori non accompagnati. L’Etiopia in questo momento sta facendo davvero un grosso lavoro. I rifugiati in questo campo provengono da vari Paesi: Sudan, Eritrea, Somalia, Yemen. Purtroppo i migranti fuggono da situazioni politiche drammatiche, dove c’è la dittatura, oppure da persecuzioni per motivi religiosi. In questo campo profughi è già operativa Caritas Internationalis, che insieme a S. Egidio e i Salesiani, si occuperà di selezionare le persone da mandare in Italia. Come Comunità Papa Giovanni XXIII abbiamo dato la disponibilità ad accogliere alcune persone particolarmente bisognose: sono state liberate dall'ONG Gandhi (associazione che opera al confine tra Egitto e Israele per assistere i rifugiati) dopo mesi di torture dove hanno anche subito un espianto di alcuni organi. L’altra metà arriverà dal campo profughi del Libano, che ospita soprattutto siriani scappati dalla guerra. Alcuni di loro sono già arrivati in Italia nel corso del 2017, grazie ai corridoi umanitari che abbiamo fatto in collaborazione con la Comunità di S. Egidio e la Chiesa Valdese». Perché è importante questo progetto? «Perché ci permette di dare una risposta concreta a questo dramma, riprendendo l’indicazione pastorale che Papa Francesco ha dato in occasione del Forum Internazionale “Migrazioni e pace”. Il Papa dice chiaramente che bisogna aprire canali umanitari accessibili e sicuri. E ci ha dato questi 4 verbi come linee guida: accogliere, proteggere, promuovere, integrare. Questa linea pastorale non è solo teorica, ma si sta traducendo in un’azione concreta, grazie alla collaborazione di diversi soggetti ecclesiali: Caritas, CEI, Salesiani, S. Egidio e la Comunità Papa Giovanni XXIII, appunto». In che modo la Comunità Papa Giovanni XXIII sta affrontando l’emergenza profughi? «Nelle azioni che la Comunità Papa Giovanni XXIII ha portato avanti c’è stata una particolare attenzione a minori non accompagnati. Infatti a Reggio Calabria è aperta la Casa dell’Annunziata, una struttura di accoglienza per bambini e ragazzi profughi. Non solo li accogliamo, ma cerchiamo di integrarli nel tessuto sociale, mandandoli a scuola, ecc. Anche a Rimini la Apg23 ha aperto uno SPRAR per minori e ci hanno chiesto di aprire realtà simili anche in altri parti del territorio nazionale».     Per sostenere le accoglienze: Sostieni i corridoi umanitari    
APG23
13/11/2018
La ricerca IUSVE: Oltre la gabbia del disagio
Case famiglia complementari e multiutenza della Comunità Papa Giovanni XXIII: un luogo in cui un uomo e una donna, o uno dei due, scelgono di svolgere la funzione di papà e di mamma in modo stabile e continuativo. Dall’intuizione di don Benzi negli anni '70 si arriva allo studio scientifico di questa affascinante realtà che è stato presentato in questi giorni a Padova. Il coraggio di fronteggiare la fragilità, il lavoro di rete, e una forte spinta valoriale fanno miracoli.   Casa famiglia: «Pupilla dell'occhio della Comunità» A quarant’anni una persona è sufficientemente matura per fare il punto sulla propria vita, per coglierne i punti di forza e di debolezza, e per tracciare le linee di una rinnovata progettualità nella continuità della propria identità. Così in Veneto, ha raggiunto i quarant’anni la presenza di quella che don Oreste Benzi definiva «la pupilla dell’occhio della Comunità”: la casa famiglia. Se è vero infatti che il carisma del prete riminese si è manifestato in diversi campi, trasformandosi in azioni di condivisione e di rimozione delle cause, la casa-famiglia ha un quid particolare che la rende unica nel panorama sociale ma anche all’interno dell’Associazione stessa. Oggi in Veneto le case famiglia – ha affermato il 9 novembre 2018 Ugo Ceron, psicologo, Responsabile veneto dell’Associazione, durante la presentazione della ricerca IUSVE – sono 29, affiancate da altre 16 strutture tra cooperative di lavoro e comunità terapeutiche. Nel 2017 sono state accolte 156 persone; 605 nel decennio tra il 2007 ed il 2017. Per festeggiare degnamente questa importante scadenza è stato organizzato a Padova il convegno “Oltre la gabbia del disagio. Come la casa famiglia multiutenza è una risposta integrata al bisogno di cura e di relazione”. «La casa famiglia è casa ed è famiglia – ha spiegato il filosofo e antropologo Lorenzo Biagi –. Il modello che la caratterizza è quello familiare. Le persone sono accolte da madri, padri, fratelli e attraverso questo legame sperimentano un contesto educativo capacitante, abilitante, che permette di tornare in società con una padronanza di sé, in maniera più autentica». La ricerca IUSVE sulle Case famiglia La Comunità Papa Giovanni XXIII ha approfittato di questa occasione per guardare in profondità commissionando allo IUSVE – l’Università Salesiana di Venezia – una indagine composta di due azioni contestuali e complementari. Una prima azione ha preso in esame i documenti istituzionali dell’Associazione dedicati al “modello di multiutenza complementare”, ricavandone informazioni non solo in merito alla struttura organizzativa delle case famiglia e della stessa Associazione, ma anche e soprattutto sugli impliciti di valore che ne orientano l’attività. Una seconda azione ha invece osservato la realizzazione di alcuni focus group utili ad approfondire con i rappresentanti delle differenti articolazioni interne interessate – referenti delle case famiglia operanti in Veneto e responsabili dei servizi generali a livello nazionale – le percezioni e le rappresentazioni delle prassi attivate, e in particolare il rapporto tra quelle esplicitate nei documenti (in termini formali) e quelle effettivamente agite (quelle di fatto). È emersa una fotografia molto interessante di come la professionalità possa coniugarsi con l’umanità. «L’attività di formazione e di supervisione – ha spiegato il professor Daniele Callini dello Iusve – è molto intensa, capillare, diffusa, ma la vera forza di questa associazione è l’aiuto reciproco. Nessuna casa famiglia è mai da sola. C’è un aiuto solidale continuo, con una presenza discreta e non invasiva. C’è la condivisione su tanti tavoli e questo permette di far circolare».       Casa famiglia: un'esperienza umanizzante «Uscendo dai focus group – ha confidato il Biagi – non eravamo più come siamo entrati. È un contesto umanizzante molto forte, e questo dà il senso del lavoro di rete che le case famiglie fanno sui territori. Danno una risposta al welfare, ma anche una risposta culturale, rispetto al tema della fragilità che non va esclusa, perché fa parte dell’umano». «Tutti i protagonisti – continua Callini – dell’indagine raccontano il loro vissuto non in termini formalistici ma in termini autentici. Raccontano la loro storia, la loro vita, non processi e ruoli. C’è una grande consapevolezza nella dinamica vicinanza/lontananza che è una grande paura del lavoro sociale. Gli intervistati sanno gestire l’archetipo autoritario quando serve, ma al tempo stesso sono capaci di vicinanza calorosa quando è necessario. Questo presuppone la grande capacità di decodificare il bisogno specifico di ogni relazione. Sono davvero specialisti della famiglia!».   Competenza in un clima familiare «Le case famiglia – ha spiegato il Responsabile Generale Giovanni Ramonda – evidenziano l’importanza insostituibile della figura paterna e materna, che è il fondamento di ogni famiglia e di ogni accoglienza». La multiutenza che le caratterizza racconta «la complementarietà che diventa risorsa. C’è il neonato, il giovane, l’anziano, e così la casa famiglia diventa il luogo della responsabilità e dell’apertura. Ognuno quando è amato, quando è accolto, tira fuori il meglio di sé». La consapevolezza della funzione insostituibile, conclude Ramonda, spinge a chiedere «al Veneto, come ad ogni Regione di riconoscere questa tipologia perché risponde con una competenza professionale ma in un clima familiare».
APG23
06/11/2018
Le nostre Case Famiglia hanno una mamma e un papà 
La prima è nata a Coriano, Rimini, nel 1973 per volere di don Oreste Benzi, che la pensò e la chiamò proprio così, Casa Famiglia. Il suo desiderio era quello di dare una famiglia a tutte le persone che non ne hanno una e sono rimaste sole, indipendentemente dall’età, dalla storia e dalla provenienza. Le Case Famiglia, oggi come allora, sono fatte da papà e mamme che aprono la loro casa e il loro cuore a bambini, disabili, persone sole e abbandonate e chiunque necessiti di essere accolto e aiutato, ogni giorno. Nell’anno in cui Apg23 celebra il cinquantesimo dalla sua nascita, ribadisce con chiarezza il profilo di queste realtà, che sono più di 250 in tutto il mondo, di cui 200 solo in Italia. Il punto fermo e imprescindibile è la presenza costante dei genitori – che rappresenta, anche, l'unicità delle Case Famiglia rispetto ad altre realtà di accoglienza. Chi le guarda da fuori vede delle case con la porta sempre aperta; vede vivere insieme bambini e anziani, italiani e stranieri; vede le storie più diverse incontrarsi, armonizzarsi e fluire nella stessa direzione. Vede la cura verso i piccoli, i malati, i disabili, la delicatezza verso chi soffre, la fatica della quotidianità e la gioia dello stare insieme. Chi le vede da fuori, e soprattutto chi le vive da dentro, vede delle vere famiglie. La nuova campagna Casa Famiglia di Apg23, on-air proprio in questi giorni, racconta e mostra la vera essenza di queste realtà così come il film Solo cose belle, che verrà presentato in anteprima il 7 dicembre a Rimini. Sono luoghi “in cui continuano ad accadere cose speciali, finché non diventano normali”. Luoghi che Apg23 ha bisogno di sostenere, perché le Case Famiglia che già esistono continuino ad essere rifugio, e perché ne possano nascere di nuove, ovunque ci sia qualcuno che ha bisogno di una famiglia. Scopri come sostenere le Case Famiglia di Apg23 vai su casafamiglia.apg23.org
APG23
01/11/2018
Oltre la gabbia del disagio: l’evento veneto
Cosa caratterizza un’esperienza di volontariato nelle case famiglia del Veneto targate Apg23? Si tratta di una risposta di tipo familiare, in cui il bambino vive con fratelli più grandi e, perché no, anche adulti, nonni. Un luogo in cui crescere tra gli affetti e superare le proprie difficoltà nella complementarietà dei rapporti dettati dalla coesistenza di varie tipologie di persone. È il modello “Casa famiglia” della Comunità Papa Giovanni XXIII, che in Italia e all’estero ne ha avviate 248. Il Veneto è una delle regioni italiane in cui questa realtà di accoglienza si maggiormente si è diffusa: la prima nacque 40 anni fa e oggi ce ne sono 32. Una tappa importante, questo quarantennale, per riflettere e far riflettere su ciò che caratterizza la Casa famiglia multiutenza, mettendo nero su bianco la sua valenza terapeutica. Per iscriversi all'evento sulle case famiglia in Veneto: casafamiglia.apg23.org/cf_veneto/#iscriviti Segreteria organizzativa: 347.2628969 oltrelagabbiadeldisagio@apg23.org   A questo proposito la Comunità Papa Giovanni XXIII ha affidato una ricerca all’Università IUSVE di Venezia «perché potesse descrivere il nostro lavoro nelle case famiglia rispetto a paradigmi di scientificità – spiega Silvia Colledan, referente della ricerca per la Papa Giovanni – collocandoci con la nostra specificità nelle reti in cui siamo inseriti.»   Il convegno I risultati della ricerca verranno presentati a Padova il 9 novembre al Convegno “Oltre la gabbia del disagio”. Dai focus group ai quali si sono sottoposte le figure educative, precisa Colledan, si è cercato di far emergere i punti di forza e le possibili fragilità di una modalità di accoglienza che prevede l’integrazione di persone diverse e la presenza stabile, 24 su 24, di figure genitoriali. Il convegno rappresenta, dunque, un’opportunità formativa per chi opera in campo sociale e sanitario. «In una società frammentata e specializzata – spiega Lucia Tonelotto, coordinatrice dell’evento – offre la possibilità approfondire come l'integrazione tra le parti avvenga con l'unione delle differenze.» A sviscerare il tema saranno il prof. Lorenzo Biagi, la prof.sa Anna Maria Bertoni, la prof.sa Maria Rita Parsi. Ai partecipanti verrà fatta vivere, attraverso l’esperienza del silent play, «la sensazione dell’essere accolto in una casa famiglia e percepire come si abita con l'altro se si riconosce se stesso», spiegano le organizzatrici. Dalle emozioni ci si sposterà quindi sul versante politico con la tavola rotonda conclusiva, a cui è prevista la partecipazione (in attesa di conferma) del Ministro per la Famiglia e la Disabilità Lorenzo Fontana. Si tenterà di far chiarezza sulla valenza sanitaria e non solo sociale della casa famiglia. Un doppio binario che non sembra in linea con l’orientamento riorganizzativo dei servizi della Regione Veneto, che vede lo spostamento di persone con disabilità o problemi di salute mentale in strutture sanitarie al compimento dei 18 anni, troncando relazioni educative ed affettive. Una questione di estrema attualità che mette a rischio il futuro di alcuni soggetti accolti nelle case famiglia. Programma: casafamiglia.apg23.org/cf_veneto/ Per iscriversi: casafamiglia.apg23.org/cf_veneto/#iscriviti Facebook: Oltre la gabbia del disagio Segreteria organizzativa: 347.2628969 oltrelagabbiadeldisagio@apg23.org   Festa del volontariato Apg23 a Vicenza   Oltre 500 persone hanno partecipato alla FESTA DELLA CONDIVISIONE svoltasi a Vicenza il 6 ottobre.  Il primo dei 3 appuntamenti per i volontari da tutto il Veneto è stata un’occasione per conoscere maggiormente le proposte di volontariato della Comunità Papa Giovanni XXIII, tra mostre, stand espositivi, spazio bimbi, testimonianze ed esperienze offerte da chi è impegnato in prima linea nella costruzione di un mondo più giusto. Il tutto condito da buona musica e punti ristoro.   Il Veneto ricorda Don Benzi, prete straordinario nell'ordinarietà Il vescovo di Vicenza Beniamino Pizziol, durante la Messa del 6 ottobre presso l'Istituto San Gaetano di Vicenza, ha espresso così il suo apprezzamento per l'opera di don Benzi: «Don Oreste era un prete ordinario, ma straordinario perché partiva dall'ordinarietà, dalla concretezza di una situazione e vi collocava dentro il lievito evangelico, che faceva fermentava tutta la pasta. Don Oreste ha realizzato pienamente il vangelo di Cristo, secondo il suo stile, secondo la sua personalità, secondo la sua vocazione e voi siete la continuazione di tutto quello che il Signore ha fatto in lui e attraverso di lui».  Oltre a festeggiare i 50 anni della Comunità Papa Giovanni XXIII, ricorreva anche il 40° anniversario delle prime case famiglia in Veneto: «Noi abbiamo avuto il privilegio» continua il vescovo Pizziol «di vedere l'avvio della prima casa famiglia qui a Vicenza a dicembre del 1977. Ora ce ne sono numerose e io le ho visitate quasi tutte. Le case famiglia sono l’intuizione profetica di don Oreste. Dentro ogni famiglia e ogni casa famiglia c’è la benedizione di Dio, del Padre. C’è la figura materna e paterna, poi ci sono altre figure importanti: fratelli, sorelle, zii, nonni, nonne e chi arriva da fuori (come è capitato a me quando sono andato in Casa Famiglia a Bassano) si sente come uno di casa». Ugo Ceron, responsabile della zona Veneto Ovest, in occasione della festa del 6 ottobre, dice: «Ripercorrendo il cammino di questi 50 anni, ciò che mi colpisce è l’iniziativa di Dio: spesso l’inizio di nuove avventure sono state caratterizzate da insuccessi o passi falsi, ma sono poi cresciute. Di questo siamo grati al Signore che ci chiama ad una responsabilità sociale rinnovata: promuovere una nuova società, quella che il nostro fondatore, don Oreste Benzi, ha chiamato come la società del gratuito, una società cioè dove ciascuno investe se stesso, i propri doni e le proprie capacità, non per il profitto personale o il prestigio sociale, ma per la promozione di un popolo in cui viene riconosciuta la dignità di ciascuno». #FOTOGALLERY:eventoVI#   Prossimo appuntamento per i volontari a Padova   Nel 2018 i figli spirituali di Don Benzi celebrano i quarant’anni dall’apertura della prima casa famiglia del Veneto, avvenuta nel 1978: con eventi a Vicenza, Verona e Padova raccontano al territorio le esperienza che ancora oggi si ripetono: quella dei campi di condivisione con i disabili, dell’incontro e dell’accoglienza in casa propria delle persone più emarginate dalla società. La prima casa famiglia del Veneto nasceva 40 anni fa, modello di accoglienza oggi diffuso in tutta la regione. Se ne parlerà a Padova il 9 novembre nel convegno Oltre la “gabbia” del disagio. Come la casa famiglia multiutenza è una risposta integrata al bisogno di cura e relazione.  Segreteria organizzativa: 347.2628969 oltrelagabbiadeldisagio@apg23.org   #FOTOGALLERY:EVENTI#     La storia: 40 anni di volontariato, da Vicenza a Verona, e poi Padova Venezia e Rovigo   Schiacciamento del midollo tra la V e VI vertebra cervicale: paralizzato per sempre. La vita in un istante, per un banale incidente, si trasforma. Comincia così la storia di volontariato nel Veneto della Comunità Papa Giovanni XXIII, quando un giovane vicentino Mario Catagini, a 24 anni, viene investito dalla propria auto parcheggiata senza freno a mano. È il 1965, ancora non si è mai affacciata sul mondo l'invenzione delle case famiglia: la prima verrà inaugurata da Don Oreste Benzi a Coriano in provincia di Rimini solamente nel 1973. Ma il dolore dentro a quel giovane disabile di Altavilla (VI)  inizia già a lavorare. E così la sua ricerca lo porta, attraverso fili invisibili, ad incrociare l’esperienza della Comunità Papa Giovanni XXIII, e ad incontrare una prima realtà stravolgente. Mario conosce un giovane operaio, Arcisio Peretto e la moglie Teresa: nel 1978, dopo due anni dal matrimonio, la coppia ha deciso di sperimentare a Vicenza l’idea rivoluzionaria dell'accoglienza nella propria casa: è la prima casa famiglia del Veneto. Nel 1979 Mario li affianca, e decide di condividere la vita con altri disabili in una casa tutta sua. Nel 1981 apre la seconda casa famiglia, e da disabile diventa il primo responsabile della zona Vicenza dell’Associazione di Don Benzi.    Come fare recuperare dignità sociale alle persone con disabilità? Pochi anni dopo, nel 1981, Arcisio Peretto si cimenta nel tentativo di dare un lavoro alle persone accolte nelle due case, e nasce una prima esperienza di inserimento lavorativo: a Dueville (VI) nasce la Cooperativa L’Eco Papa Giovanni XXIII ed è il 1983. Nell’85 Mario propone a Paolo ed Anna, una coppia del padovano tornata da qualche anno da un’esperienza missionaria in India, l’accoglienza di Paolo, un ragazzo disabile; nell’87 sono già 5 le case famiglia nel Veneto.   Ma Paolo ed Anna hanno la missione nel cuore, e così nel 1990 partono per il Brasile, e poi per il Cile, e diventano la prima famiglia missionaria della comunità. Fra i frutti di tanto seminare, nel 1992 il veronese Mario Marini si trasferisce in provincia di Udine ed apre la prima casa famiglia del Friuli. Paolo ed Anna, al rientro dalla missione (responsabile della zona è diventato Roberto Vittori) trovano 22 case famiglia distribuite fra le province di Verona e Vicenza; nel 1998 decidono di aprirne una a Cittadella (Padova). In quegli anni i volontari stanno percorrendo le strade delle tre province per incontrare le donne costrette alla prostituzione; nel 2000 una giovane Deborah Grandis apre nel vicentino una casa anche per loro. A macchia di leopardo i volontari raggiungeranno poi anche la provincia di Treviso.   Oggi nel Veneto Arrivando ad oggi, sono 43 le case famiglia o di accoglienza in Veneto: sono 87 i minori accolti e 144 gli adulti, 81 le famiglie affidatarie che si sono costituite attorno alla realtà della Comunità Papa Giovanni XXIII anche in provincia di Venezia, e 92 persone con disabilità sono state inserite nelle 4 cooperative sociali, che contano altri 90 persone fra soci e dipendenti. Circa 200 persone disabili partecipano alle vacanze estive con noi. Sono 5 le unità di strada dei volontari che incontrano con continuità homeless e donne costrette alla prostituzione.
APG23
31/10/2018
Sopravvivere alla tratta è possibile?
Dove lavora chi si è salvato? E come contrastare lo sfruttamento del corpo femminile? L'empowerment delle donne sopravvissute alla tratta è possibile nel 2018? Chi è riuscito a sfuggire alle mani di reti criminali transnazionali che ne traevano guadagni, usandone e vendendone i corpi, che esperienze di inclusione vive nelle nostre città? Per la prima volta all’Università di Bologna, in collaborazione con il Dipartimento di Sociologia e Diritto dell'Economia e il Festival della migrazione che in terra emiliana annualmente dà voce ai migranti presenza attiva e spesso integrata delle nostre città, la Comunità Papa Giovanni XXIII ha messo al centro il tema dell'integrazione e del lavoro attraverso il Seminario dal titolo emblematico "Sopravvivere alla tratta". Significativo l'intervento di apertura del prof. Gabriele Manella del Dipartimento di Sociologia e Diritto dell'Economia, alla presenza di circa 150 persone tra cui assistenti sociali, forze dell'ordine, operatori del settore, studenti universitari, che ha chiarito il significato di tratta di esseri umani secondo il Protocollo di Palermo e ha sottolineato, rifacendosi alle Nazioni Unite, che c’è sempre sfruttamento quando ad essere ingannate, trafficate, usate sono donne e minori che si trovano in condizioni di vulnerabilità perché provengono da aree della terra in cui versano povertà, abusi sull'infanzia, violenza domestica, disgregazione familiare, emarginazione e mancanza di istruzione. Ingannate spessissimo con la promessa di un lavoro. E tra le vittime di tratta il numero prevalente è quello di donne e minori sfruttate sessualmente (68%). Provenienti prevalentemente da Nigeria (50%), Romania (40%) e anche da Bulgaria, Ungheria, Albania. Di recente anche giovani trafficate dal Venezuela, oppresso dal regime repressivo. Tra i presenti anche l’on. Fabiana Dadone che nella passata legislatura è stata presidente del Comitato sul traffico di esseri umani all’interno delle Commissione d’inchiesta sulle mafie. Quali sono i traumi che vivono le donne prostituite? I traumi li subiscono nel Paese di origine quando sono adescate, durante il viaggio, nelle due principali rotte che sono quella libica - o che comunque attraversa l'Africa subsahariana - e quella balcanica, e all'arrivo in Italia nella prostituzione in strada o anche negli appartamenti. «Ci sono in loro cicatrici psichiche - ha precisato Martina Taricco, psicologa del Servizio Antitratta della Comunità Papa Giovanni XXIII che segue i percorsi di psicoterapia di alcune vittime del Progetto L'anello debole del Piemonte - e difficoltà affettive e relazionali e questo disagio è proiettato sullo sfondo di dinamiche storico-sociali e familiari. La violenza da cui provengono queste vittime di tratta, unita al contesto socio-culturale ed economico di cui sono intrise per nascita, produce una sofferenza difficile da manovrare, gestire, interpretare. Sofferenza che si esplica su differenti registri. Economici: il mio corpo è proprietà di chi? Io sono proprietà di chi? Magico-religiosi: umano/altro; visibile/invisibile. Psicologici-morali: attribuzione di colpa per la situazione vissuta». E ancora di più ognuna di loro, dopo aver subìto molteplici stupri ha una caratteristica: «Perdere il senso di sé, è la cosa più semplice che esista al mondo per una prostituta», come scrive Rachel Moran, nel suo libro “Stupro a pagamento”. Allora è possibile il riscatto? Una volta accolte in programmi di recupero e assistenza, è possibile sopravvivere? #FOTOGALLERY:seminarioBO# Dove lavorano le sopravvissute alla tratta per prostituzione? Da un'indagine condotta dalla Comunità di don Benzi in tutta Italia su un campione di 60 "sopravvissute", assistite nelle Case di fuga e nelle Case famiglia, emerge che nel periodo compreso tra il 2012 e il 2018 è avvenuto un cambiamento nella progettazione individuale: dalle professioni non qualificate (badanti, operaie agricole e addette alle pulizie) a professioni qualificate molto variegate, valorizzando anche le eccellenze nei territori con un aumento delle opportunità di formazione e della professionalizzazione. E anche una maggiore creatività negli inserimenti lavorativi: dai tirocini brevi dei progetti ministeriali a nuove forme di apprendistato, contratti a termine in affiancamento, con possibilità di corsi d’aggiornamento in itinere. Vanno dunque per la maggiore le professioni del settore secondario (industria alimentare, manifatturiera, cartaria, tessile, produzione calzature, borse in pelle, miele) e del settore terziario (settore commerciale - addette alle vendite e settore turistico – ristorazione e settore assistenziale – OSS, scienze dell’educazione, scienze infermieristiche). Dove? Soprattutto in Piemonte, Lombardia e Emilia. Liliana Ocmin del Coordinamento Donne della Cisl è intervenuta facendo emergere l'urgenza di nuovi percorsi operativi per l'inclusione sociale delle donne vittime di violenza sia all'interno del Tavolo tecnico contro la violenza di genere sia all'interno del Tavolo contro la tratta, anche promuovendo col Ministero del Lavoro incentivi non solo alle cooperative ma a qualunque impresa inserisca chi è stato vittima di violenza e sfruttamento sessuale. E inoltre è tempo di agire sulla radice del fenomeno della tratta delle donne ovvero i clienti che mettono a rischio anche la salute e la vita di tanti minori. «Occorre spezzare le catene di questo malaffare, nella consapevolezza che colpire la domanda di prostituzione vuol dire colpire al cuore lo sfruttamento sessuale e la tratta delle donne». Anche 3 cooperative, l’emiliana CADIAI, la toscana Il Pungiglione e la cooperativa veneta QUID hanno voluto dare voce alle sopravvissute che in questi anni hanno potuto assumere consapevolmente cercando di ridare dignità alle loro vita attraverso il lavoro inteso come opportunità di realizzazione di sé e per il benessere e la crescita del nostro Paese.   Quando per combattere la #prostituzione si propone un lavoro alternativo alle donne vittime di tratta: ecco cosa succede @Progettoquid @CasinaPioIV @nonservos https://t.co/b53DmsMbgl — Comunità Papa Giov23 (@apg23_org) 25 ottobre 2018 Come contrastare lo sfruttamento del corpo femminile? Gli strumenti di contrasto alla tratta e alle mafie transnazionali sono stati elencati dal Commissario Capo, Giovanni Maestrale, della Questura di Bologna. Tra le modalità di indagine per provare il reato di sfruttamento della prostituzione o addirittura di riduzione in schiavitù, «oggi gli strumenti più efficaci di prova del fatto criminoso sono costituite dalle intercettazioni, sia telefoniche anche di comunicazioni avvenute all’estero, sia ambientali (dispositivi montati per cogliere tutto quello che avviene in un determinato ambiente, sia pubblico, privato che industriale). Senza di queste e solo sulla base delle troppo deboli dichiarazioni testimoniali della vittima, è molto difficile provare che si sia effettivamente verificato il reato di tratta sancito dai nostri artt. 600 e 601 del codice penale». È con la Campagna antitratta Questo è il mio corpo che la Comunità di don Benzi porta avanti un’altra modalità di contrasto alla tratta che si basa sul cambiamento culturale e su una proposta di legge che segua il cosiddetto “modello nordico” che prevede la punibilità del cliente perché come diceva don Oreste Benzi «se non ci fosse la domanda non ci sarebbe l’offerta» e quindi le tratte che “alimentano” di giovani corpi il sistema prostitutivo. Laila Simoncelli, avvocato del Servizio legale della Comunità Papa Giovanni XXIII, nel suo intervento ha infatti ricordato che «la prostituzione è una grave violazione dei diritti umani. Il cliente è anello di congiunzione della catena di sfruttamento e di violenza di genere. I suoi schemi comportamentali, oggetto di numerose indagini, contengono in sé un fattore criminogeno molto elevato rispetto alla parità di genere e soprattutto alla violenza sulle donne». Esemplare in questo senso la linea della Francia che con la legislazione del 2016 ha previsto sanzioni e stage di sensibilizzazione per i clienti. Il giurista François Vignaud Responsabile dei Rapporti Istituzionali della Fondation Scelles di Parigi è tra i promotori dei corsi di sensibilizzazione per i clienti realizzati in un’unica giornata intensiva per cambiare la cultura e le attitudini nei rapporti. Sotto forma di dibattito e non solo di lezione frontale. «L’espressione del proprio pensiero è libera, così come la critica della loro condanna e la paura delle ripercussioni penali e i termini della sanzione alternativa. I partecipanti, mediamente 8 per giornata, vanno dai 18 ai 78 anni. La maggior parte di essi è socialmente integrata, istruita e iscritta a relazioni emotive stabili. Le loro attività professionali spaziano dai mestieri manuali alle funzioni intellettuali di responsabilità e di artigianato». I temi affrontati vanno dal significato della portata dell’acquisto, effettivo o previsto, di servizi sessuali, gli aspetti psicologici (dal desiderio al possesso), le nozioni di vittime e di violenza contro le donne, gli aspetti sanitari e sociali inclusi nel sistema prostitutivo.
APG23
30/10/2018
I giovani e la droga: com’è andato l’Open Day
Il 20 e 27 ottobre scorso circa venti strutture terapeutiche della Comunità Papa Giovanni XXIII hanno aperto le loro porte al territorio. Chi ha visitato una comunità di recupero in queste due giornate di Open Day, non solo ha potuto avere informazioni sul percorso terapeutico, ma ha anche avuto la possibilità di ascoltare le storie dei ragazzi e di confrontarsi con gli operatori e i volontari su cosa viene svolto in una comunità e su quali sono gli strumenti utili per un buon recupero dalle dipendenze. Durante l'Open Day di sabato 27, i ragazzi ospitati nella Comunità Terapeutica di Maiolo (RN) hanno ricevuto una visita inattesa: mons. Andrea Turazzi, vescovo di S. Marino Montefeltro, si è fermato con loro per mettersi in ascolto delle loro storie. «Il vescovo Andrea è venuto con semplicità  e con tanta voglia di ascoltare i nostri ragazzi» racconta Max Travaglini, operatore della struttura terapeutica di Maiolo. «È stato un momento intenso e ricco, ci siamo sentiti "popolo" visitato dal proprio Pastore. La cosa più bella è che il vescovo si è già auto-invitato per venire a cena con noi una sera e ha espresso il desiderio di venire a celebrare la prima Messa nella cappellina che sarà inaugurata a breve». All'Open Day hanno aderito varie strutture del Tavolo Ecclesiale Dipendenze in Italia, ma non solo: anche due strutture Apg23 in Brasile e una in Albania. Vedi la mappa con le strutture coinvolte Per l'occasione, Radio Vaticana ha intervistato don Federico Pedrana, che da più di un anno vive in Romania a Bucarest, portando avanti la Casa "Rimuovere Pietre", per il recupero di giovani tossicodipendenti. Don Federico, sacerdote fidei donum della diocesi di Como, fa parte della Comunità Papa Giovanni XXIII e da diversi anni segue da vicino i ragazzi nel percorso di liberazione dalla droga. «Lavoro con i ragazzi italiani che hanno terminato il loro percorso di recupero e vengono qui in Romania a darmi una mano trovandosi a vivere davvero una ‘vita nuova’ », racconta don Federico ai microfoni di Radio Vaticana Italia.  Ascolta l'intervista di don Federico Pedrana alla radio vaticana. Durante questi Open Day, di particolare interesse è stato il DipSchoolQuizTheatre, uno spettacolo teatrale interattivo, proposto il 27 ottobre nella struttura di Sant'Aquilina (RN) e al quale hanno partecipato un centinaio di ragazzi di 4 classi di seconda superiore. Lo spettacolo DipSchoolQuizTheatre s’inserisce nei progetti di prevenzione e promozione dell’agio proposti dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, con un’esperienza trentennale nel recupero delle tossicodipendenze e da più di 20 anni presente nelle scuole medie e superiori con attività d’animazione, integrazione sociale e prevenzione. Attraverso il gioco teatrale, l’obiettivo è quello di mantenere vivo l’interesse sulla tematica della dipendenza e del disagio, approfondendo contenuti scientifici, modelli di comportamento e consumo, per confrontarsi con i giovani in modo dinamico e divertente su vari aspetti del mondo delle dipendenze. «Lo spettacolo ha coinvolto i ragazzi, che si sono dimostrati attenti e interessati» spiega Fethi Atakol, uno degli operatori della Comunità Papa Giovanni XXIII. «Lo spettacolo non dice “cosa si deve fare”, ma dà alcune informazioni e dati scientifici sui comportamenti relativi alle varie forme di dipendenze, con l’obiettivo di aprire un dialogo con i ragazzi di questo tema, cosa che nelle scuole accade sempre meno».  Lo spettacolo DipSchoolQuizTheatre, nel format proposto che comprende anche alcune testimonianze e un dibattito, è esportabile in tutta Italia. È rivolto in particolare ai ragazzi delle scuole superiori e possono essere richieste informazioni a questi contatti: prevenzione.apg23@gmail.com; cell. 3482332199 Le comunità del Tavolo Ecclesiale Dipendenze Nato nel 2014, il Tavolo Ecclesiale Dipendenze unisce le realtà ecclesiali che realizzano progetti di accoglienza e aiuto alle persone con problemi di dipendenza. Le organizzazioni che aderiscono al Tavolo Ecclesiale Dipendenze  sono: Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Casa dei Giovani, Compagnia delle Opere-Opere Sociali, Comunità Emmanuel, Comunità di Sant'Egidio, Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza-CNCA, Federazione Italiana Comunità Terapeutiche-FICT, Salesiani per il sociale-Federazione Scs/Cnos e, in collaborazione con Caritas Italiana, strutturano un percorso di lavoro comune con l'obiettivo di confrontarsi sul tema delle dipendenze, che negli ultimi anni ha assunto più sfaccettature: non solo dipendenza da sostanze, ma anche da gioco d'azzardo, da dispositivi elettronici, ecc. Da anni le organizzazioni aderenti al Tavolo Ecclesiale Dipendenze accolgono persone che, pur vivendo una qualche difficoltà, a volte anche grave, non hanno rinunciato a immaginare il futuro. Sono al loro fianco per aiutarle a ricostruire la propria esistenza. Una cura della vita che è una risorsa per la comunità locale, un valore per quella ecclesiale.    
APG23
23/10/2018
Esperienza collettiva virtuale in una casa-famiglia veneta: Oltre la gabbia del disagio
150 cuffie e maxischermo, silenzio tutt'intorno: tra 300 assistenti sociali, psicologi, educatori professionali, medici del Veneto ed esponenti del terzo settore vivranno, in due turni, l’esperienza immersiva nella casa-famiglia complementare e multiutenza, modello per l’accoglienza diffusa ideato da Don Oreste Benzi. L'appuntamento è per venerdiÌ€ 9 novembre 2018 dalle 8:30 alle 14:00 presso il Cinema Esperia di Padova, via Chiesanuova 90, per il convegno “Oltre la gabbia del disagio - Come la casa famiglia multiutenza eÌ€ una risposta integrata al bisogno di cura e di relazione”. Nei casi di gravi disagio di tipo fisico, psichico e sociale in genere, i servizi sociali dei comuni sono deputati all’attivazione di interventi domiciliari o di altri percorsi volti all’assistenza, e nei casi più gravi al collocamento delle persone in famiglie affidatarie o in comunità di accoglienza. Fra le comunità di accoglienza le case-famiglia di Don Benzi ripropongono lo stile di vita della famiglia, dove al fianco delle figure genitoriali di riferimento ci sono nuovi fratelli, zii e nonni acquisiti; tutte persone che abitano realmente la casa e che creano reali relazioni affettive con l’accolto. Nel 2017 in Veneto 29 case-famiglia complementari e multi-utenza hanno accolto 156 persone di cui 74 minori. Il 33% degli accolti nelle varie realtà della Comunità Papa Giovanni XXIII era vittima di disagio familiare; il 37% era disabile. Agli operatori dei comparti sociale e sanitario della regione viene proposto il percorso multimediale del SilentPlay: un progetto di drammaturgia e di performance interattiva che si avvale di un sistema di radiocuffie per ricevere — in simultanea — una traccia audio registrata. L’esperienza fortemente immersiva conduce i partecipanti a vivere e sperimentare un viaggio sonoro: musica, voci dirette dei protagonisti, pensieri di raccordo saranno supportati dalla proiezione di scorci di immagini e di azioni. Tutto il materiale è stato registrato e montato da un’equipe multidisciplinare all’interno delle case-famiglia della regione; la regia è firmata dal centro di produzione teatrale La Piccionaia di Vicenza. Spiega Giovanni Paolo Ramonda, Presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII: «I partecipanti al convegno potranno immedesimarsi nel vissuto di chi è accolto; l’intento formativo è quello di stimolare la capacità empatica e di aumentare la consapevolezza nella scelta del collocamento delle persone portatrici di disagio. L’evento nasce dalla volontà di fare in modo che gli interventi sociali tengano in forte considerazione i bisogni e soprattutto il progetto di vita delle persone necessitano di essere accolte». Verranno riconosciuti crediti formativi per assistenti sociali e crediti ECM; l’ingresso è libero. È consigliata la prenotazione: Oltre la Gabbia del disagio Scarica il volantino Per i giornalisti è possibile prenotare l’orario di partecipazione al SilencePlay.
APG23
18/10/2018
«Basta stupri, ricatti e minacce!»
«Dietro le apparenze di donne che mostrano la loro bellezza si cela l'orrore di una vera e propria forma di moderna schiavitù. Stupri, violenze, ricatti, minacce alle famiglie d'origine, riti vodoo. Fino alla morte di tante giovani che sono partite da paesi poveri con la speranza di una vita migliore» spiega Giovanni Paolo Ramonda, il successore di don Benzi alla guida della Comunità che quest'anno celebra il 50° anniversario dalla fondazione, in vista del Convegno a cui parteciperà a Pescara organizzato in questa ricorrenza europea.  «Se i clienti sapessero quello che vivono realmente queste povere donne, spesso poco più che bambine, sono sicuro che rinuncerebbero a comprare questi corpi - continua Ramonda - I clienti sono complici di questa ingiustizia. Come i magnaccia».   Un coro unanime si alza per dire basta a stupri, ricatti e assassini di giovani prostituite. Come il caso recente, macabro e inquietante, della giovane rumena barbaramente assassinata e bruciata da un cliente italiano a San Donnino, che interpella le coscienze sul tema della violenza di genere e del femminicidio nel sistema prostitutivo. In occasione della XII^ Giornata europea contro la tratta, la Comunità Papa Giovanni XXIII organizza 2 eventi per sensibilizzare sul fenomeno e promuovere la Campagna Antitratta "Questo è il mio corpo" per la liberazione delle donne vittime di tratta e di sfruttamento sessuale. A PESCARA 19 ottobre ore 20.30: Fiaccolata per le vie di Pescara 20 ottobre ore 16: Convegno "SULLA DIGNITA' NON SI TRATTA" ​Evento col patrocinio della città di Pescara e in collaborazione con l'Arcidiocesi di Pescara - Penne, Cisl di Pescara, Libera contro le mafie. ​Guarda il volantino dell'evento A BOLOGNA 25 ottobre ore 10: Seminario "SOPRAVVIVERE ALLA TRATTA", in collaborazione con il Dipartimento di Sociologia - Università di Bologna, Festival della migrazione e Cisl Emilia-Romagna. ​Scarica il volantino dell'evento   #LIBERAILTUOSOGNO Inoltre il Numero Verde Nazionale in aiuto alle vittime di tratta e grave sfruttamento, ripropone in numerose piazze italiane un gesto semplice per la giornata del 18 ottobre, ma dal grande valore simbolico. La liberazione in aria di un palloncino recante il messaggio #LIBERAILTUOSOGNO, è la metafora della liberazione simbolica del sogno di migliaia e migliaia di bambini, donne e uomini del pianeta che ogni giorno vengono portati con l’inganno dal loro Paese di origine in un altro allo scopo di essere sfruttati nell’ambito della prostituzione, dello sfruttamento lavorativo, delle economie illegali, dell’accattonaggio forzato o del traffico di organi. Per conoscere tutte le iniziative è possibile visitare la pagina Facebook  oppure il sito dell'Osservatorio Interventi Tratta  I dati parlano chiaro. Nei 28 Paesi dell’ Unione europea sono 30.146, di cui oltre 1.000 minori, le vittime registrate di tratta e sfruttamento, a fronte di stime che parlano di circa 3,6 milioni di persone in schiavitù in Europa nel 2016. Sono i dati del recente Rapporto 2018 di Save the cheldren intitolato “Piccoli schiavi invisibili”. In Italia si registra un incremento del 53% rispetto all’anno precedente. In una sola notte, infatti a ottobre 2017, la rete di organizzazioni riunite nella Piattaforma Nazionale Anti-Tratta ha rilevato 5.005 vittime in strada, tra cui 211 minori. Le unità di strada dei servizi anti-tratta stimano una presenza media di vittime di tratta richiedenti asilo pari a circa il 30%, quasi 1 su 3.  Emerge anche - come già sottolineato dagli operatori dell’Associazione Papa Giovanni XXIII dal 2015, nel libro denuncia “Non siamo in vendita” dell Casa editrice SEMPRE - che spesso i trafficanti utilizzano i Centri di accoglienza straordinari (Cas) per reclutare le giovani e sfruttarle anche nelle vicinanze delle stesse strutture. Ma è la questione delle minori la più allarmante: tra le vittime accertate in più del 93% sono ragazze nigeriane tra i 16 e i 17 anni. Un caso che desta preoccupazione a quello delle minorenni che a Ventimiglia, al confine italo-francese, si vedono costrette a prostituirsi per guadagnare i soldi necessari ad attraversare la frontiera, pagando ai passeurs somme tra i 50 e i 150 euro per il viaggio in auto. Dopo le ragazze nigeriane, le ragazze rumene costituiscono il secondo gruppo più numeroso nella prostituzione su strada in Italia. Si tratta soprattutto di adolescenti o neomaggiorenni più vulnerabili provenienti dalle aree più svantaggiate della Romania, come le regioni della Muntenia e della Moldova, in particolare i distretti di Bacau, Galati, Braila, Neamt e Suceava.
APG23
16/10/2018
Economia solidale: l’alternativa possibile
Un convegno per parlare dell’economia solidale, che rispetta la dignità delle persone e anche il pianeta. Da quasi un anno 7 organizzazioni (tra cui la Apg23) lavorano insieme per arrivare a proporre nuovi modelli economici alternativi: si incontreranno a Castelgandolfo dal 2 al 4 novembre 2018 per fare il punto della situazione. Il nostro mondo affronta una crisi ecologica e sociale: i cambiamenti climatici e l'aumento della disuguaglianza sono alimentati da strutture economiche ingiuste, politiche a breve termine e pratiche obsolete, eppure esistono in tutto il mondo persone e organizzazioni che lavorano instancabilmente per cambiare le regole e chiedere giustizia. Ma se da soli si può fare qualcosa, insieme si può fare molto di più, ed è così che da fine settembre 2017, sette organizzazioni, fra cui la Comunità Papa Giovanni XXIII, hanno iniziato a lavorare per raccogliere idee e buone pratiche di modelli economici alternativi orientati allo sviluppo umano integrale e alla sostenibilità, e per farle conoscere, in progetto bellissimo, ambizioso, che è stata chiamata Prophetic Economy. Il luogo del convegno è Castelgandolfo, nei pressi di Roma, dove dal 2 al 4 novembre prossimo organizzazioni, movimenti e persone cercheranno strade possibili per la transizione verso un'economia al servizio delle persone, del pianeta e del futuro, con particolare attenzione ai più poveri. Le sfide dell'economia solidale Ecco la sfida: essere come la voce dei profeti, che instancabilmente si levava contro le ingiustizie ed i potenti; intraprendere un cammino, tutti insieme, che possa dare una risposta al grido della terra e dei poveri. Con un desiderio particolare: avvicinare i change-makers e trovare nuove vie di collaborazione, imparare gli uni degli altri, trovare nuove vie per lavorare insieme, capire insieme come agire a livello macro, dare un potente messaggio di speranza soprattutto a coloro che oggi sono vittime dell’ingiustizia sociale e ambientale. Come ci ha ben dimostrato Papa Francesco nella sua enciclica Laudato Si’, il grido della terra ferita e devastata è lo stesso grido dei poveri: «Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (LS 49). Per partire al meglio, è fondamentale non escludere il pensiero, la visione e il lavoro delle generazioni più giovani: per questo bambini e ragazzi saranno presenti con un programma speciale per loro, alternato a momenti di condivisione intergenerazionale. «Nei Paesi che dovrebbero produrre i maggiori cambiamenti di abitudini di consumo, i giovani hanno una nuova sensibilità ecologica e uno spirito generoso, e alcuni di loro lottano in modo ammirevole per la difesa dell’ambiente, ma sono cresciuti in un contesto di altissimo consumo e di benessere che rende difficile la maturazione di altre abitudini. Per questo ci troviamo davanti ad una sfida educativa» (LS 209). Questo convegno è solo la prima tappa di un percorso dove tutti coloro che guidano la transizione verso un mondo diverso possano incontrarsi. Iscriviti al Convegno
1 48 49 50 51 52 106