Dalla contrapposizione alla collaborazione
Viviamo all’interno di un clima di forte polarizzazione, di scontro continuo, tra posizioni opposte che in molte occasioni porta anche a comportamenti denigratori reciproci, anche a livello politico. Questo clima di contrapposizione costante non aiuta ad orientarsi e produce incertezza, indecisione e disaffezione. Alla fine, una persona rimane solo nell’incertezza e nell’immobilismo. Quando incontriamo i giovani raccogliamo un profondo senso di smarrimento e di rabbia verso il mondo adulto incapace di promuovere un clima che sappia orientare a scelte di vita efficaci di fronte alla gravità delle prospettive di vita che gli si pongono davanti: guerre, disastro climatico, prospettive di senso. L’esperienza continua di smarrimento, le frequenti frammentazioni – come le rotture di legami familiari – sono riconosciuti ormai come fattori predisponenti la ricerca di consolazioni, di meccanismi per acquietare l’angoscia di fondo, rendendo così le sostanze o i comportamenti di dipendenza assai appetibili. Se vogliamo quindi ragionare in una dimensione di prevenzione universale dobbiamo cambiare paradigma: cerchiamo ciò che ci unisce e non ciò che divide.
Contrastare la diffusione di sostanze
I dati dell’ultima relazione al parlamento dicono che il consumo di sostanze rimane un problema significativo sebbene vi sia una diminuzione nell’uso della cannabis tra i giovani. A fianco di questo vediamo però un aumento del gioco d’azzardo nei giovani e una continua estensione del gaming e dei disturbi da uso di internet. Nelle nostre città poi la cocaina, in particolar modo nella forma del crack, è sempre più presente e sta rappresentando quello che era l’eroina negli anno ’80, il tutto sempre assieme all’alcool presente in modo trasversale. Serve uno sforzo maggiore per impedire questa diffusione capillare di sostanze e per impedire che la dipendenza diventi normalità.
Prevenzione
La lotta alle sostanze e ai comportamenti di dipendenza, comunque la si porti avanti, rischia di essere vana se non si affianca ad una scelta di campo convinta e decisa per la prevenzione, che è la vera risposta alle dipendenze. In Italia abbiamo un’ottima legge che definisce i Lea, ossia i livelli di essenziali assistenza sociosanitaria che lo stato garantisce ai suoi cittadini anche con dipendenza patologica, ma non parla di prevenzione in senso generale, se non delle malattie legate allo stato di dipendenza. Crediamo che il lavoro preventivo debba uscire dallo stato di precarietà nel quale si trova da molto tempo, sempre legato a progetti di durata annuale e raramente triennale, oppure a finanziamenti incerti che non permettono di stabilizzare quelle azioni che per essere incisive necessitano di tempi continuativi e lunghi. Dobbiamo promuovere una concertazione che porti all’elaborazione, come prima battuta almeno a piani triennali o quinquennali, per poi giungere ad essere inseriti nelle prestazioni Lea in modo da divenire attività continuativa strutturata quanto le prestazioni sociosanitarie. Noi come Comunità Papa Giovanni XXIII da oltre 15 anni abbiamo fatto questa scelta, dedicando personale a tempo pieno al lavoro preventivo in diverse zone d’Italia costituendo diverse equipe. A tutt’oggi il nove per cento del costo del nostro personale è dedicato a chi si dedica in modo esclusivo alla prevenzione.
Ridisegnare e sostenere il sistema dei servizi per le dipendenze
L’attuale sistema dei servizi per le dipendenze, delineato nei primi anni ’90 spesso risulta oggi inadeguato ad intercettare i nuovi bisogni. Negli ultimi vent’anni, le problematiche legate alle dipendenze sono profondamente cambiate, sia per la diffusione di nuove sostanze sia per l’emergere di comportamenti a rischio legati ai diversi mutamenti sociali. I servizi attualmente attivi faticano a offrire risposte efficaci e tempestive, sia a causa di vincoli normativi ormai superati sia per la scarsità di personale. È quindi necessaria una revisione organica della normativa nazionale e regionale vigente, per aggiornare il quadro di riferimento, definire nuovi standard di servizio e garantire un sistema realmente capace di affrontare la complessità delle dipendenze contemporanee. Inoltre, occorre dotare i servizi delle dipendenze del personale necessario. Il nostro paese negli anni ha sviluppato un sistema virtuoso che molti ci invidiano, ma occorre preservarlo.
Una governance basata sull’integrazione pubblico-privato
Le strutture del terzo settore svolgono una vera e propria funzione pubblica. Le comunità terapeutiche, in particolare, sono nate negli anni ’80 per rispondere all’assenza di soluzioni residenziali, offrendo accoglienza a persone con dipendenza da eroina, allora molto diffusa. Nel tempo, queste realtà hanno qualificato progressivamente il proprio intervento, sviluppando un approccio a forte integrazione socio-sanitaria e collaborando stabilmente con il Servizio Pubblico. L’integrazione tra pubblico e privato, tra Ser.D. e comunità terapeutiche, rappresenta un punto di forza del sistema e va sostenuta e rilanciata, anche in prospettiva futura, attraverso percorsi strutturali di co-programmazione e co-progettazione. A tal fine è fondamentale evitare derive esclusivamente sanitarie, che rischiano di semplificare e impoverire la complessità del modello di intervento, non valorizzando adeguatamente le dimensioni psico-educave, l’accompagnamento al lavoro e il reinserimento sociale specifiche del Trattamento Residenziale svolto nelle comunità terapeutiche. Occorre un urgente adeguamento al costo della vita e dei beni/servizi, cresciuto in modo rilevante negli ultimi due decenni. Infine, è necessario un miglioramento dell’interlocuzione tra livello nazionale e livello regionale e tra livello regionale e a livello delle singole AULS. Il governo ultimamente sta cercando di stanziare dei fondi extra rispetto a quelli che ogni regione stanzia per finanziare il sistema dei servizi ponendo un vincolo di spesa, ma tale sforzo rischia di essere vanificato per il non recepimento di questo vincolo. Accade ancora che i fondi nazionali, o regionali finiscano nel cosiddetto budget indistinto della sanità, che serve a coprire le molteplici esigenza della sanità, e senza un vincolo di destinazione o il non recepimento dei vincoli esistenti, le risorse vengano utilizzate per altri scopi rispetto le indicazioni iniziali, in un clima di crescenti necessità sanitarie e di tagli ripetuti. Bisogna promuovere un maggior coordinamento e sintonia tra il centro e la periferia tra il centro e il territorio, definendo in modo stabile e certo il trasferimento delle risorse.
Gioco d’azzardo patologico (GAP)
La legge di Bilancio 2024 ha previsto la ricostituzione di un fondo Dipendenze dotato di risorse economiche e che comprenda anche il GAP riconosciuto quindi come una tra le dipendenze. In tale operazione si è tuttavia revocato il gruppo tecnico GAP e ridotto il budget a favore delle iniziative di intervento specifiche rivolte alla prevenzione e cura del gioco d’azzardo. Ci permettiamo poi di incoraggiare il governo e il parlamento tutto, di non cedere alle lusinghe dei gruppi di interesse che chiedono di allentare i vincoli di pubblicità sul Gioco d’azzardo, una delle misure che ha permesso di arginare il fenomeno.
Moltiplicare i punti di accesso al sistema di cura
Rimane ancora troppo lungo il periodo di latenza cioè il tempo che trascorre tra l’inizio dei problemi di dipendenza e la presa in carico in percorsi di recupero e reinserimento, siamo ancora, come anni fa, attorno agli 8-10 anni. Dobbiamo provare a rompere questa barriera tenendo conto anche del fatto che solo una piccola minoranza di persone con problemi di dipendenza accede alla porta di ingresso dei servizi. A nostro avviso dobbiamo moltiplicare le porte di accesso al sistema di cura prevedendo più modalità di accesso e contatto, per ridurre il tempo di latenza, definendo con quali criteri e quali metodologie. Crediamo ad esempio che si possano pensare delle reti di contatto diretto tra le unità di strada e le realtà di accoglienza oltre che con i SERD. Ancora dobbiamo garantire una maggior flessibilità dei servizi, introdurre nuovi spazi e servizi differenziati per tipologia di popolazione, ridefinire le procedure di ingresso in vista di accessi rapidi al mondo dei servizi. Più porte ci saranno, non importa che etichetta abbia la porta, e maggiormente riusciremo ad intercettare le situazioni di dipendenza.
Cambio di paradigma
Dobbiamo promuovere un cambio di paradigma, ossia spostare l’attenzione dalle parti malate alle parti sane che possono portare la persona a funzionare bene. La specializzazione professionale e scientifica che in questi anni ci ha permesso di acquisire molte conoscenze impensabili decenni fa, aiutandoci tra l’altro a leggere il fenomeno dei disturbi di dipendenza come dignitosi di studio ed approfondimento e non come vizi di persone dissolute, può però portarci ad un errore di perdere di vista l’uomo nel suo insieme. Don Oreste Benzi ci invitava a considerare che l’uomo non è il suo errore, ma l’uomo non è neanche il suo disturbo né la sua disabilità acquisita magari da anni di uso di sostanze. In tal senso serve un processo sociale che metta al centro l’uomo con le sue istanze di senso, le sole che riescono a costruire identità equilibrate che sappiano resistere ai richiami delle sostanze: negare, tralasciare, spostare la dimensione spirituale dell’uomo a questione di poco conto, o di tipo clericale è un errore perché mantiene una inquietudine personale prima e sociale poi che non aiuta a compiere un passo verso vite degne di essere vissute. Ci dobbiamo aprire ad un nuovo modello di società, quella che don Benzi chiama la Società del gratuito, dove le proprie risorse non sono strumenti di competizione da usare per acquisire potere e dominio sull’altro ma strumenti per costruire comunione e appartenenza sociale. Tale società la si costruisce se permettiamo a ciascuno di noi di accedere ad una dimensione altra, di Infinito che ci aiuta ad andare oltre noi stessi per sperimentare come la Trascendenza – che nel nostro cammino è l’incontro con Dio –, faccia nuove tutte le cose.